Posso essere un po’ sboccato, cosa che mi viene abbastanza facile? Ma che palle ‘sta TAV (che poi: perché “il” TAV, come ho dovuto scrivere e non la TAV, che mi sembra tanto più gentile?). La TAV (suvvia, fatemi usare il femminile, per favore…) è un esempio chiaro, lampante, emblematico, semplicissimo di tutto l’orrido che esiste nella prepolitica italiana, nella sua umoralità primitiva, nella sua inconsistenza sia intellettiva (c’è pochissimo di intelligente nel dibattito in corso) che umorale (ci si appassiona e si strepita su che cosa, esattamente?).
In questo post non parlerò nel merito dei finanziamenti già presenti, dei ritorni economici, degli impatti paventati (dai valsusini, per esempio) o vantati (dalle “madamine”, per esempio), delle relazioni internazionali e via discorrendo di tutta l’intricata e complessa matassa che solo tutta assieme può essere trattata (perché vedere e trattate solo un singolo aspetto non basta né a giustificare l’opera né a bloccarla), ma di un aspetto meta-decisionale, vale a dire: come andrebbe trattata una materia di questo genere in una nazione moderna priva di maggioranze populiste.
Che poi, alla fin fine, sarebbe tutto così semplice!
- In tavoli internazionali dove siede anche l’Italia nasce laboriosamente e faticosamente l’idea di un progetto internazionale (un gasdotto – come il Poseidon che l’Italia populista sta bloccando; una grande via di comunicazione come la TAV; un progetto di ricerca…). Occorre pensare che in questi tavoli nessuno progetta di rendere quadrata la Luna o di coltivare funghi nell’Antartide… Che i progetti siano straordinariamente buoni o cattivi (da quale punto di vista?) riguardano sempre un problema reale che impone delle soluzioni; un problema al quale il progetto intende dare soluzioni; l’Italia, in questi tavoli, può dichiararsi d’accordo o non d’accordo, essere della partita oppure no, e sulla Tav ha deciso di esserci considerando positivi i benefici nazionali che ne deriverebbero. È ovvio che questo assenso è stato dato da un certo governo e poi votato da una certa maggioranza (aprile 2014: 173 Sì al Senato e soli 50 No), ma dovrà pur esistere una continuità nelle politiche internazionali: pro o contro l’Euro, la Tav, la missione in Libia, il Patto Atlantico, le relazioni con Pechino… Ma davvero a ogni cambiamento governativo (in Italia più numerosi delle puntate di Dallas) si rimette in discussione tutto?.
- Prima di qualunque decisione definitiva su opere di questa portata si deve realizzare un’adeguata valutazione; non solo di impatto territoriale, non solo di convenienza economica, ma anche di impatto sociale. Lo ribadisco chiaro e tondo: la cosiddetta Analisi Costi Benefici commissionata da Toninelli al prof. Ponti è un’inutile supercazzola che qualunque serio operatore del settore smonta come puttanata sesquipedale. Se avete seguito la vicenda sulla stampa avrete letto che più tempo passa e più il professore esce con le ossa rotte (ne ho scritto QUI). La valutazione, che non può mai essere “oggettiva” in un senso assoluto, può cercare di tenere conto di tutte le preoccupazioni in campo, accogliendole e dando loro risposta; può e deve essere trasparente e partecipata; può informare correttamente il dibattito come fonte autorevole e terza, lasciando poi ciascuno libero di formare proprie opinioni non istintive, ideologiche, di pancia ma sulla base di dati, fatti e argomentazioni.
- Il problema delle comunità locali deve essere superato con un criterio valido una volta per tutte: che una parte dei 50.000 valsusini sia così ferocemente (e a tratti violentemente) contraria da bloccare un’opera che deve servire 60 milioni di italiani, onestamente mi pare eccessivo. Non è eccessivo se si mostra un reale danno alla salute; un reale danno economico locale che potrebbe produrre effetti negativi nel medio e lungo periodo… Ma senza questa chiara, documentata argomentazione non esiste scontro; e la presenza, invece, di tale documentazione potrebbe aiutare a migliorare il progetto: sotto l’aspetto della tutela della salute innanzitutto, poi sotto quello dell’economia locale… Ma davvero ritenete che non ci siano soluzioni? Intendo: vere, concordate con le parti, trasparenti nell’esecuzione? In ogni caso questa è la strategia per qualunque grande opera: dighe, termovalorizzatori, strade e ferrovie, gasdotti… È tutto un correre a strillare “NO” in dispregio di un pensiero più ampio, dei benefici per l’intero Paese. Tuteliamo le comunità locali parlando con loro, discutendo con loro, argomentando con loro… finquando le comunità locali intendono parlare, discutere e argomentare; ma poi si procede.
- Il “NO” a prescindere, tipica del populismo casaleggino, è l’infantile e prepolitica paura: paura astratta, paura nata dall’incomprensione e dall’incompetenza, che assomiglia più alla paura dei luddisti che a quella di persone intelligenti e bene informate; il progresso è sempre e comunque diabolico; gli investimenti sono sempre artigli liberisti che strozzano il popolo; le grandi opere sono sempre infiltrate dalla mafia… Ma anziché opporre una buona politica, dei seri controlli, degli evidenti ritorni positivi per le popolazioni coinvolte, si fa prima a dire “No”. E a furia di “No” i pentastellati stanno strangolando l’Italia.
Naturalmente, per la realizzazione di questi pochi e banali punti, serve una politica intelligente; capace di affidarsi a tecnici terzi; desiderosa del bene pubblico e non guardinga per le prossime elezioni; capace di parlare con la gente e non, al contrario, ritenere che il popolo sia semplicemente da imbeccare di slogan per farlo agire come massa tattica “contro” l’avversario del momento.