di Reva Goujon
Offriamo la traduzione di questo articolo apparso su Stratford, un think tank di geopolitica fondato nel 1996 da George Friedman. L’articolo è stato scritto il 19 Luglio e consente di avere una visione chiara dell’evoluzione turca negli ultimi decenni, del ruolo di Fethullah Gülen, della presa del potere di Erdogan e dell’incerto futuro che attende la Turchia. L’articolo è pubblicato col permesso di Stratford. La traduzione e le note di chiarimento sono di Hic Rhodus.
Le bizzarre scene del fugace tentativo di colpo di stato in Turchia sono impresse nella nostra mente: un giornalista TRT (1) che dichiara che l’esercito aveva preso il controllo del paese, un’esausta giornalista della CNN Turca che regge il suo iPhone per un presidente con gli occhi gonfi che invita la nazione a scendere in piazza, il rat-a-tat-tat di elicotteri Cobra che fanno piovere proiettili su una folla in fuga, lamentose chiamate alla preghiera che per tutta la notte invitano i fedeli a protestare, soldati terrorizzati in mimetica strattonati da parte della polizia e da civili, un soldato insanguinato linciato da una folla di sostenitori del presidente, e siriani in festa per l’ironia del caos turco come il loro stesso paese.

Ma c’era una questione più sottile che mi ha colpito mentre guardavo svolgersi gli eventi del 15 luglio. Erano passate le 03:00 in Turchia, circa cinque ore dopo che i golpisti avevano iniziato a muoversi. Il colpo stava già mostrando segni di sfilacciamento e il nostro team si affollava intorno allo schermo per guardare la piccola icona a forma di aereo che monitorava il volo del presidente Recep Tayyip Erdogan verso l’aeroporto Ataturk di Istanbul. I golpisti, con l’imperativo di tagliare la testa dello Stato turco, avevano ancora gli F-16 nell’aria, aumentando i rischi del breve e precario viaggio di Erdogan dal suo luogo di vacanza a Marmaris alla sede dell’impero a Istanbul. Il transponder del volo è andato fuori uso e abbiamo aspettato con il fiato sospeso, chiedendoci se Erdogan avrebbe fatto un ritorno sicuro. Alcuni minuti dopo il presidente – con ancora indosso la tuta e la cravatta dalla sua audace apparizione FaceTime – è venuto su NTV e ha promesso di eliminare i militari delle forze “parallele” dietro il colpo di stato. Mentre Erdogan parlava con nuovo vigore e spirito vendicativo, un grande, cupo ritratto di Mustafa Kemal Ataturk stava sopra di lui, testimoniando il destino contorto della Repubblica che aveva costruito più di nove decenni fa.
Diversi osservatori si sono affrettati a inquadrare il tentato colpo di stato come una ripetizione della storia: l’esercito stava facendo un passo per difendere i principi laici della repubblica di Ataturk contro un ordine civile islamista, proprio come aveva fatto tra il 1960 e il 1990. Ma questa è una lettura troppo semplicistica e obsoleta della politica turca. La Turchia del 21° secolo non vive sotto le armi delle forze armate d’élite e laiche, né è dominata esclusivamente da un campo monolitico di islamisti. Le linee di frattura della Turchia sono molto più complesse, e la loro comprensione è fondamentale per capire non solo le radici del tentativo di colpo di stato, ma anche il futuro geopolitico del Paese.
