Agli appassionati del lugubre notturno italiano non sarà sfuggito che fra i motivi di litigio dei separati in casa al governo c’è la TAV, e che sulla TAV è stata prodotta di recente una Analisi Costi Benefici (solitamente indicata con le sigle ACB oppure ABC) commissionata dal ministro Toninelli a un gruppo di “tecnici” (una delle parole svuotate di senso in questa guerra giocata sul linguaggio…) notoriamente amici dei NO-TAV (QUI la critica a questo studio); a questo punto cosa ti fanno quei furbacchioni della Lega? Eh? Avete indovinato? Una controanalisi, ovvio! che dice – non ci crederete – che la TAV sì, va fatta. “Parleremo alla luce dei numeri”, dicono dal ministero delle Infrastrutture non sapendo di dire un’emerita frescaccia. E poiché noi continuiamo a dire in tutte le salse di essere dei razionalisti, eccovi qui un bel post che vi spiega la logica della frescaccia, e cosa si sarebbe dovuto fare – ma non si farà mai – per fare una cosa seria.
Cominciamo col dire che l’ABC (o l’ACB, come vi pare) è una antica e rispettata tecnica di valutazione delle politiche pubbliche di stampo economico, nata per aiutare il decisore a scegliere fra alternative, in generale di carattere infrastrutturale. Nel caso in questione le alternative sono solo due: fare la TAV o non fare la TAV. Per farla breve breve: si fa una bella somma di tutti i costi (diretti e indiretti, presenti e futuri…) e una bella lista di tutti i benefici espressi in termini monetari e si fa la differenza per vedere quanto i costi prevalgano sui benefici, o viceversa. Si compara questo risultato per ogni opzione a disposizione (nel nostro caso, come detto, sono solo due) e si vede quale mostri il rapporto costi/benefici migliore, sempre espresso in termini monetari.
Qualunque manuale di ricerca valutativa ne parla, o almeno ne accenna, anche se questa tecnica è in forte declino per i seguenti motivi:
- è necessariamente legata alla trasformazione di tutti i fattori di costo e di beneficio in termini monetari, e questo è estremamente riduttivo sotto il profilo metodologico;
- lega l’efficacia (che è un concetto assai complesso) al solo rapporto monetario costi/benefici trascurandone molti altri aspetti;
- altre tecniche economiche sono ormai utilizzate con migliore profitto;
- altri approcci multimetodo, capaci di incrociare elementi economici e sociali sono ormai preferiti in quasi ogni ambito valutativo.
Naturalmente i curiosi (o i “professoroni” esperti della materia che leggeranno questo post) potranno trovare vari correttivi ad alcune delle critiche sopra rapidamente menzionate, e insomma viva anche l’ABC (o l’ACB, come vi pare) se ritenuta utile, in un contesto di ricerca valutativa intelligente. Ma, come immaginate, il nostro caso di studio non è del tipo intelligente.
Quali problemi dal punto di vista di una valutazione scolastica? Ce ne sono moltissimi, in gran parte noiosi e tecnici, per cui farò una sintesi assai divulgativa e incompleta; incominciamo:
- la critica metodologicamente più rilevante riguarda proprio la tecnica scelta, eccessivamente economicista; questa tecnica deve necessariamente trasformare tutti gli elementi ritenuti “di costo” (e qui è generalmente più facile) e tutti quelli reputati “di beneficio” (e qui le cose si complicano assai) in termini monetari (poi ci sono piccole beghe come l’attualizzazione di costi e benefici futuri, ma lasciamo stare). Quindi: costo manodopera, facile; costo materiali, facile; costo per bucare la montagna, facile… (insomma…). Ma supponiamo che nel passaggio della tratta si debba buttare giù un boschetto, cresciuto dove non doveva; qual è il “costo” di quel boschetto? Il prezzo di mercato della legna? O c’è anche un costo dovuto al danno paesaggistico, per esempio? E se fosse, come calcolarlo? (Qui si sono inventati cose orride come una cosiddetta valutazione contingente che vi risparmio); e la salubrità dell’aria, e il patrimonio faunistico ivi residente, e le passeggiate a raccoglier funghi del sig. Bruno valgono qualcosa? Non lo sapremo mai, perché la costi-benefici non riesce a quantificare (monetizzare) questi e innumerevoli altri fattori, il che ci porta alla critica n° 2;
- i fattori di costi e quelli ipotizzati di beneficio, come sono selezionati? Potremmo essere d’accordo (io non lo sarei) sul fatto che ce ne infischiamo dei funghi del sig. Bruno, ma decidere se quel bosco vale solo la legna di cui è composto, o se occorra stimare salubrità perduta, eccetera, non sono differenze di poco conto. Ebbene: non c’è una regola. Ovviamente. È una pia illusione che si possano identificare tutti i costi (tranne quelli “facili” ed evidenti: materiali, manodopera etc.) ed è assolutamente chiaro che nessuno può essere sicuro di avere in lista tutti i benefici, o almeno tutti quelli più importanti. Primo, perché l’ACB non è propriamente una tecnica per gente fantasiosa; secondo – e dirimente – perché a una quantità di costi e di benefici non sapremmo assolutamente come attribuire un valore economico (l’esempio del bosco fatto prima era fin troppo facile, ma quanto valga il tempo del sig. Bruno vi sfido a stabilirlo) e quindi – espediente furbissimo – semplicemente vengono ignorati;
- le critiche alla tecnica sono poca cosa rispetto a una critica talmente macroscopica, enorme, palese, che stupisce come i valutatori italiani e le loro rappresentanze non si siano sollevate come una sola donna (o uomo) per gridare all’orrido orrore: non ha senso alcuna valutazione di parte. Detta così può sembrare banale ma – credo ovvio – la valutazione di qualunque politica ha senso nella misura in cui si pone come terza rispetto alle parti in causa (decisori, beneficiari…). Qualunque valutazione piegata alla ragione, ai desideri, alla volontà di chi l’ha commissionata, vale zero spaccato indipendentemente dalla “qualità tecnica” dello studio. L’ACB di Toninelli vale zero anche senza la contromossa di Salvini, che ovviamente vale meno di zero.

