La memoria che non vogliamo

Forse il solo Faraone e la sua corte, i suoi consiglieri, i ministri, i maghi furono percossi con le piaghe d’Egitto? O non piuttosto tutto il popolo che si vede complice del suo peccato fu anche compagno del suo castigo? (Biblioteca italiana dei predicatori, vol. quarto, Venezia, 1847, pag. 756)

Scrivo nel giorno della memoria (27 Gennaio). Oggi vogliamo ricordare la shoà, e la necessità di impedirne l’oblio impone una manifestazione pubblica, un rituale civile che, come tutti, si sfilaccia man mano che la distanza storica aumenta, i protagonisti ci lasciano e i nuovi valori sono figli di epoche anni luce distanti dai fatti commemorati. Io credo che il giorno della memoria sia importante, necessario, e che occorre renderlo vivo oltre la commemorazione; diamo spazio alle testimonianze ebraiche; portiamo le scolaresche a visitare i campi, combattiamo dialetticamente tutti i negazionismi, perché chi crede si tratti di una storia remota, roba dei nonni, un’assurda mostruosità che mai si potrà ripetere sbaglia grossolanamente. Bisogna ricordare, chi ha l’età per farlo, e testimoniare. I giovani devono essere educati alla comprensione degli orrori della storia, proprio affinché se ne guardino; che sappiano cosa hanno fatto i nazisti. E che comprendano bene – molto bene – cos’hanno fatto i fascisti. Alcune cose “buone” in mezzo a un mare di viltà, infamie, assassinii, tragedie inenarrabili per la nostra nazione.

Ma la memoria non può esercitarsi con la negazione (da combattere come mostruosità) o con la rimozione, che ne è sorella minore e poco apprezzata nelle sue devastanti conseguenze. La rimozione – per noi italiani – è quella di non parlare dei gas che abbiamo usato, dei tradimenti che abbiamo compiuto, degli ebrei che abbiamo denunciato e quindi mandati a morire, dei patrioti che abbiamo picchiato, ucciso o esiliato. L’idea che i nazisti siano stati il male assoluto, e noi fascistelli mediterranei dei bonaccioni, infine, manco buoni ad essere cattivi davvero… ecco: NO! Noi italiani siamo stati delle merde come i germanici nazisti. Come i giapponesi nell’invasione cinese. Come gli anglosassoni e francesi sterminatori di indiani delle praterie. Come gli spagnoli genocidi in centro e sud America. Come i turchi coi curdi. Come più o meno tutti i popoli quando hanno avuto la possibilità di depredare, sterminare, conquistare.

Se non facciamo i conti col fatto che noi non ci possiamo tirare fuori dalla storia per accoccolarci in una nicchia autoassolutoria, ecco che arriva la rimozione; fate un piccolo test: sapete se l’Italia ha commesso, nella storia recente (diciamo dal 1900), crimini di guerra? La risposta è Sì. In Asia, in Africa e in Europa. La lunga lista la potete trovare perfino sulla Wikipedia che probabilmente non brilla per completezza.

Allora, se dobbiamo ricordare, lo dobbiamo fare in maniera seria. Cosa significa, qui, ricordare, se non “fare i conti con la storia”, capire che noi siamo figli di quella storia, nel bene (i nostri atti eroici, la Resistenza, gli ebrei salvati …) e nel male (i carnefici e tutti coloro che ne appoggiarono l’opera, vale a dire, a inizio del fascismo, la stragrande maggioranza degli italiani). Contadini, operai, piccola borghesia e, ovviamente, anche scienziati e letterati appoggiarono inizialmente il regime. Fu un errore? Non più di quello commesso da chi ha appoggiato la Lega dell’insurrezione annunciata, della destra notoriamente eversiva, del comunismo del dopoguerra i cui aderenti tenevano i fucili in solaio… Fu un errore grave e tragico. Una leggerezza. E certamente, per questo, una colpa. Nessuna colpa può essere diminuita per averla fatta in tanti, e con una sorta di “buona fede”, che è un intruglio del diavolo, fatto di ignoranza, opportunismo spicciolo, vergogna e svariate altre virtù del quieto vivere.