La Turchia divisa fra impero e stato-nazione
La Turchia soffre di un’inevitabile crisi di identità. Se dovessimo disegnare la Turchia a grandi linee, vedremmo il ritratto di una nazione divisa tra una vecchia guardia in gran parte secolarizzata centrata su Istanbul e sul Mar di Marmara, fondendo l’Asia con l’Europa, e un entroterra più religioso centrato sull’implacabile altopiano anatolico, fondendo la Turchia con il mondo musulmano. Ataturk utilizzò i resti dell’Impero Ottomano dopo la prima guerra mondiale per costruire un paese alimentato dal nazionalismo e guidato dalla filosofia occidentale. Ai suoi occhi lo stato turco avrebbe dovuto evitare gli alti costi di un impero multietnico tentacolare, concentrandosi invece sui contorni di uno spazio geografico più moderato, ma potente, che si trova a cavallo fra il Mar Nero e il Mediterraneo. Ataturk aveva assistito alla morte di un impero e guidato la nascita di uno stato-nazione. Per far sopravvivere quello stato pensò che l’esercito avrebbe dovuto preservare un forte spirito laico. Solo in questo caso la Turchia sarebbe stata in grado di gestire in modo efficace i suoi legami con l’Occidente, evitando coinvolgimenti fatali nelle terre islamiche oltre i suoi confini.
Allo stesso tempo, Ataturk aveva bisogno di un modo per vincolare la nazione a tale progetto. Piuttosto che cercare di eliminare completamente il ruolo dell’Islam ha tentato di istituzionalizzare la religione istituendo la Presidenza degli Affari Religiosi, per gestire la religione alle condizioni dello stato e utilizzarlo per distinguere i cittadini turchi da componenti non musulmane dell’ex-impero. Bosniaci, albanesi e circassi in gran parte inclusi nella nuova identità turca, mentre la minoranza curda del paese – anche a maggioranza musulmana – è stata spogliata della sua distinzione etnica e da quel momento considerata “turchi di montagna.” Ma nel frattempo, un’identità costruita sull’Islam silenziosamente resisteva nella periferia della Turchia.
Questa è stata la Turchia del 20° secolo. Per decenni la politica laica e gli interessi economici hanno regnato sovrani, mentre la periferia anatolica è stata dimenticata e le minoranze aspettavano l’assimilazione nell’identità nazionale turca. Ma a partire dagli anni ‘70 l’interno conservatore del paese ha cominciato a cercare il modo di costruire gradualmente la sua influenza. Lo sforzo è stato aiutato in parte dal movimento popolare guidato dal religioso di primo piano Fethullah Gülen, che aveva raccolto l’eredità di Said

Nursi nel cercare di fondere l’Islam con la scienza e la cultura occidentale. In breve, Gülen sosteneva che la Turchia non doveva evitare l’Occidente nel suo abbraccio dell’Islam, ma invece prendere il meglio dei due mondi.
Per Gülen modellare la Turchia in questa modo richiedeva in primo luogo di riempire le istituzioni del paese con i compagni di fede. Nei suoi sermoni ha invitato i sostenitori a “muoversi nelle arterie del sistema senza che nessuno si accorga della loro esistenza, fino al controllo di tutti i centri di potere.” Conservatori religiosi sotto la tutela di Gülen, così come i leader che l’hanno emulato, hanno fatto esattamente questo. Hanno approfittato del lassismo dei controlli della gendarmeria, incaricata di sorvegliare l’entroterra del paese, per costruire la loro presenza in sicurezza. Allo stesso tempo, imponenti reti tra imprenditori dell’Anatolia commerciavano col Medio Oriente, l’Asia centrale e l’Africa per sfidare il predominio dei giganti laici di Istanbul. Comparvero società di media ben finanziate e influenti e scuole, aumentarono giudici, insegnanti, politici, poliziotti, piloti e generali dell’esercito di una nuova era in cui la Turchia ancora una volta abbracciava la sua identità islamica, pur mantenendo la sua presenza in Occidente.
Fino alla fine degli anni ‘80, complice il clima di insicurezza caotica causato dalla guerra fredda, l’esercito aveva il potere istituzionale necessario per cacciare rapidamente tutti i governi civili che si allontanavano troppo dal modello laico di Ataturk. Ma nella pace relativa post-guerra fredda degli anni ‘90 l’esercito ha dovuto ricorrere a mezzi più sottili di fermare il primo governo islamico della Turchia: il cosiddetto “Golpe post-moderno” (2). Col volgere del secolo, la capacità dei militari di reprimere l’islamismo con un rovesciamento semplice e veloce si è considerevolmente indebolito.
