Alessandro Meluzzi, psicostar e criminologo-star, ha detto che la famiglia Cucchi dovrebbe scusarsi per il fatto che il figlio – morto quando era in custodia cautelare – spacciava droga.
Ora: sospendete il giudizio su Meluzzi, più o meno sincero o in cerca di una polemica pubblicitaria; sospendete anche il giudizio “giuridico” in corso, supponendo – come appare probabile, se non certo – che gravissime responsabilità sia in capo a chi doveva garantire l’incolumità del giovane, e analizziamo con distacco le cose, ipotizzando come veri questi elementi:
- Cucchi era (fra l’altro) un piccolo spacciatore;
- fermato dalle forze dell’ordine è stato pestato a morte.
Sarete d’accordo sul fatto che sono entrambi fatti riprovevoli. È riprovevole spacciare droga ed è riprovevole malmenare lo spacciatore (tanto dal causarne la morte, probabilmente non voluta).
Lo so: ‘riprovevole’ non vi sembra il termine giusto, allora cambio un pochino:
SE SIETE “DI SINISTRA”:
- Cucchi era (marginalmente) un piccolo spacciatore;
- fermato dalle criminali forze dell’ordine è stato ignobilmente pestato a morte.
SE SIETE “DI DESTRA”
- Cucchi era uno spacciatore e prima o poi avrebbe fatto quella fine;
- fermato dalle forze dell’ordine è morto perché denutrito, già ferito, è caduto dalle scale, si è suicidato.
Sì, non dovrei scherzare su queste cose, ma voglio sottolineare che non possiamo sempre, in maniera bovina, parteggiare per una verità. Oh, beh, certo… in questo caso è abbastanza facile, la ricostruzione recente non lascia dubbi sulla sproporzione del comportamento dei custodi rispetto alle trasgressioni del ragazzo, ma il più delle volte la verità è contorta, molteplice, mischiata di elementi confusi e a volte estranei. E, sopra a tutto questo, c’è la famosa triade di Watzlawick che fa al caso nostro e vi semplifico così:
Un marito e una moglie che litigano. Il marito si chiude passivamente in sé stesso per difendersi dalla moglie che brontola e lo critica; la moglie a sua volte critica il marito e brontola perché lui si chiude in sé stesso e rifiuta il dialogo. Entrambi sono vittima di una visione distorta della realtà. La loro interazione si limita a oscillare tra la chiusura di lui e l’aggressione di lei, in un circolo vizioso che può andare avanti all’infinito, in quanto la punteggiatura è sempre la stessa.
Questa ‘punteggiatura’ può essere rappresentata così:

Potete pensare innumerevoli situazioni in cui compare questa triade: stimolo, reazione e risposta; per la moglie lei “reagisce” al marito, e ugualmente il marito pensa di “reagire” alla moglie, e lo scambio si perde nel tempo, non esiste un vero inizio (come nel caso ordinario stimolo e risposta). Questo modo di comunicare è considerato da Watzlawick e colleghi nevrotico, ovviamente, e accade spessissimo a livello individuale come sociale e nazionale: pensare al conflitto fra Israele e i palestinesi come punteggiatura triadica aiuta a capire come non ne verremo mai a capo: gli israeliani dicono qualcosa come “voi palestinesi ci avete aggredito”, e i palestinesi rispondono “certo, perché voi ci avete aggrediti per primi”, e gli israeliani…
Ora torniamo al povero Cucchi, ma ci possiamo mettere anche Regeni e un’infinità di casi di questo genere.
I carabinieri dicono (per esempio) “faceva resistenza”; la famiglia Cucchi replica “certo, perché lo maltrattavate”, e i carabinieri a loro volta “per forza, perché non stava calmo”… e vai così, di punteggiatura triadica in cui ciascuna parte imputa all’altra quel dato comportamento che avrebbe innescato una risposta. Poi, come in questi casi, qualcuno esagera, il gioco sfugge di mano, e il debole soccombe pesantemente.
Come spesso accade su Hic Rhodus, qui ora non sto parlando del povero Cucchi, per il quale la brutta verità sta venendo a galla, né del povero Regeni, per il quale la brutta verità è già sufficientemente ipotizzabile e non verrà mai ufficializzata. Qui parliamo di un processo mentale (e linguistico) che ci intrappola; nel dare colpe e responsabilità, solitamente a chi non appartiene alla nostra tribù; nel lesinare giustificazioni o possibilità a chi è “dall’altra parte” (qualunque cosa possa significare per voi); nell’autoassolverci (quasi) sempre.
Se provate ad applicare questi piccoli principi alla politica, potrete avere alcune piacevoli rivelazioni.