Il conflitto israelo-palestinese, che non finirà mai

Parlare oggi – a conflitto aperto e morti per le strade – del conflitto israelo-palestinese è di una pericolosità estrema. Foto atroci circolano in rete; ingiustizie decennali sono rinvigorite; ideologie solleticate, religioni scomodate e soprattutto, soprattutto, sono scomparse le verità, le possibilità stesse di una verità. E con essa di una giustizia. Credo sia facile la pietà per le vittime, e doverosa, e giusta. Per tutte le vittime. Credo sia ovvia l’indignazione per i soprusi e la loro pubblica denuncia. Per tutti i soprusi. Perché la situazione mediorientale è molto più intricata e contorta di quanto appaia a facili semplificazioni, e credo che simpatie a parte, ideologie a parte, sentimenti a parte, valga sempre la pena ragionare e cercare di capire, e Hic Rhodus vuole appunto essere uno spazio di ragionamento e approfondimento, per quanto scomodo. Prima di tutto di ragionamento e argomentazione, e per poter ragionare occorre approfondire e informarsi. Sono consapevole che anche approfondendo non può esistere una sola verità (l’ho detto più volte e così esplicitamente!) non perché oscura o dissimulata ma perché molteplice. Anche un’ipotetica “verità” in questo conflitto è molteplice; troppi fattori, eventi, circostanze, attori internazionali coinvolti; troppi torti subiti da ciascuna parte; troppi interessi evidenti e moltissimi oscuri… Mi limito quindi a proporre un po’ di storia e un po’ di sociologia per comprendere le ragioni del conflitto.

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I mandati britannico, francese e russo

Il torto inemendabile della nascita dello stato di Israele. La storia, molto in pillole, non è a tutti nota: crollato l’impero Ottomano con la prima guerra mondiale, l’area Iraq-Trasgiordania-Palestina fu affidata al Regno Unito come “mandato” in seguito al Trattato di Sèvres; nell’area convivevano ebrei e arabi non senza conflitti, ma sopra la volontà delle popolazioni locali, nei primi anni del secolo scorso, si concepì il pasticcio: consegnare nel 1922 la parte a est del fiume Giordano agli arabi come risarcimento per il sostegno dato alla lotta contro gli ottomani (ciò che nel 1946 divenne il Regno Hashemita di Giordania) e creare nella parte ad ovest un’ambigua national home per gli ebrei (non uno stato, nella confusa idea originale, ma qualcosa di sostanzialmente simile a una nazione) in conseguenza alla dichiarazione di Balfour del 1917 (poi inserita nel Trattato di Sèvres) in cui si concedeva questo diritto agli ebrei come “ringraziamento” alla lobby sionista rappresentata da Lord Rothschild e al contributo bellico rappresentato dalla cordite inventata da Balfour. Insomma: un’idea di ingegneria geopolitica immaginata a tavolino già agli inizi del ‘900 per un’area che era “di nessuno”. Già durante il mandato britannico si intensificarono i conflitti fra arabi ed ebrei tanto che, all’indomani del secondo conflitto mondiale, le nuove Nazioni Unite approvarono faticosamente (29 Novembre 1947) un piano di spartizione in due stati, uno ebraico e uno palestinese, piano accettato dagli ebrei e rifiutato dai paesi arabi che produsse nuovi tensioni e un primo conflitto arabo-israeliano nel 1948-1949.

La nascita dello stato di Israele
La nascita dello stato di Israele

Questo primo paragrafo ci ricorda quindi che lo stato di Israele non è la conseguenza di un’invasione, di una guerra colonialista o altro, ma di una deliberata serie di scelte adottate da Occidente (in particolare Gran Bretagna agli inizi del secolo scorso) e Unione Sovietica per ragioni di influenza regionale, spartizione mediorientale, convenienze specifiche e, indubbiamente, sorta di “risarcimento morale” (per senso di colpa) dopo la Shoah. Che si sia trattata di una buona idea o di una colpevole miopia, lo Stato di Israele è stato riconosciuto da quasi tutte le nazioni e ammessa nell’assemblea dell’ONU dall’11 Maggio 1949. Israele quindi esiste e ha dei diritti internazionali riconosciuti.

