Fenomenologia della gente

Mi dico da anni che il concetto di |gente| meriterebbe un approfondito studio sociologico. Una ricerca trasversale, longitudinale e anche iperspaziale, avendo fondi di ricerca sufficienti. Una ricerca, dico, perché occorre prima di tutta trovarla, questa gente, per poi magari intervistarla e comprenderne le bizzarrie. Trovarla, sì, perché noi tutti, nessun escluso cari lettori, imputiamo alla gente (qualcosa e qualcuno fuori da noi e dal nostro ambito famigliare) un sacco di sozzerie, scorrettezze, delitti perfino, senza mai indicare nomi e cognomi, e magari indirizzi, per poter loro chiedere conto dei misfatti. Eppure, come sappiamo, è la gente che butta le cartacce per terra e non raccoglie la cacca dei cani; è la gente che va di fretta e che se caschi per terra neppure ti guarda; ed è sempre la gente che non capisce un accidenti di niente e sta conducendo il Paese alla rovina. Di motivi per capirne un pochino di più ne abbiamo più che a sufficienza e, se non altro per amor di patria, dobbiamo scovare questa “gente” e far loro render conto che non possiamo permettere che ci trascinino nel baratro, semmai dopo avere calpestato le cacche delle povere bestie.

A poco ci serve una scorsa sull’enciclopedia, ché dice cose note quanto inutili, da “stirpe e nazione” fino a “insieme di persone”. Buonanotte! ci arrivavo da solo. Ma, per dire, quando Bersani parla della nostra (nel senso di sua) gente a chi si riferisce? A quelli che la pensano come lui, ovviamente, ma allora perché non dice “quelli che la pensano come me”? Perché la ‘gente’ non solo è tanta, ma vaga e anche un pochino famigliare (è “nostra”, un po’ come dire “la gente di casa mia” anziché “i miei parenti”). La Gente di Fiumara sono gli amici del paesello:

gente di Fiumara,

torno a bere qui con voi,

amici siamo noi. Oh oh oh oh!

Il vescovo Bassetti voleva stare “con la gente”, Mario Cipollini ama “la gente di Giovinazzo” e attenti che “quando la gente dorme arrivano i ladri”. Ora, in ciascuna di queste frasi si poteva usare il termine ‘persone’, o ‘popolo’, o ‘residenti’, ma queste parole sono fredde, astratte e un pochino improprie, ringraziando la lingua italiana che permette tutte queste sottigliezze semantiche laddove, per un inglese, sarebbe tutto people e buonanotte.

Il vescovo Bassetti non intendeva stare “coi residenti” (una mera circostanza anagrafica) o “con le persone” (come si può non stare con delle persone?) e meno che mai col popolo (un soggetto storico, così mutevole e a volte tumultuoso!), ma con la gente. Uguale fra gli uguali, umile fra gli umili, amico e fratello fra amici e fratelli di fede. ‘Gente’ è famigliare, siamo noi brave persone, il nostro vicinato, la nostra cittadina, le persone del nostro ceto sociale (Briatore non fa parte della gente, per capirsi); tutti senza faccia e senza nome, perché la gente può includere i vicini, ma non è il mio vicino Beppe; la gente sono i miei concittadini, in senso generico, ma non esattamente “i perugini” (se dovessi riferirmi a loro li definirei, appunto, “perugini”…)

A questo punto siamo dentro una profonda contraddizione: la gente sono solitamente gli altri (specie quando dobbiamo segnalare qualcosa che non va) ma la gente siamo noi con un certo senso compartecipativo ed empatico: la gente soffre la crisi (noi tutti soffriamo la crisi); la gente è stufa di questa politica (noi siamo stanchi e confusi da questa politica)… La gente, insomma, è il nostro doppio; noi facciamo il piccolo abuso, ma piccolo piccolo, non cavilliamo, è piuttosto la gente che si approfitta! Noi parcheggiamo in seconda fila ma, giuriamo, non lo facciamo mai, solo questa volta perché c’è il pupo che aspetta, non vorrete farlo piangere, andate invece a vedere la gente come diavolo parcheggia sistematicamente dove non deve! Noi lavoriamo in nero perché non è possibile farsi dissanguare così dallo Stato, ma sappiamo bene che se la gente pagasse le tasse non avremmo le buche sulle strade. La ‘gente’ diventa insomma l’anima strapaesana e provinciale dell’italiano medio, piccolo borghese, un po’ ipocrita e maneggiona, quella che gli italiani hanno portato la civiltà nel mondo ma non è mai uscita dai confini, quella che gli italiani brava gente nella stessa frase in cui siamo i soliti italiani.

Non l’italica civiltà e la gloriosa storia degli avi, non il popolo e men che mai un’inesistente razza, ma la gente ha forgiato il costume e la morale degli italiani. Non la folla, l’uomo massa, il popolo o la nazione, fenomeni – specie gli ultimi due – che hanno scarsamente a che fare con la nostra storia, ma proprio la gente, quella di Francia o Spagna purché se magna, di Gente allegra dio l’aiuta… Non mi resta che sottolineare alcune caratteristiche della gente italiana, caratteristiche che non riguardano in pieno il popolo italiano, o l’Italia come nazione, ma la gente italica: malevola e chiacchierona, impicciona e provinciale; lamentosa ma anche profittatrice (chiagne e fotte); furbastra più che intelligente; pronta ad additare le colpe altrui piuttosto che fare un po’ di sana autocritica; giustizialista e assieme dalla memoria corta. Quando diciamo la gente è un po’ questo che intendiamo, assolvendo sempre e comunque noi stessi, e in quel medesimo atto assolutorio partecipando a pieno titolo a questa metacategoria sociale. Qui allignano qualunquismo e populismo, opinione pubblica e scelte culturali e di valore che scivolano dall’uno all’altro forgiando la realtà delle nostre vite, inclusa la vita pubblica, collettiva, della nazione. Perché è la gente che costruisce la grande impalcatura dei nostri modi di pensare e di essere.

Nessuna cosa è in se stessa onesta né turpe, giusta né ingiusta, piacevole né penosa, buona né cattiva. E’ l’opinione della gente che dà la qualità alle cose, come il sale dà sapore ai cibi (Anatole France, Taide).