All’ombra del boom economico, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) (3) è cresciuto in una forza formidabile negli anni 2000, contando su una base di appoggio che si estendeva da Istanbul al cuore anatolico. Come la fiducia nel partito e nei suoi alleati è cresciuta abbastanza, l’AKP ha cercato di castrare la forza che li aveva immobilizzati per tanti anni. Il governo ha dato una prima mazzata col processo Ergenekon (4), progettato per sradicare il presunto “stato profondo” degli ultranazionalisti militari, funzionari, politici, giudici e uomini d’affari che hanno sfidato la nuova Turchia. Nella seconda metà degli anni 2000, gli islamisti avevano ormai profondamente penetrato le forze armate, e emittenti güleniste sono state regolarmente fornite di notizie riservate utilizzate per ricattare il personale militare. Attraverso una serie di processi, molti dei quali presieduti da giudici gülenisti, l’esercito è stato purgato e le fila della forza aerea, della gendarmeria, dell’esercito e della marina riempite di lealisti.
Le divisioni fra gli islamici turchi
Non vi è dubbio che Erdogan abbia beneficiato dell’indebolimento dei militari causato dai gülenisti. Ma è anche cresciuta la sua diffidenza per quanto potenti i gülenisti erano diventati. Dal suo esilio volontario in Pennsylvania, Gülen aveva cominciato ad affermare politicamente se stesso e ha espresso pubblicamente la sua disapprovazione delle politiche di Erdogan. Poi, nel 2013, quando Erdogan ha cercato di aumentare le sue credenziali con il mondo arabo, capitalizzando sul confronto della Turchia con Israele per l’incidente della flottiglia Mavi Marmara (5), Gülen ha criticato la posizione anti-Israele di Erdogan. Ma l’ultima goccia è arrivata a fine 2013, quando il movimento di Gülen ha cercato di sfruttare la sua influenza all’interno della magistratura e sono trapelate registrazioni audio per implicare il cerchio interno di Erdogan – tra cui il figlio, Bilal – in uno scandalo di corruzione.
Da quel momento in poi la distanza fra gülenisti e i sostenitori di Erdogan è diventata irreparabile. Nel 2014 un procuratore gülenista ha cominciato a colpire uno degli alleati chiave di Erdogan, Hakan Fidan, accusandolo di impegnarsi in colloqui segreti con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). (Gülen sembra essersi risentito del fatto che Erdogan e Fidan, il capo dei servizi segreti turchi, gestivano i colloqui di pace del governo con il PKK senza coinvolgere il suo movimento.) Lo stesso anno Gülen, criticando chiaramente la repressione di Erdogan sui manifestanti di Gezi Park (6), ha cercato l’aiuto di partiti laici di opposizione sempre fondamentalmente opposti al suo stesso movimento, nel tentativo di minare l’AKP al governo. Al crescere del conflitto, Erdogan ha deciso che sarebbe stato meglio disarmare i gülenisti mentre ancora aveva il potere di farlo. Equipaggiato con le stesse armi che i gülenisti avevano usato contro i militari, Erdogan ha lanciato una campagna nazionale e internazionale per decimare i suoi ex alleati.
Dal 2014 il governo turco ha chiuso gli uffici delle emittenti, le banche, le imprese e le scuole güleniste e allontanato giudici gülenisti. Ma la purga militare era un lavoro ancora incompiuto. Erdogan sapeva che la più grande minaccia per il suo governo risiedeva nelle forze armate, ma ha deciso di affrontare il problema in più fasi. Sembra che Fidan possa avere intuito il colpo di stato in divenire, e potrebbe avere programmato di arrestarne gli autori in vista della riunione del Consiglio supremo militare il 1° agosto. I golpisti, consapevoli del fatto che la loro copertura era saltata, avrebbero accelerato la loro azione e avviato il colpo in anticipo, il 15 luglio. Eppure il fatto che rappresentavano una identificabile fazione minoritaria all’interno delle forze armate li condannava fin dall’inizio. Hanno utilizzato la sceneggiatura di un’epoca passata, avendo cura di occupare i media statali senza pensare di fare lo stesso con le trasmissioni private. I sentimenti anti-colpo di stato hanno sopravanzato quelli anti-Erdogan, come dimostrano le grandi folle nelle strade della Turchia e la dichiarazione di unità contro il colpo di stato da parte dei principali partiti politici del paese. Il colpo di stato ha iniziato a cadere a pezzi appena due ore dopo il suo inizio, e in meno di 24 ore era crollato completamente.
