Mai infrangere la regola n° 1

La regola n° 1 recita:

Mai – assolutamente mai – andare a leggere i commenti al tuo post.

La cosa non vale per i commenti qui sul blog (pochi, selezionati, solitamente pertinenti) quanto per quelli su Facebook, dove necessariamente facciamo circolare l’informazione  (in gergo: ‘spammiamo’ i nostri post su Facebook, in diversi gruppi, in modo che una platea ampia di potenziali lettori veda che c’è). 

La regola n° 1 è una questione di igiene mentale, direi di sopravvivenza. Avendo scelto di ‘spammare’ in gruppi generici (di politica, per esempio) dove chiunque si può iscrivere, è assolutamente chiaro che un certo numero di utenti non abbia gli strumenti per capire ciò che hai scritto, ma ne ha a sufficienza per digitare sulla tastiera un commento stupido.

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Mai, assolutamente mai, andare a leggere i commenti ai post. Ma capita che ci si sbagli, che la mai sopita vocina di Narciso ci confonda e alé! il commento idiota è lì al varco a spernacchiarti.

Dopo un ovvio “echissenefrega”, paghi – e ampiamente – dei pochi che leggono e commentano assennatamente, il Vostro Autore ha però qualche dubbio.

Perché scrivere, perché perdere tempo a divulgare, se una massa di stupidi non va oltre il titolo, equivocando pure quello?

Quando anni fa fondammo Hic Rhodus io ebbi modo di dire, all’amico co-fondatore Ottonieri, che a me non interessava scrivere per tutti, e che il mio obiettivo era proprio di scrivere per pochi, per i pochi in grado di leggere e capire, e desiderosi di farlo, e quindi semmai di confrontarsi. Perché farlo?

Per due ragioni fondamentali:

  1. perché il confronto, lo scambio, è certamente fruttuoso. Scambiarsi idee, analisi, riflessioni, fa effettivamente crescere culturalmente ed eticamente le parti, se – e solo se – si dà la condizione seguente:
  2. le parti che discutono si equivalgono sotto un profilo complesso che solo per semplicità declino come mix di i) intelligenza, ii) cultura e iii) volontà.

Questi tre elementi non solo non solo esclusivi, ma ciascuno andrebbe approfondito e specificato (scoprendone ulteriori articolazioni) e – per farla breve – ci imbarcheremmo in un corso magistrale di psico-antropo-socio-qualcosologia che va ben al di là delle mie competenze e della vostra pazienza. 

Stando un po’ più “leggeri”, quindi, ecco una sintesi comunque necessaria per potere trarre le mie conclusioni odierne.

Intelligenza. Definitela come vi pare, evitando (per non complicarci la vita qui) di divagare sull’intelligenza creativa, emotiva e molte altre cose sensatissime che qui non ci servono; ci può bastare la definizione Treccani:

Complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e adattarsi all’ambiente.

L’accento va su “comprendere fatti o azioni”, che ovviamente apre un’altra gigantesca porta su cosa sia ‘realtà’ (di cui i ‘fatti’ sono porzione), sui ‘concetti’, sul ‘linguaggio’ utilizzato per connettere concetti a realtà e bla e bla e bla per potere infine dire che “Tizio ha compreso un fatto” (i concetti in virgolette sono stati tutti trattati su HR, se morite dalla voglia di farlo potete andare in cerca, fra i vecchi articoli…). Allora (sempre in breve, sempre semplificando) possiamo affermare che tu “hai compreso” (mostrando in ciò un certo grado di intelligenza) se:

  • hai capito ciò che l’Altro (per esempio l’autore di questo post) intendeva dire,

e quindi:

  • sai reagire a tono, ovvero nel medesimo registro linguistico, giocando lo stesso gioco linguistico, all’interno della stessa provincia di significato,

oppure:

  • ne sai indicare le fallacie che impediscono di capire ciò che l’autore avrebbe voluto dire ma – essendo fallace – non c’è riuscito,

e quindi:

  • sai reagire a tono (come sopra) a quanto avrebbe inteso dire l’interlocutore ovvero sai diversamente argomentare al netto delle fallacie, per quanto possibile.

Cultura. Scolastica, libresca, ma anche esperienziale, tutto il grande magazzino di concetti che vi portate dentro la zucca. L’accento è sui concetti; al netto dell’intelligenza che potenzialmente avete per ragioni genetiche, se non sviluppate concetti difficilmente saprete reagire a tono, a senso, a un post come questo. Esempietto per capirsi: il concetto di |politica| può essere “è tutto un magna magna”, oppure

La scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica (Treccani)

e capite che non è la stessa roba. Se per voi la politica “è tutto un magna magna” non possiamo neppure iniziare la conversazione, nel secondo caso sì.

