non bisogna mai dimenticare che i giudizi che noi diamo gli uni degli altri, i rapporti d’amicizia, i vincoli familiari non hanno che l’apparenza della stabilità, mentre sono eternamente mobili come il mare. (Marcel Proust, La parte di Guermantes)
Conosco gente su Facebook, come tutti. Secondo Zuckerberg siamo “amici” ma, non essendo più adolescenti, sappiamo bene che non è così. C’è una discreta quantità di “amici” Facebook che non ho mai incontrato in vita mia, non so chi sia, né presumo che conoscerò mai nella vita reale. Poiché Zucky è intelligente e lo sa, ci permette di “non seguire più” alcune di queste facce ignote, di cui non ci frega assolutamente nulla ma che non ci sentiamo di cancellare definitivamente. Insomma, è la vita ai tempi del web 2.0, bellezza, se non ti va bene non aprire un account Facebook, Twitter, Instagram e via discorrendo. Oppure usa questi social ma non come un adolescente foruncoloso e cerca, insomma, di scherzare un po’, di dire qualcosa di serio ogni tanto, di non prendertela se arriva l’idiota a fare polemica e via, pensiamo ad altro. Poiché sono un blogger, e per di più sociologo, non riesco a fare a meno di “stare sui social” (si dice così, anche se è uno stare curioso…); c’è una spaventosa umanità da osservare e studiare, per preparare adeguatamente il bunker che ci deve difendere, mi capite…
Ebbene, fra le centinaia di amici Fb mai conosciuti, si staglia di tanto qualche bella testa. Sapete, gente che fa il commento azzeccato, che coglie il risvolto ironico delle cose, che linka testi seri e interessanti… Sarà anche che uno si ritaglia la platea di amici un po’ a propria immagine, ma a me capita di avere, fra gli “amici”, una mezza dozzina di stupidini, qualche decina di insulsi, un bel po’ di persone rarefatte e poi non pochi interessanti profili di donne e uomini intelligenti. Evviva. Il caso vuole che pian piano, per circostanze diverse, abbia conosciuto di persona una quindicina di queste persone. Forse anche un po’ di più. Persone interessanti, intelligenti, con diverse delle quali ho avviato progetti, scambi di relazioni più stimolanti. Una volta a Torino per lavoro ho incontrato Rossella, di spessore civico notevolissimo; una volta a Ravenna Pamela, sensibile comunicatrice; una volta a Roma… beh, a Roma un sacco di amici; a Milano il saggio Manrico, a Perugia è venuto a trovarmi Marco, affilato ironico e bravo cuoco… Sapete che sono belle amicizie? Sì, lo so: non so più virtuali ma non sono neppure così reali. Avere incontrato qualcun* per un paio d’ore attorno alla pizza non fonda quell’alleanza dovuta alla profonda conoscenza comune, che è ciò che si chiama, generalmente, |amicizia| (leggete il significato 1 del Vocabolario Treccani qui a fianco).
Ma, insomma… se con uno di loro ho fatto questo blog che dura in perfetta sintonia da oltre tre anni, vorrà dire qualcosa, no? Se con un’altra ho sviluppato attività professionali sarà un bene, no? Se con non pochi ci siamo divertiti per anni a scrivere e commentarci racconti, se altri ancora sono membri della mia stessa associazione se… insomma, qualche indicatore di funzionamento di queste amicizie c’è. E ne sono contento.
Anche perché sono reduce da una dolorosissima decimazione di amicizie reali. Proprio di quelle descritte da Treccani. Sapete, grande affinità di sentimenti, traversie e sfide affrontate assieme, collaborazioni mitiche, meravigliosa identità di idee e valori culturali e professionali. Ho contribuito a fare la fortuna di diversi di costoro, persone simpaticamente mediocri che hanno utilizzato alla grande ciò che io donavo loro: tempo, denaro, pazienza ma soprattutto idee. Molte idee. Non idee astratte, ma idee attuate, realizzate, prima da me (lasciato solo a sperimentare) e, quando visto che la cosa funzionava alla grande, donate loro. E poi, sapete come vanno le cose, no? Ci sono stati dei problemi, io mi sono stufato alla grande e me ne sono andato sbattendo la porta. Stupefacente! Ci fosse stato uno, di quei grandi e beneficati amici, che mi abbia più cercato. Sono tutti lì a usare ancora le cose da me create e regalate e si fanno grandemente gli affari loro.