Un momento inopportuno per distrarsi
Tutto questo spiega come la Turchia sia arrivata a un momento così violento, ma la strada da percorrere sarà altrettanto complessa. La conseguenza più immediata del fallito colpo di stato sarà un’altra massiccia purga. Al momento in cui scriviamo, quasi 3.000 soldati sono stati arrestati e 2.700 giudici sono stati licenziati (7). Ma per essere chiari, il movimento gülenista da solo non è stato responsabile della sfida al governo di Erdogan. Anche se l’infiltrazione gülenista dei militari è stato un fattore chiave al tentativo di colpo, i gülenisti sono stati utilizzati come strumento da dissidenti anti-Erdogan, così come sono stati utilizzati come strumento dell’AKP per espandere il suo potere. Eppure il presidente utilizzerà ampiamente l’etichetta del movimento “parallelo” per isolare dissidenti di tutti i tipi. Questo non vuol dire che il colpo di stato in sé fosse un’operazione fasulla progettata da Erdogan per consolidare ancora di più il potere, solo che sfrutterà la brutta vicenda per accelerare i suoi piani per riformare la Costituzione con la scusa di liberare la Turchia del suo passato golpista. Questo, a sua volta, gli consentirà di aumentare i poteri della presidenza e di espandere le sue strade per reprimere il dissenso.
Come conseguenza inevitabile di questo giro di vite, le prediche europee sul rispetto dei diritti umani cadranno nel vuoto. I leader della Turchia faranno quello che ritengono necessario per sentirsi al sicuro, e le loro controparti europee si morderanno la lingua mentre cercano di preservare il fragile accordo sugli immigrati. Erdogan cercherà parimenti di usare la dipendenza di Washington in materia di cooperazione di Ankara nella lotta contro lo Stato Islamico per chiedere l’estradizione di Gülen dagli Stati Uniti.
Al di là delle conseguenze a breve termine del giro di vite e dei baratti con l’Occidente, Ankara ha un problema più grande da affrontare. Ci vorrà molto tempo per la Turchia per ripristinare il suo esercito dopo una ribellione di tale portata. I militari gülenisti sono stati epurati a centinaia a suo tempo; ora di più, tra cui comandanti di alto livello. Militanti curdi, gruppi radicali di sinistra e lo Stato Islamico saranno in grado di usare l’estrema vulnerabilità della Turchia per realizzare più attacchi e sostenere le forze antagoniste dello Stato. Nel frattempo, le debolezza esterna della Turchia crescerà. Qualora Ankara si distraesse dalle minacce interne, i separatisti curdi, i governi siriano, iraniano e russo, avranno più spazio per sfidare le ambizioni della Turchia in Medio Oriente. Gli Stati Uniti, non più in grado di contare sull’affidabilità Turca nella gestione delle minacce dello Stato Islamico, saranno costretti ad assumersi un onere maggiore nella lotta, mentre altre potenze sunnite come l’Arabia Saudita cercheranno di ritagliarsi un ruolo maggiore per se stessi nella Regione.
Ed è qui che la crisi di identità della Turchia sarà messa a nudo. A questo punto del suo ciclo geopolitico, la Turchia ha iniziato un percorso neo-ottomano che induce un coinvolgimento più profondo al di là dei suoi confini, sia nel nord della Siria che l’Iraq così come in Libia, Gaza e Nagorno-Karabakh. Allo stesso tempo, i leader turchi vigilano i confini disegnati da Ataturk e hanno il dovere di proteggere l’integrità nazionale della Repubblica. Contraddizioni politiche saranno così sempre più frequenti, e le azioni della Turchia possono apparire quasi schizofreniche. Il governo turco ha già avviato un processo di pace con i curdi istituendo “vilayet” (8), in cui le minoranze possono godere di maggiore autonomia, per poi lanciare un giro di vite con mano pesante, un anno più tardi, bollando qualsiasi forma di assertività curda come terrorismo contro lo Stato.