A questo punto: cosa si sarebbe dovuto fare, per fare una cosa seria? Anche se il tema è estremamente complesso, proprio in senso tecnico e metodologico, a me pare che il campo di studio e pratiche chiamato “valutazione delle politiche pubbliche” abbia espresso, da decenni (perfino in Italia, pensate voi!), una mole di esperienze, pratiche, casi di studio, procedure, tecniche e via enumerando, tali da avere solo l’imbarazzo della scelta. Chi fa il valutatore di mestiere, e sa fare quel mestiere, lo sa bene. Gli “esperti” di Toninelli e quelli di Salvini, o non lo sanno o sono stati pagati davvero bene. Per accontentare in qualche modo le giuste curiosità del lettore, semplifico in due semplici punti:
- la valutazione è percepita come “terza” solo se le parti contrapposte e in conflitto (in questo caso: sostenitori e detrattori della TAV, siano essi cittadini, forze politiche o istituzioni) sono attivamente coinvolte nel processo valutativo, avendo con ciò la possibilità di contribuire alla costruzione del dato, controllando al tempo stesso il percorso metodologico;
- la valutazione approccia il problema con metodi multipli e misti: economici e sociologici, capaci di cogliere molteplici elementi che necessariamente sfuggono alla sola ACB, di “incrociarli” fra loro, e di fare una sintesi che, in qualche modo, oltre al costo per bucare la montagna include i funghi del sig. Bruno.
Tutto questo, per essere chiari, è l’abc della valutazione (in minuscolo, proprio nel senso dell’abiccì). Si poteva e doveva fare anni fa, non ho la più pallida idea se rimangono spazi di tempo per fare una cosa del genere ora (non improvvisabile e un po’ lunghetta) anche se sono certo che nessuno la vorrebbe, perché in questo caso i risultati non sarebbero affatto scontati né per Toninelli né per Salvini.
Finalino nerd: “Parleremo alla luce dei numeri”, dicono dal ministero delle Infrastrutture apprendendo dell’entrata a gamba tesa di Salvini. E anche qui si tratta di una sciocchezza che ci farebbe aprire un nuovo lunghissimo capitolo che vi eviterò, salvo dicendo che i numeri sono sempre e solo costruzioni sociali. Parlo ovviamente dei numeri della ricerca sociale, della programmazione, della valutazione, della politica, e via via tutti (ma proprio tutti tutti) i numeri che hanno a che fare con le persone e le loro relazioni (sulla fisica si esprimerà l’amico Ottonieri). Anche se apparirà come una digressione un po’ a galla per aria, a me pare utile, almeno per quei lettori più curiosi. Tratterò il tema con un esempietto semplice, sempre in chiave di divulgazione.
Il linguaggio ordinario (questo che state leggendo) e il linguaggio matematico hanno molte proprietà in comune. Una di queste è l’indicalità. Con questo termine si segnala il fatto che il linguaggio ordinario, notoriamente vago (concetto fondamentale introdotto da Russell nel 1923), si rende comprensibile ai parlanti grazie al fatto che fa riferimenti a circostanze e oggetti noti e contestuali; alcune parole sono marcatamente indicali: “io, tu, questo, quello, così…” ma a livelli diversi tutto il discorso umano (tutto il linguaggio) è indicale in quanto vago. Ebbene anche i numeri sono vaghi e indicali.‘3’ non significa assolutamente nulla, esattamente come se si dicesse “G”. Ma neppure ‘3 mele’ significa nulla, esattamente come se si dicesse “Groenlandia”. Invece ‘Quelle 3 mele sul tavolo hanno un bel colore’ ha indubbiamente un significato, esattamente come “Mi piacerebbe fare un viaggio in Groenlandia”, ma solo se siamo interessati a quelle 3 mele e siamo lì in quella stanza a guardarle.
I numeri hanno un significato vago che si traduce con una forte indicalità che in matematica si risolve con un linguaggio più formalizzato, diversamente dal linguaggio ordinario (non c’è “un po’” di mele, ce ne sono esattamente 3). Vediamo quindi che i numeri sono meri segni che – al pari delle lettere – si combinano per formulare concetti. I numeri sono concetti – quando non restano a mero livello segnico delle cifre – esattamente come le parole, e possono formare concetti matematici complessi esattamente come le parole possono formulare concetti più elaborati attraverso frasi complesse. In entrambi i casi abbiamo le regole combinatorie, grammaticali, per elaborare, accostare, far aumentare di senso i segni letterari e quelli matematici (un approfondimento specialistico e noioso QUI).
Estendo questa riflessione (ma ce ne sono svariate altre) ai numeri che ci indicherebbero la verità; ebbene, semplicemente non è vero. La verità dei numeri della ricerca sociale e valutativa è una verità “costruita” a partire da una certa definizione del problema, poi da diverse specifiche (e oggetto di controversie) modalità di approccio e indagine, quindi dalla loro interpretazione che si fonda sempre sulle credenze delle persone, sulle loro competenze, intelligenze, loro desideri e così via.
Ecco un’altra e fondamentale ragione per un approccio partecipato, come scritto sopra, che coinvolgendo le diverse parti proprio nella costruzione del dato non rende questo oggettivo, ma almeno accettato come tale dalle parti in causa.