Brevi osservazioni sul Reddito di Cittadinanza: perché è una riforma rischiosa

Il c.d. Reddito di Cittadinanza (RdC) è destinato a deludere pro­fon­da­­mente sia chi lo ha promosso, sia chi lo attende con grandi aspettative.

Poteva essere invece uno strumento di lotta al lavoro nero, an­co­ran­do il beneficio ad un rapporto di lavoro (di una certa durata e a partire da una data antecedente all’entrata in vigore del provvedimento RdC) in chiaro.

Al di là delle polemiche sulle sue coperture finanziarie e sulle variazioni annunciate riguardo agli importi, l’iter che porta al RdC si presenta assai complicato. E soprattutto non nuovo. Dati i precedenti, stupisce ci sia voluti infilare in un meccanismo così rischioso, aggravato dal fatto che si promettono soldi.

Partiamo dalla difficile riforma dei Centri per l’Impiego. Inizialmente tramite questi organismi doveva aver luogo tutta la procedura: convocazione degli interessati, colloquio orientativo, patto tra disoccupato e istituzione, incontro domanda/offerta, erogazione del beneficio a seguito di controlli, monitoraggio.

L’iter ricalca quello già previsto dalla normativa del 2000 che acco­m­pagnò l’istituzione dei Centri per l’Impiego, poi novellata con ri­toc­­chi dai governi che si sono succeduti, sempre con scarsissimi risultati.

Per una serie di carenze e difficoltà che affliggono da sempre il Collocamento di manodopera prima della riforma e i Centri per l’Impiego poi, l’attuale Governo ripiega verso altre soluzioni come il coinvolgimento delle agenzie private. Queste ultime avranno interesse, come già peraltro avviene, a prendere in carico i disoccupati meno difficili e più appetibili ― tra cui gli stranieri che hanno bisogno di lavorare ― lasciando al settore pubblico gli “incollocabili”: anziani, disoccupati di lungo corso, disabili (soprattutto psichici).

Per aiutare gli aspiranti lavoratori, si parla di assunzioni di nuovo per­so­nale, una nuova figura detta “navigator”. Costoro dovrebbero affiancare i di­soccupati cui spetta il RdC ad intraprendere un’attività lavorativa, ap­pog­giandosi all’ANPAL (Agenzia nazionale Politiche Attive del Lavoro, voluta dal Governo Renzi).

Anche la figura del tutor non è nuova. Già vent’anni fa, l’allora riforma del mercato del lavoro prevedeva persone competenti in questa materia come psicologi del lavoro, orientatori, tutor, consulenti ecc. Peccato che in tanti anni non si è pensato e provveduto da parte di alcuna istituzione (Ministero, Regioni, Esperti ecc.) a definire, a professionalizzare, a dettare opportuni criteri per il reclutamento di questa figura. I risultati sono nei report dell’Isfol (oggi INAAP) e nelle statistiche dell’occupazione ISTAT.

Un ultimo aspetto degno di menzione riguarda la proposta di la­voro al disoccupato, posto che le occasioni di impiego o di for­ma­zione si con­cretiz­zino davvero, contrariamente a quanto è successo ne­gli ultimi vent’anni. È be­ne ricordare che fino ad oggi la pe­na­liz­zazione prevista dalla normativa è sostanzialmente inesistente perché non ci sono soldi in ballo; si tratta di un adempimento burocratico ― la dichiarazione di disponibilità e l’accertamento del re­­ddito per essere considerati disoccupati ― e tutto rimane come prima.

Oggi, si dice, il disoccupato non perde il diritto al RdC, non viene cioè pe­nalizzato, se accetta la proposta di lavoro. Domanda: basta la proposta o es­­sa si deve concretizzare? In altri termini: è sufficiente che un aspirante la­vo­ratore accetti il contatto con la Ditta XY? Tecnicamente questo è un “av­viamento” al lavoro che va poi perfezionato in “assunzione” (o in qual­cosa di analogo se si tratta di tirocini). Se il contatto tra Azienda e aspirante lavoratore c’è, ma non si conclude cosa succede? Niente, si dirà. Ma in capo a chi cade la responsabilità di ciò? E come si fa a stabilire i termini di res­pon­sa­bilità dell’una e dell’altra parte? E se il rapporto di lavoro cessa nel periodo di prova, si perde il diritto a percepire il RdC? Ancora: fino a che punto è legittimo ri­fiutare un’offerta? Decade il disoccupato dal beneficio (il RdC) perché non ha accettato la proposta di impiego, anche quando questa è palesemente antieconomica (ad es. spostarsi al nord per lavoro ma con una copertura insufficiente delle spese)? Da queste poche domande, si vede come ci sono ampi margini perché si aprano contenziosi. Per questo insieme di motivi l’introduzione del RdC rischia di essere un giocattolo destinato a rompersi presto: un boomerang per chi lo ha promosso e una cocente delusione per chi lo attende, lasciando dietro di sé una scia di delusione e rabbia, ancora più incontenibili (e pericolose) di quanto lo siano state fino ad ora.