Prima di fare alcune amare riflessioni, tutte basate su esperienze dirette, vi suggerisco di guardare questo breve filmato di Milena Gabanelli, che spiega come l’Italia non sappia utilizzare i fondi europei (che meglio dovrebbero essere chiamati “soldi nostri” che Bruxelles ridistribuisce a fronte di progetti e programmi).
Il video è comunque corredato da un testo con cifre e grafici; il dato in assoluto più eclatante è il seguente: della programmazione 2014-2020, l’Italia, a fine 2018, aveva speso solo il 3%. Ciò significa che nei due anni residui deve programmare, bandire gare, valutarle, proclamare i vincitori, erogare fondi, curarne il monitoraggio, verificare la corretta esecuzione, pretendere e certificare i rendiconti finanziari, realizzare una valutazione di efficacia, per un montante pari a 41 miliardi di euro (il 97% dei quasi 43 miliardi assegnatici); se non ce la si fa, semplicemente quei soldi tornano a Bruxelles che li ridistribuirà (quei soldi nostri, pagati dai cittadini italiani con le loro tasse) a chi avrà saputo spenderli.
Le ragioni di questo disastro sono riepilogate, da Gabanelli (su fonte UE) come segue:

A questo vanno aggiunte frodi e inconsistenza politica, incapace di andare a Bruxelles a negoziare condizioni favorevoli all’Italia.
Guarda caso la mia occupazione professionale secondaria (la primaria, come sapete, è quella del blogger) riguarda la valutazione delle politiche e programmi, e quindi anche la valutazione dei programmi finanziati da Bruxelles e, negli ultimi lunghi anni (decenni…) ho visto all’opera le amministrazioni regionali di mezza Italia. Qui un breve elenco di doglianze basate sulla mia esperienza, in ordine (più o meno) di incidenza negativa sulla capacità dell’uso completo ed efficace dei fondi disponibili:
- burocrazia incompetente: malgrado i problemi che vengono dal ceto politico e dalla dirigenza, di cui mi occupo poco più avanti, il problema numero uno è la burocrazia intesa sia come norme farraginose sia come personale (funzionari pubblici) incapace. Un’amministrazione regionale è una struttura assai complessa dove – sovente – le posizioni funzionali sono sclerotizzate e difese come piccoli fortini assediati: chi gestisce un qualunque micro-potere amministrativo lo difende spesso con le unghie e coi denti dalle interferenze altrui (per ragioni simboliche di ruolo, perché pensa di averne riconoscimenti, perché aspira a fare carriera…); se quel funzionario vuole, può rallentare una pratica senza che sia realmente possibile imporgli un comportamento più reattivo. Qui si consumano anche le faide interne nelle amministrazioni, quelli favorevoli a un certo dirigente, quelli fedelissimi di un altro, quelli che hanno sposato determinati interessi politici non necessariamente propri del ruolo terzo che dovrebbe avere l’apparato, e così via. Nella complessità organizzativa (e spesso, più che complessità, occorrerebbe dire “nelle paludi amministrative”) i processi necessari passano attraverso molti uffici, spesso dozzine, ciascuno col proprio pretoriano-burocrate a guardia, e viene a mancare non solo la celerità, ma anche la chiara visione del perché un determinato procedimento possa essere strategico, vitale, e realmente urgente; ho visto eccellenti dirigenti pubblici fallire – proprio nel campo dei fondi strutturali – perché invischiati in burocrazie ignave, mendaci, pigre, faziose;
- dirigenti incapaci o inadatti: poi, analogamente, c’è una responsabilità anche di chi dirige la programmazione regionale e gestisce i fondi; raramente costoro sono veramente “incapaci” nel senso delle competenze possedute (ci sono anche questi, certo) ma più spesso sono impossibilitati sia dalle risorse umane disponibili (punto precedente) sia dalle logiche politiche alle quali devono, alla fine, piegarsi (punto seguente); i dirigenti sono oggetto di spoil system, sono come foglie al vento ed esposti ai chiari di luna politici; basta impuntarsi (alla luce di ragioni tecniche) per un certo impiego dei Fondi, per una certa modalità di messa a bando, per resistere a pressioni indebite, per farsi dei nemici in Giunta, vedersi