Nel frattempo, alcune fazioni hanno sostenuto la necessità di un maggiore coinvolgimento militare in Siria e in Iraq, mentre altri ribattono che questa è la strada che Ataturk indicò portare alla distruzione. (Non è un caso che il primo nucleo dei golpisti era composta da truppe turche ritiratesi dal nord dell’Iraq.) Gli islamisti stessi sono divisi sulle tattiche che la Turchia dovrebbe usare per ricreare la sua sfera di influenza all’interno del mondo musulmano. I gülenisti sostengono la necessità di utilizzare strategie morbide attraverso le scuole, offerte commerciali e i media, mentre Erdogan – di fronte a una serie di vincoli, in quanto capo di Stato – è più disposto a schierare le forze armate per gestire le minacce all’estero e nutre ambizioni più aggressive per rimodellare il Medio Oriente secondo la sua visione.
La pace sfuggirà alla Turchia
Stando alla cronaca trasmessa da TRT il 15 luglio, chi ha guidato il colpo di stato ha dichiarato la formazione di un “Peace at Home Council” per governare la Turchia post-Erdogan. La frase, “yurtta sulh, cihanda sulh,” si traduce in “la pace a casa, la pace nel mondo” e fu pronunciata da Ataturk nel 1931. E ‘diventato il motto ufficiale per la politica estera della Turchia, rafforzando l’idea che una repubblica stabile all’interno consentirà alla Turchia di rispondere in modo efficace ai problemi che si presentano al di là dei suoi confini.
Ma i problemi che la Turchia si trova ad affrontare oggi non sono gli stessi di quelli che ha affrontato nei primi anni del 20° secolo, e interpretazioni su che tipo di equilibrio sia necessario tra pacifismo e avventurismo per produrre la pace in Turchia e all’estero sono evidentemente variegate. Quello che possiamo dire con certezza, tuttavia, è che la Turchia non dovrebbe aspettarsi la pace in entrambi i luoghi nel breve periodo.
L’ascesa della classe conservatrice della Turchia è un progetto di lungo termine che durerà per decenni. Indipendentemente dal fatto che Erdogan sia al timone, la Turchia continuerà lungo il suo percorso espansionista, un percorso che era improbabile che fosse bloccato da un colpo di stato disordinato guidato da un gruppo eterogeneo di islamisti e nazionalisti. La Turchia è su questo corso, in questa fase della storia, perché la geopolitica lo vuole. Ma nessuno ha detto che sarebbe stata una passeggiata.
Note:
1) Emittente turca.
2) Così chiamato perché senza spargimento di sangue; il 28 febbraio 1997 le forze armate costrinsero alle dimissioni il governo guidato dal leader islamista del partito Refah (partito “della prosperità”) Necmettin Erbakan.
3) Il partito di Erdogan.
4) Nome di una presunta organizzazione nazionalista composta da militari. A partire dal 2008 una serie di processi incriminò 275 fra militari, giornalisti e avvocati dell’opposizione.
5) Il 31 maggio 2010 una serie di navi con attivisti pro-palestinesi, in prevalenza turchi, cercarono di forzare il blocco di Gaza realizzato dagli israeliani. L’incidente compromise seriamente le relazioni fra Turchia e Israele.
6) Proteste anti-Erdogan del 2013 per le quali si utilizzò in modo sproporzionato la forza suscitando proteste in tutto il mondo.
7) La realtà si è fatta più drammatica nei giorni successivi alla stesura di questo articolo come sanno i nostri lettori.
8) Divisione amministrativa di origine ottomana, simile a una provincia.
A Coup as Audacious as Turkey’s Future is republished with permission of Stratfor.