La reazione del mondo arabo fu immediata: il 15 maggio 1948, il giorno stesso della fine del mandato britannico e della proclamazione Onu dello stato israeliano, gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania attaccarono Israele, che impose la sua vittoria dopo 12 mesi di combattimenti; la conclusione furono 711.000 profughi palestinesi e 600.000 profughi ebrei e una ricomposizione delle zone d’influenza locali, con l’Egitto che occupò la striscia di Gaza e la Transgiordania che occupò la Cisgiordania, mentre Israele si annesse la Galilea e altri territori minori. Successero poi la guerra contro l’Egitto del 1956, la cosiddetta guerra dei sei giorni nel 1967 e la guerra del Kippur nel 1973. Non voglio annoiarvi con notizie che troverete facilmente in Rete e arrivo subito alla conclusione anche di questo paragrafo: non è difficile immaginare la sindrome da assedio degli israeliani. Occorre ricordare che “la distruzione di Israele” è tuttora la parola d’ordine di molti capi di nazioni arabe e islamiche e, fino a pochissimo tempo fa, la Siria e l’Iran erano nemici vitali e potenti, e minacciosi.

L'occupazione dei territori
L’occupazione dei territori

Il sionismo e l’estremismo religioso ebraico, anime nere di Israele. D’altronde una consistente parte della popolazione israeliana mette del proprio nell’alimentare le tensioni. Il sionismo nasce alla fine del XIX secolo come progetto nazionalista per l’istituzione di uno stato ebraico e si riafferma dopo la costituzione dello stato di Israele come movimento per la riunione di tutti gli esiliati ebrei, ottenendo nel 1950 la “Legge del ritorno” secondo la quale qualunque ebreo ha diritto di ottenere la cittadinanza israeliana. Il senso profondamente identitario del sionismo si integra perfettamente con la pretesa dei fondamentalisti ebrei di occupare le terre “da loro concesse da Dio”, idee (politica l’una, religiosa l’altra) a fondamento delle continue occupazioni dei territori palestinesi della Cisgiordania per fondarvi colonie, a dispetto del diritto internazione che ne ha più volte riconosciuta l’illegalità. La progressione espansiva del territorio israeliano (ufficiale e di fatto) dal 1946 ad oggi è indiscutibilmente impressionante. Finché la destra sionista sarà rilevante nel sostegno dei governi di Tel Aviv, e finché l’estremismo religioso – pur minoritario – avrà presa nella coscienza degli ebrei israeliani, difficilmente questi torti macroscopici verranno riconosciuti come il vero e principale ostacolo a qualunque pretesa di pace. È evidente che anche gli arabi più desiderosi di stabilità diffideranno sempre della controparte, che mentre parla di pace consente la formazione di nuovi insediamenti in territori palestinesi.

L’estremismo palestinese è una rappresentazione speculare di quello ebraico. Antioccidentale, oltre che antiebraico, per ragioni che vedremo in un prossimo post, profondamente permeato da una cultura religiosa altrettanto identitaria di quella ebraica, è soggetto a due azioni nefaste: innanzitutto viene utilizzato strumentalmente e cinicamente dai vicini arabi che giocano, con loro e su di loro, una partita sostanzialmente antagonista all’Occidente (ricordiamo l’ambiguità, per esempio, della casa regnante saudita e degli emirati del Golfo, la cui faccia ufficiale sfrutta la vendita di petrolio per arricchirsi e investire in Occidente mentre rami più oscuri e ufficialmente osteggiati finanziano il terrorismo islamista) e di rafforzamento ideologico interno; in secondo luogo è gestito da autorità palestinesi spesso sommerse dagli scandali dovuti a soprusi, nepotismi, arricchimenti personali (che coinvolsero anche il mitico Arafat), che fanno del conflitto permanente una ragione di sopravvivenza politica. Occorre ricordare che nel tortuoso percorso di ricerca di una soluzione pacifica, grazie alla mediazione di Bill Clinton si arrivò nel 2000 veramente a un passo dalla soluzione con l’accordo di Camp David; il presidente (laburista) Barak, in seguito a tale mediazione, offrì ad Arafat la creazione di uno Stato palestinese nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza con capitale Gerusalemme est, il ritorno di un limitato numero di profughi ed un indennizzo per gli altri. Con una mossa estremamente criticata, Arafat rifiutò l’offerta senza presentare alcuna controproposta. Questa ambiguità permane tuttora. Per esempio l’attuale atroce conflitto nasce dall’escalation israeliana (condannabile) in seguito non già all’uccisione dei tre studenti israeliani da parte di estremisti palestinesi, ma dei successivi atteggiamenti palestinesi.