Cultura e intelligenza hanno una quantità di collegamenti reciproci e, nella società contemporanea, non possono fare a meno l’una dell’altra. Infatti:

  • se siete intelligentissimi guardiani di porci nati e vissuti isolati sul cucuzzolo della montagna, non capirete questo post; la vostra intelligenza, date quelle condizioni ambientali, sarà molto pratica; probabilmente venderete i vostri porci a condizioni migliori di altri porcai meno intelligenti; forse sarete più arguti dei vostri pari al bar del paese… ma non capirete questo post proprio perché i concetti che sto impiegando sono piuttosto sofisticati (hanno intensione ed estensione…);
  • se siete stupidissimi figli di papà, portati fino a una laurea a furia di calci nel sedere, con inutili viaggi all’estero passati alla ricerca di ristoranti italiani, lettori di libri solo perché obbligatori per l’esame, e via discorrendo, allora non capirete questo post, sempre a causa di concetti sofisticati che non comprendete neppure se ci avete sbattuto il muso per obbligo, imparicchiando qualcosa nozionisticamente.

Ecco perché ho introdotto, come terzo fattore, la volontà.

Volontà. Qui, in questo breve testo, fa riferimento solo ai guardiani di porci che possono sviluppare, in determinate condizioni, sia la consapevolezza del proprio potenziale assieme alla constatazione delle condizioni ambientali ostative, sia un prorompente desiderio di rompere le barriere che li imprigionano, e quindi lottare contro le condizioni familiari, professionali, geografiche e cercare di ampliare i concetti disponibili, approfondendoli come intensione ed estensione. Quindi leggere, anche in un ambiente dove non si legge; cercare di frequentare persone più acculturate; cercare di viaggiare…

Ci sono pochi esempi, ma fulgidi, di questa affermazione della volontà.

C’è un altro campo esemplificativo di questa volontà, meno bisognoso di casi eclatanti per essere additato ai miei pazienti lettori: quello delle persone “medie”, di media (o discreta) intelligenza, che forse vivono in provincia, che forse non hanno avuto sufficienti possibilità di confronto, di viaggio, di istruzione, e che pur essendo decisamente distanti dagli stupidi e dagli ignoranti totali, non sembrano in condizioni neppure di fare un deciso salto verso l’enclave degli intelligenti-eruditi per confrontarsi adeguatamente con loro. Costoro, che sono una grandissima massa, probabilmente la maggioranza della popolazione, possono elevarsi solo a fronte di una manifesta volontà, che in realtà è difficilissima da elaborare e da rendere pratica.

La difficoltà è data dall’omologazione. Quanto ne parliamo qui su Hic Rhodus, quanto mi avete visto scrivere, in questi anni, 

non omologatevi!

Stare coi propri simili, ricevere consensi da costoro, sentirsi “normali” in ufficio, in famiglia, in chiesa… non coltivare desideri bizzarri, non praticare attività inconsuete, pensare i comodi pensieri che tutti pensano e sentirsi così, tutti assieme, quelli giusti.

Questa tremenda forma di abbiezione, notate vi prego, affligge anche molti “intelligenti e colti” che hanno paura dell’originalità di pensiero, di staccarsi dalla massa, di pensare pensieri propri, e preferiscono mimetizzarsi coi meno colti e intelligenti (la figurina qui sotto spero illustri tutto questo). 

È a costoro che mi rivolgo, e in generale che si rivolgono gli autori di Hic Rhodus. Coloro che sentono il richiamo di qualcosa di più grande di loro, del ruolo che gli ha casualmente assegnato la vita, la razza, la nascita… Coloro che pur subendo l’indubbio, potente fascino dell’omologazione, sempre strillata, sempre di massa, sempre allegra a mangiar la pizza tutti assieme, si concedono il lusso di una volontà, il lusso (sempre dettato da una intelligenza di fondo, da questo non si sfugge) di un rischio; il rischio di capire, e di rimanerne delusi; il rischio di discutere, e di trovarsi semmai in difficoltà; il rischio di ampliare gli orizzonti e trovarli ardui; il rischio, infine, della solitudine, dove la pizza con gli amici, a parlare di figa, vi sembra alla fine qualcosa di totalmente inappagante.

Ecco, è a costoro che mi rivolgo. Certo anche agli amici colti, intelligenti e non omologati; sono fortunato, credo di averne alcuni… amici che non hanno paura e non si comprimono, non si rattrappiscono, non si uniformano, non inseguono il politicamente corretto, l’app di moda, il leader seduttivo… Ma specialmente scrivo per le tante persone che con una intelligenza media o alta e una cultura media o alta sentono il bisogno personale, oltre che il dovere civico, di trovare interlocutori stimolanti, nuovi argomenti, sorprese cognitive, orizzonti inaspettati, viaggi mentali…

È a loro che mi rivolgo. E questo è il mio impegno politico principale, questo è il mio modo di fare politica.

So che quando ho più idee degli altri, do agli altri queste idee, se le accettano; e questo è comandare.

Italo Calvino, Il barone rampante

(in copertina: autoritratto fotografico dell’autore).