Poi, naturalmente, oltre a bonificare paludi e far marciare treni in orario (fra un’ammazzatina e l’altra) il fascismo si rivelò presto per quello che era veramente, mostrò il volte feroce e oppressivo e le coscienze incominciarono a risvegliarsi, ma quella colpa rimase nei tantissimi che poi lo combatterono, il fascismo, e semmai morirono nel combatterlo.

Questa è la nostra storia. Noi veniamo da quei lombi, di fascisti e antifascisti, di vigliacchi ed eroi, di carnefici e di martiri. Non possiamo dirci figli degli uni cercando di dimenticare gli altri.

E’ di questi giorni la notizia che a Roma e a Napoli vogliono cambiare l’intitolazione di strade dedicate a intellettuali che furono, per un periodo almeno, fascisti. Non stupisce che l’idea è di grossolani populisti come Raggi e De Magistris. E’ un’idiozia. Nessuno, oggi, dedicherebbe una strada a Mussolini o Starace, e questo è il mandato della memoria storica. Prendiamo il Manifesto degli intellettuali fascisti del 1925; fra le firme più note Luigi Barzini s., Gabriele D’Annunzio, Giovanni Gentile, Curzio Malaparte, Luigi Pirandello, Giuseppe Ungaretti… Grave. Il delitto Matteotti era già una realtà e Mussolini, messo alle strette, aveva pronunciato il famoso discorso del 3 gennaio 1925:

Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi.

Grave responsabilità di quegli intellettuali che si unirono al regime proprio nel suo momento di maggiore instabilità iniziale predisponendosi alla dittatura. Ma non poi così grave quanto quella dei parlamentari non fascisti che sostenevano Mussolini (in un governo di coalizione); non così grave come quella del Re che nulla fece – e avrebbe potuto – fermarlo. E gli industriali che lo sostennero. E gran parte del popolo che per molti anni ancora accettò quel regime nel silenzio assordante della stragrande parte di politici e intellettuali, con poche e fulgide eccezioni che onoriamo tutt’ora: Amendola, Gobetti, Gramsci, Nenni, Rosselli e pochi altri politici; e 15 docenti universitari su 1.200 che rifiutarono di firmare nel 1931 il Giuramento di fedeltà al fascismo perdendo la cattedra.

Codardia? Complicità? Bisognerebbe giudicare caso per caso, e con profonda cognizione dell’epoca, delle storie personali, del clima… i docenti comunisti furono invitati dallo stesso Togliatti a firmare e non perdere la cattedra per continuare un’opera educativa ritenuta importante…

Prendiamo Pirandello. Morto nel 1936 aveva fatto in tempo a vedere il marcio del fascismo ma non le leggi razziali (1938) e l’entrata in guerra. Vogliamo togliere dalla toponomastica tutte le “vie Pirandello”? Lo scrittore, premio Nobel, è uno dei giganti della letteratura italiana; consiglio sempre di leggerlo lentamente, ad alta voce… che maestro di stile, che sintassi perfetta! Un genio della letteratura caduto sulla buccia del fascismo per ragioni ideali, familiari, filosofiche… Lo cancelliamo dalla nostra memoria per questo? O non sarà meglio ragionare sul fatto che si può essere straordinari letterati ma ordinari uomini in balìa del tempo, incapaci di una visione grande e prospettica, animati spesso da sentimenti piccoli e da fragilità… Perché allora, attenzione, che dovremmo rivedere l’eroica figura di Garibaldi, mentre a quella di Cristoforo Colombo ci sta pensando una parte di americani. E di quell’assassino di Giulio Cesare vogliamo parlare?

Non possiamo costruirci la memoria che ci piace. La nostra cultura comprende Matteotti e Mussolini, Amendola e Gentile, Gobetti e D’Annunzio. Condanniamo i carnefici, e condanniamo le azioni sbagliate di chi – mai carnefice – non ebbe la forza, la capacità o la voglia di dissociarsi. Ma non perdiamo il senso della realtà. D’Annunzio ha scritto liriche ispirate, Pirandello è un gigante su tutti, Malaparte riconsiderò a fondo la sua posizione e ha scritto opere mirabili… E tutto questo è la nostra storia.