prima delegittimare e poi eventualmente licenziare (o minacciare di cacciata); anche il dirigente capace e integerrimo, se vuole gestire la mastodontica baracca che si riversa – come responsabilità tecnica – sulle sue spalle, deve prima cedere un pochino, poi accontentare su qualcosina, e infine – salvo defaticanti e perdenti bracci di ferro – cedere su molto, su troppo… Lo spoiling system, poi, provoca danni micidiali; a volte colui o colei che ha impostato la programmazione, discutendola ai vari livelli e avviandola nella propria regione, non è colui o colei che due o quattro anni dopo si trova – senza memoria storica del pregresso – a dovere giustificare ai funzionari europei il perché e il percome dei ritardi;
- politici voraci: e questo chiude il cerchio, ovviamente; pochissimi politici regionali capiscono il senso dei Fondi; per la maggior parte si tratta di un bel gruzzolo che può sostenere la loro immagine, specie se spesi facendo favori a specifici territori, in specifici ambiti o addirittura favorendo specifici beneficiari. Il concetto di “programmazione” (investire con criterio in determinati ambiti) è per loro generalmente oscuro e comunque fastidioso, perché è meglio dare un po’ di soldi a tutti senza scontentare troppo nessuno, badando bene che chi deve avere qualcosa l’abbia, piuttosto che andare a spiegare perché si è investito in un determinato ambito, o territorio, anziché un altro; i politici hanno la visione del mandato elettorale, e tengono in pugno la dirigenza, e diventano quindi un fattore di qualità pessima della progettazione (non serve) e di sottogoverno;
- beneficiari male educati: una conseguenza è che spesso non serve fare un buon progetto, innovativo, moltiplicatore di benefici; se lo fai troppo bene potrebbe addirittura non essere capito; o il finanziamento arriva talmente tardi che diventa inutile; o comunque viene preferito quello “al quale non si può dire di no” per una qualunque ragione; in diversi settori, ormai, ci sono società specializzate nelle “retorica dei bandi” (ovvero: come scrivere in modo ruffiano che piace ai funzionari pubblici che devono decidere se ammetterti a finanziamento), che girano impresa per impresa per favorire i propri uffici. In questo modo non si spende per aziende con idee chiare, ma aziende qualunque che – grazie a un bravo “scrittore di bandi” – accedono a fondi che diventano un surplus, un fondo per investimenti che si sarebbero comunque fatti, o addirittura fondi che vengono spesi solo perché i soldi ci sono, e devono essere rendicontati, ma senza reali bisogni, e quindi sprecandoli;
- pubblica opinione disinteressata: la gente si lamenta dell’Europa; poi si lamenta delle Regioni che non sanno spendere; ma cosa fa “la gente” per migliorare questa pessima situazione? Nulla. Nell’ignoranza verso la quantità di soldi disponibili, l’opinione pubblica si disinteressa delle procedure, dei bandi, dei beneficiari e dell’utilizzo dei soldi, mentre dovrebbe essere assai più vigile. Alcune regioni italiane, al momento in cui scrivo, sono tuttora sotto quel 3% medio indicato sopra, e in alcuni Assi dei POR FESR (= settori specifici di uno dei principali Programmi europei) la spesa è pari a zero. Zero su molti milioni da programmare, spendere e rendicontare subito. Un’impresa ovviamente disperata. Ma sembra che la nostra preoccupazione, come cittadini, sia di chiarire se Junker è davvero un ubriacone, se Macron sia amico dell’Italia o no, e baggianate simili, mentre molti altri Paesi spendono bene i loro fondi, li utilizzano per crescere e diventare competitivi, e aspettano con ansia di papparsi anche le nostre quote inutilizzate. Qui c’è una colpa chiara ed evidente anche di quesi professionisti che affiancano le Regioni come supporto alla programmazione (prima) alla comunicazione (durante) e alla valutazione (prima, durante e dopo) che si adagiano alle richieste anziché stimolarle, chinano il capo in attesa di fatturare, anziché essere interlocutori autorevoli, scrivono relazioni accomodanti prostituite al potere, anziché svolgere il ruolo critico che sarebbe loro dovere agire.