Ho impiegato più di tre anni per metabolizzare questa traumatica esperienza, e lo scriverne ora è la mia piccola terapia, mi perdonerete. Ma per completarla efficacemente devo interrogarmi su questo grande mistero dell’amicizia. Parlo di amicizie mature, di rapporti abbastanza intensi negli anni, vissuti come risorse simmetriche in cui lo scambio affettivo, intellettuale e se occorre anche materiale è reale, scambievole, senza secondi fini. Un po’ come l’amore, probabilmente, non credete? Penso (e invito anche voi a pensare): quanti amici ho? I colleghi di lavoro sono simpatici ma sono, appunto, “colleghi”; i vicini… beh, sono “vicini”, e non amici; i vecchi compagni di scuola? Li ho incontrati l’altra sera, per la rituale cena degli ex. Un gruppo di vecchietti che non si vedeva da … anni (mi vergogno a dire il numero) e che non si riconosceva più. Ah, ci sono i membri della mia associazione, che è un po’ esclusiva e i cui membri sono tutti straordinari per definizione e che, se non fanno parte di una delle categorie precedenti, ho incontrato una sola volta in vita mia. Chi altri? Sì, ci sono gli amici, quelli che meritano questo termine: quelli che incontro di tanto in tanto casualmente (la città è piccola) e che invito a cena un paio di volte l’anno, o forse più di rado. Gli voglio bene, sono persone intelligenti, istruite, simpatiche. E ci vediamo una o due volte l’anno, ciascuno preso dai propri impicci e dolori.
Sto cercando di immedesimarmi in un ipotetico lettore che fra sé e sé commenta “ma com’è possibile, io ho decine di amici!”. A costui dico: fortunato essere umano, benedetto dagli dei, ti invidio. Ti invidio, naturalmente, se sono amici veri, coi quali non si fanno mai i conti perché il bilancio di chi dà e chi riceve non è contemplato; amici ai quali puoi dire tutto, anche in modo seriamente critico, e dai quali ti aspetti altrettanta onestà; amici dai quali ti aspetti solidarietà e riconoscenza. Sono piuttosto convinto che, salvo i più fortunati, la maggior parte ha pochi amici in questo senso, e semmai molti a un livello più superficiale. Come ho scritto altrove viviamo in un mondo sempre più orientato ai legami deboli; tanti semmai, ma deboli. I partner, i colleghi, gli amori, possono anche essere numerosi purché poco impegnativi, purché sostituibili, purché non “pericolosi”, anzi vivaddio che siano poco impegnativi. Stiamo diventando invisibili, nel senso profondo e drammatico raccontato da Ralph Waldo Ellison; lui raccontava l’invisibilità (umana, sociale) dei neri americani del dopoguerra, ma anziché procedere verso l’inclusione da qualche anno agisce, contemporaneamente, una forza escludente. Siamo separati, viviamo separati, e tutto sommato lo preferiamo. Ecco un altro fantastico vantaggio di quella macchina da guerra di Facebook. Lì possiamo avere anche migliaia di amici; una fitta rete di legami deboli, facili da escludere o includere, da accostare o da allontanare, noi invisibili fra invisibili.
Ecco perché vado a caccia di facce reali.
Non sono mai stato tanto odiato come quando ho cercato di essere sincero. O quando, come or ora, ho cercato di articolare esattamente ciò che sentivo essere la verità. Nessuno era soddisfatto, nemmeno io. D’altra parte, non sono mai stato tanto amato ed apprezzato come quando ho cercato di “giustificare” e confermare le erronee credenze di qualcuno; o quando ho cercato di dare ai miei amici le risposte sbagliatissime, assurde, che essi desideravano udire. In mia presenza essi potevano parlare e trovarsi d’accordo con se stessi, il mondo era inchiodato, e questo gli piaceva. Gli dava un senso di sicurezza. Ma qui era il bello: troppo spesso, al fine di giustificarli, io dovevo portarmi le mani alla gola e strozzarmi finché gli occhi mi uscivano dalle orbite e la lingua mi pendeva fuori e oscillava come la porta di una casa vuota durante un uragano. Oh, sì, ciò li rendeva felici, e faceva star male me. Così finii per disgustarmi di affermare, di dire “sì” contro il mio stomaco che diceva no, per non parlare del cervello. (Ralph Ellison, Uomo invisibile)