Tra poche parole è così difficile nascondersi come tra pochi alberi (Nicolás Gómez Dávila).
Twitter è morto, o è come se lo fosse. In crisi di profitti, col top management in fuga, dopo avere cercando di ampliare i confini delle proprie ristrette origini (messaggi lunghi, immagini allegate senza penalità) e avere sostanzialmente ammazzato Vine, come si sapeva da tempo ha annunciato il raddoppio dei caratteri, da 140 a 280. Twitter è morto. Troppi pochi utilizzatori = troppi scarsi profitti; troppi bot e fake che generano traffico fasullo gonfiando dati che, in realtà, sono più modesti (secondo Barry Ritholtz di BloombergView su 313 milioni di utilizzatori mensili solo 100 sono veri esseri umani). Alla ricerca di uno spazio fra i social, Twitter ha annunciato il raddoppio dei caratteri spiegando che c’è un problema di linguaggi per cui, in inglese e in altre lingue, si fatica a stare nel ristretto limite importo, un po’ casualmente, alle origini. Evviva. Ora i cinguettii saranno più lunghi. E quindi?
I puristi sono ovviamente indignatissimi. Si è perso il carattere distintivo di Twitter per ottenere, esattamente, che cosa? Di fronte alla sfida di Facebook e Instagram, non sarà il raddoppio di caratteri a salvare il microblogging di Jack Dorsey, che ha annunciato con un macro-tweet la svolta ed è stato subito punito da utenti che gli hanno eliminato le parole in eccesso, mostrando di poter esprimere lo stesso pensiero nei 140 canonici. Tweet aveva, come carattere distintivo, proprio la concisione; e si è mostrato utile in tanti casi come informazione immediata, di strada, prodotta da cittadini nel corso di eventi (spesso tragici) vissuti in tempo reale. Ricordo, per esempio, che ho vissuto in diretta, via Twitter, la protesta che ha portato alla caduta di Morsi in Egitto; tweet angosciosi, tweet di speranza e di paura, tweet che indicavano il movimento di truppe… Quello era l’uso del microblog. Se aprite ora Twitter, al netto di gattini, tramonti e cuoricini restano lunghi dibattiti pieni di insulti fra piddini e grillini, e poco più (uso estremamente insulso, Twitter non si presta alle chat). Come dice Gianluca Nicoletti
Twitter raddoppia, si potrà scrivere fino a 280 caratteri. Dopo anni di annunci ora è iniziata la reale sperimentazione del cinguettio prolungato. Chi ne avrà vantaggio? Naturalmente quelli che hanno poco da dire, che hanno pensieri omologati, che sentivano bisogno di spazio ulteriore per argomentare il nulla del loro non pensiero. L’opulenza di spazio espressivo non favorisce l’intensità del concetto espresso. La forza di Twitter era l’allenamento che imponeva ai suoi utenti a cercare le parole più efficaci per lasciare tracce di sé, in un fiume di punti di vista di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. Il raddoppio è sicuramente democratico, lo slogan “più caratteri per tutti” renderà ancora più facile l’illudersi di avere un carattere e poter esprimere opinioni originali.
Concordo in pieno. I 140 caratteri erano una sfida alla capacità concettuale sintetica, una cura alla logorrea, un balsamo per affinare la propria capacità espositiva. E lo dice uno che ama argomentare e cavillare, come sanno i lettori di HR, che di Twitter aveva fatto una palestra. Per anni ho scritto “Se non sai dirlo in 140 caratteri, non sai dirlo”. E ho mostrato, in tempi passati, che era possibile. Ho giocato a lungo con Twitter, e vi mostro come sia possibile esprimere concetti complessi con pochissimi caratteri (da qui in poi c’è un po’ di vanità, scusatemi).
Iniziamo con i racconti. Non in pochi si cimentano con racconti da 140 battute; includendo anche un hashtag diventano anche meno. Ecco alcuni esempi:
#Microracconti | #Raccontweet |
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Oppure fiabe, come queste proposte, alcuni anni fa, al concorso Andersen:
O infine, per chiudere gli esempi, i curricula in 140 caratteri, un’idea americana con l’hashtag #twesume (crasi fra tweet e resume):
140 caratteri sono sufficienti per descriversi; per narrare; per ricordare; per annunciare; per segnalare; per dichiarare; per ammonire; per schierarsi; per descrivere; per richiamare; per allertare; per molte altre cose. Non bastano per argomentare, per spiegare, per dialogare, per tante altre cose diverse. Twitter è sostanzialmente fallito per la necessità di ridondanza che pervade l’attualità: la spiegazione prolissa che cela l’inconsistenza di pensiero, la ramanzina demagogica che ci infliggiamo l’un l’altro, la rissa verbale che è diventata di moda. Non basteranno i 280 caratteri. Meglio a questo punto Facebook e altri strumenti che della ridondanza fanno il centro della loro offerta.
Mi dispiace molto, perché sono uno di quelli che ha veramente amato Twitter, cercando di sfruttarlo in maniera massiccia e sperimentandone i limiti. Lo userò ancora, certo, ma senza entusiasmo.