L’attuale conflitto, come segnala il giornalista Udo Gümpel,

comincia tutto con l’uccisione dei tre studenti israeliani. Nelle perquisizioni alla ricerca muoiono 6 palestinesi, tra i quali anche il 12enne Ahmad al-Chatib. Suo padre decide di donare gli organi di suo figlio che a sua volta salvano la vita a 6 ragazzi israeliani. 6 israeliani di una formazione terroristica uccidono il 15enne Mohammed Abu Chdeir. Centinaia di genitori israeliani fanno una visita di condoglianza a casa della vittima, volendo rimarcare la differenza tra essi e i terroristi israeliani. La polizia d’Israele acciuffa due presunti assassini del giovane palestinese. La polizia palestinese, purtroppo, non acciuffa nessuno degli assassini dei tre giovani israeliani. Hamas usa il pretesto delle perquisizioni per lanciare razzi sul reattore nucleare, sulle principali città, sui porti e aeroporti; finora ci sono solo feriti gravi e danni materiali, grazie anche all’antimissilistica Iron Dome, non certo alla buona volontà di Hamas. Ora, se la polizia palestinese avesse acciuffato gli assassini dei tre ragazzi israeliani, presumibilmente, il governo israeliano non avrebbe avuto il pretesto/ragione di cercare i ragazzi e i loro sequestratori, e poi, data la resistenza alle perquisizioni, anche molto violenti, non ci sarebbe stato il pretesto di Hamas di lanciare missili su tutto il territorio d’Israele (dalla pagina Facebook del giornalista).

L'espansione di fatto di Israele dal 1948 ai giorni nostri
L’espansione di fatto di Israele dal 1946 ai giorni nostri

Cosa ci insegna questa storia? Semplicemente questo: convenienze politiche interne di entrambe le parti + storica reciproca diffidenza + estremismi di entrambe le parti = reiterazioni dei conflitti = nuovi rancori e nuove vendette da consumare, in un circolo ormai infinito. A questo punto è impossibile stabilire “chi abbia incominciato”; i palestinesi si vendicano di torti subiti da israeliani che si difendono dal terrorismo palestinese, che nasce dalle ingiustizie patite per mano israeliana, nate in risposta a guerre genocide perpetrate dagli arabi, che reagivano all’ostile presenza ebraica… Non c’è un inizio; si assiste a quella “punteggiatura nevrotica” immaginata da Watzlawick che ho descritta in un vecchio post parlando del conflitto politico ma dove accennavo, come esempio internazionale, proprio al conflitto palestinese-israeliano; ognuna delle parti in conflitto ha ragione di sostenere che la sua azione è in risposta al torto dell’altro, e così non c’è un inizio identificabile sul quale agire, in cerca di una soluzione. C’è sempre qualcosa prima, e qui il “prima” affonda nei millenni e nelle promesse fatte dalle rispettive divinità.

Altri fattori internazionali. Sarebbe doveroso indicare, almeno di sfuggita, come in questi decenni si siano giocate anche le posizioni delle grandi potenze, con andamenti diversi prima e dopo la caduta dei blocchi; come abbiano avuto un ruolo legittimante posizioni politiche terzomondiste da parte della sinistra occidentale; come ci siano interessi potenti nell’area tanto più ora, in fase di avanzata islamizzazione radicale di paesi strategici per la fornitura di petrolio; come la lobby ebraico-sionista abbia tuttora un peso rilevantissimo in Occidente, capace di influenzare decisioni di potenze come gli Stati Uniti; come il conflitto sarebbe morto sul nascere se Israele non avesse goduto per decenni di potenti finanziamenti americani e i palestinesi di potenti finanziamenti arabi… Pensiamoci, ogni tanto; forse ci consideriamo solo spettatori delle atrocità oggi a Gaza e in Siria, ieri in Iraq e Iran… ma forse siamo molto più complici di quanto ci piace pensare.

Chi riconosce lo stato di Israele
Chi riconosce lo stato di Israele

In conclusione ritengo, amaramente, che il conflitto non si risolverà mai. Prima o poi finiranno i bombardamenti a Gaza e per un po’ staremo tranquilli; poi esploderà un autobus pieno di bambini israeliani, oppure sarà trucidato qualche ebreo negli insediamenti e si ricomincerà daccapo. Tutto sommato questo conflitto serve, è utile mantenerlo vivo. Attraverso esso il jihadismo ha una ragione primigenia di lotta; il dispotismo mediorientale una ragione per il suo governo dispotico; i perennemente in lotta sunniti e sciiti una ragione di ricomposizione in funzione antioccidentale; il governo israeliano ragioni alla continua mobilitazione; i fondamentalisti ebrei una ragione per il sopruso sui palestinesi e l’occupazione dei territori; eccetera.

In conclusione, comunque, è bene ricordare che in entrambi i fronti si levano continuamente voci di pace; israeliani e palestinesi non sono solo popoli capaci di odiarsi ma anche persone capaci di perdonare e desiderare la coesistenza pacifica e la costruzione di un mondo diverso. Mai confondere, mai, lo stato di Israele e il suo governo con i sionisti, con gli ebrei, con la religione ebraica; né l’autorità palestinese col popolo palestinese, con gli arabi e con gli islamici.

Risorse: