Dice bene, molto bene, Lucia Annunziata sull’HuffPost: i vertici di Atlantia (Autostrade) hanno mostrato una insopportabile insensibilità verso le vittime della tragedia di Genova. Dopo avere ricordato i vuoti comunicati e la linea puramente difensiva e arida dei vertici aziendali, Annunziata arriva a una importante conclusione:
Il caso Genova deve essere inserito profondamente nel dibattito politico su cosa sta succedendo in Italia. La torre d’avorio in cui i Benetton, pur maestri di comunicazione, sono chiusi in queste ore; la cautela legale che travasa in pura indifferenza umana; la prevalenza della logica astratta del denaro sul servizio, sono la perfetta rappresentazione di tutte le ragioni della rivolta elettorale che ha dato la stragrande vittoria al populismo.
Questa conclusione mi piace perché riconduce alla politica quello che potrebbe essere letto semplicemente come comportamento etico (i padroni sempre cattivi) o logica economicistica (il perverso liberismo e le sue logiche del profitto). C’è anche quello, indubbiamente, come c’è una profonda incapacità comunicativa (lo scrive anche Annunziata) e profonda incapacità tattica nel leggere la realtà. Diamine, ma neppure un ipocrito e fintamente contrito ricordo delle vittime? Un cordoglio falso come una moneta da tre Euro, giusto per salvare la forma? Per aziende di questo livello, e tanto più in questo specifico caso, questa dimenticanza, o questa insensibilità, o questa faccia inumana per nulla dissimulata appare stridente, perfino strana…
Annunziata affonda la lama ma non la rigira nella piaga, e quindi tocca a me squarciare le carni di questa storia di amoralità, anaffettività, astrattezza umana. Lo faccio a partire da quelle che sono state le reazioni politiche, poi quelle sociali. Vi ricordate qual è stata la risposta del governo a partire da un minuto dopo la tragedia?
Questa la più importante dichiarazione di Toninelli, mercoledì mattina (giorno dopo il crollo):
Sono passate nemmeno 24 ore dalla tragedia che ha colpito Genova, e come tutti noi ho ancora negli occhi quelle terribili immagini del crollo del ponte Morandi. Oggi sarò tra le macerie macchiate di sangue e provo rabbia perché in un Paese civile non si può morire per un ponte che crolla. Lo voglio ribadire con ancora più forza: chi ha colpe per questa tragedia ingiustificabile dovrà essere punito. Alle società che gestiscono le nostre autostrade sborsiamo i pedaggi più cari d’Europa mentre loro pagano concessioni a prezzi vergognosi. Incassano miliardi, versando in tasse pochi milioni e non fanno neanche la manutenzione che sarebbe necessaria a ponti e assi viari. I vertici di Autostrade per l’Italia devono dimettersi prima di tutto. E visto che ci sono state gravi inadempienze, annuncio fin da ora che abbiamo attivato tutte le procedure per l’eventuale revoca delle concessioni, e per comminare multe fino a 150 milioni di euro. Se non sono capaci di gestire le nostre Autostrade, lo farà lo Stato (fonte).
In quelle ore Di Maio diceva, a Radio Radicale:
I responsabili hanno un nome e un cognome e sono Autostrade per l’Italia. Dopo anni che si è detto che le cose dai privati sarebbero state gestite molto meglio, ci troviamo con uno dei più gradi concessionari europei che ci dice che quel ponte era in sicurezza. Queste sono scuse. Autostrade deve fare la manutenzione e non l’ha fatta. Prima di tutto si dimettano i vertici.
Mentre in un tweet Salvini affermava:
Nostro dovere sarà controllare tutte le opere pubbliche segnalate da sindaci e cittadini, e individuare i colpevoli di questo disastro che non resterà impunito (fonte).
Poi il leghista si è distinto per i suoi selfi siciliani allegri e scanzonati ma vabbé…
Menzione al dolore delle vittime, certo; grandi ringraziamenti ai soccorritori, come d’uopo; ma l’accento fisso, corale, sulle colpe e i colpevoli.
Come ha osservato Andrea Cangini
Esistevano regole, regole non scritte. Regole alle quali tutti i partiti, istintivamente, si adattavano. Una di queste regole diceva che quando una tragedia colpisce la Nazione la politica ammutolisce e il conflitto si sospende. Esistevano delle regole, ma non esistono più. Nelle democrazia del narcisismo l’unica regola è la sregolatezza dei social: prima parlo, poi penso; prima commento, poi mi documento; prima accuso, poi, eventualmente, rifletto.
La tragedia di Genova non ha fatto eccezione. Quando le vittime erano ancora intrappolata tra le macerie, il ministro grillino alle Infrastrutture, Danilo Toninelli, già puntava l’indice contro presunti “colpevoli”, mentre il deputato ligure pentastellato Massimo Baroni ne approfittava per scagliarsi contro “le grandi opere”.
Da una parte quindi l’arido silenzio difensivo dei vertici aziendali, dall’altra l’assurdo, petulante, monotono coro governativo sui colpevoli. In particolare i pentastellati (Salvini, che da solo vale tutti i grillini al governo, si è sostanzialmente defilato subito) un minuto dopo la tragedia erano tecnici (conoscevano le cause del crollo), giudici (indicavano a chiare lettere i colpevoli) e giustizieri (minacciavano salzioni e impossibili vendette – perché di questo si tratta). I cittadini nel mezzo; in parte annichiliti dal dolore e in parte nel flusso mainstream delle colpe. Le colpe. Perché chi ha un animo semplice vuole poter dire presto “È colpa sua” e chiudere lì la faccenda. La giustizia rapida e ottusa, ciò che chiamiamo “giustizialismo” è esattamente questo: poter leggere facilmente il mondo secondo le elementari categorie del bene e del male. Tutti i rei sono il male; tutti i colpevoli vanno eliminati dalla società sana che noi rappresentiamo. In galera e buttare via la chiave. Il giustizialismo non è interessato allo Stato di Diritto; chi se ne frega delle regole, delle procedure, del diritto alla difesa, della lunga, estenuante, catena di appelli e gradi di giustizia? Soldi sprecati, e poi si sa che i potenti in galera non ci finiscono, giusto? Quindi: giustizia in breve, in piazza. Piazzale Loreto, per quanto antifascisti siate, è stata una vergogna. Le monetine tirate a Craxi al Raphael (30 aprile del 1993) sono state una gogna disonorevole per chi quelle monetine tirò e per chi applaudì. La lunga sequela di “indiscrezioni trapelate” che hanno sbattuto in prima pagina persone (colpevoli o innocenti) e la cosiddetta “macchina del fango” utilizzata ampiamente da tutti, ma in particolare da qualcuno, è il modo per linciare pubblicamente avversari, potenti, personaggi, privandoli del diritto alla difesa, alla privacy, alla dignitità personale (e dei loro congiunti).
L’ottusa stupidità di Autostrade, Benetton e gli altri ha consensito facilmente l’esplosione del giustizialismo grillino (e in generale governativo) che ne è specchio. Il giustizialismo non vive senza l’ottusa stupidità che non vede le vite e le storie spezzate, la città ferita, la necessità di una pausa dei pensieri per vivere un momento corale di empatia. Ecco perché condivo l’affondo di Annunziata sul lato politico di questa ottusità. Viviamo in un mondo che si palesa sempre più senza cuore e senza cervello. Le emozioni che proviamo sono troppo spesso viziate dal sensazionalismo, dalla facile indignazione, da rappresentazioni sfilacciate della realtà, e su questo difetto, di ipersemplificazione di fatti complessi, il giustizialismo si innesta come soluzione salvifica. Come se cacciare i dirigenti di Austostrade e sanzionare l’Azienda risolvesse il (singolare, unico) problema; facciamogliela pagare, e poi giriamo pagina. Ma occorre stare attenti: il giustizialismo si nutre della stessa materia oscura del razzismo, del fascismo, dell’oscurantismo scientifico… È sempre la stessa storia: la negazione della realtà complessa, una sua rappresentazione ipersemplificata e l’identificazione di una persona (o una categoria) come Male, come nemica.
E così i problemi non si risolvono, ma diventano nuovi campi di battaglia.