Ugo e la Responsabilità da insegnare

Leggo sul Riformista un commento di Gioacchino Criaco sulla vicenda di Ugo, il ragazzino che ha tentato di rapinare il carabiniere con una pistola finta e che è stato da questi ucciso. Penso che ricorderete il fatto di cronaca. Criaco propone una riflessione morale, non giuridica, non sociologica, e questo mi interessa assai. Scrive in sintesi Criaco:

Non sognano nemmeno di farlo il male, ma con una pistola in tasca prima o poi lo faranno. Non sono più vuoti dei loro coetanei di altri posti, e i loro padri sono assenti quanto quelli di tanti altri ragazzi Occidentali. La differenza è il grilletto. Molti ragazzi non sono migliori dei peggiori ragazzi di ieri. I lembi di Napoli, di tanto Sud, continuano a essere terra di frontiera e la cultura del drittismo continua a mietere vittime, e continuerà a farlo se i ragazzi non si allontaneranno dal grilletto, che ogni svelto prima o poi troverà uno più veloce, che dritto è chi è svelto di testa e non di mano.

Per poi concludere:

Ai tanti Ugo, che purtroppo verranno, servirebbe una società che non si contrapponesse fra buoni e cattivi, che avesse di mira l’allontanamento dei ragazzi dal grilletto. E non serve a nessuno una società arroccata nella difesa dei propri beni, della propria tranquillità. Sarebbe un bene per tutti ridurre i margini e mettere in mano ai bambini cose preziose, non le pistole. Farebbe bene a tutti pensare che Ugo non appartenga agli altri, ai soli cattivi, era uno dei nostri ragazzi e le pallottole che lo hanno abbattuto, hanno colpito un po’ anche tutti noi.

Mi permetto un’estrema sintesi in questo modo:

  1. Ugo era uguale a tutti i ragazzini del mondo, tranne per il fatto che – per condizioni sociali di cui non è colpevole – aveva una pistola (vera o finta non importa, è la “cultura del grilletto”, come scrive Criaco);
  2. la società è stata cattiva, dovrebbe invece (attraverso un nostro sforzo collettivo) prendersi in carico la sorte dei tanti Ugo.

Posto in questi termini la questione mi appare potenzialmente sbagliata. L’errore – a mio modestissimo avviso – discende da un insieme di tradizioni differenti, mescolate, volgarizzate, non so neppure se ben digerite, che hanno a che fare con la concezione cattolica della colpa e con quella marxista (in una sua vulgata che in realtà è di molto successiva al Marx storico) del Potere capitalista tradotta poi in varie forme: la borghesia, i ricchi, i potenti ma in sintesi, e per farla breve “il sistema”. Il sistema è tutto ciò che di cattivo siamo in grado di immaginare; è il combinato disposto di volontà rapace, interessi egoistici, possibilità di perseguire con la forza tali interessi, disinteresse per i deboli, mantenimento forzoso e interessato delle diseguaglianze e aggiungete voi a piacere.

Vale la pena di segnalare, al volo, che è in questo confuso brodo culturale che nasce il populismo, ma non è il tema di questo post.

Sono distante mille miglia da questa cornice interpretativa (e giustificativa) sia come sociologo (un professionista dell’analisi e dell’interpretazione delle dinamiche sociali) sia come cittadino, vale a dire come protagonista politico della realtà attorno a me, rispetto alla quale sono chiamato a compiere scelte.

Come sociologo posso portare centinaia di volumi, per lo più basati su ricerche empiriche, a conferma del fatto che i più poveri, i più diseredati, sono più facilmente vittime di meccanismi perversi e marginalizzanti: escono spesso prematuramente dal sistema scolastico, sovente hanno genitori che non brillano per capacità educative, vivono in quartieri esplosivi e tutto il resto. Diciamo: esiste una correlazione certa e positiva fra questi deprecabili indicatori di contesto e possibilità di finire col fare i camorristi e semmai morire ammazzati. Ancora una volta, però, la sociologia scopre l’acqua calda se non viene introdotta la riflessione sul differenziarsi di quei minori che finiscono preda di vite miserabili e marginali rispetto ai loro coetanei che riescono, invece, a farsi una vita “normale”, dove l’aggettivo fra virgolette implica qui, semplicemente, che non si va a rubare, a rapinare, a estorcere, a stuprare eccetera.

La domanda generale, che affligge la sociologia, e la filosofia, da secoli, è quindi: come mai la persona A finisce ammazzata con una pistola in mano mentre la persona B, in tutto simile, arriva a invecchiare tranquillamente coi propri nipoti?

Qui la sociologia generalmente si arrende, e apre la discussione alle consorelle antropologia e psicologia, e tutte in coro, comunque, lasciano un margine di sospensione alla risposta definitiva, come stiamo per vedere.

Il fatto è, semplicemente, che le persone sono ovviamente differenti una dall’altra come intelligenza e quindi come capacità di elaborazione delle proprie esperienze. A parità quindi di esperienze (in senso astratto, certo), due individui risponderanno diversamente perché sono diverse nella risposta intellettiva che ne danno (se poi non credete nello psicologismo spicciolo e siete organicisti trattate la questione come chimica e come fenomeni elettrici nel cervello, il risultato sarà lo stesso).

A partire da tali (piuttosto ovvie) differenze si può quindi introdurre il concetto di Responsabilità. Il “sistema” è cattivo con tutti noi, in maniera variabile e sempre ingiusta: uno è povero, l’altro malato, quell’altro ancora è nato in una zona svantaggiata… Possiamo guardare con una giustificata invidia i belli e ricchi e le belle e ricche che sembrano attraversare la vita come un gioco piacevole, ma questo resterebbe un esercizio onanistico e masochista. Ciascuno di noi, tutti, nessuno escluso, ha la possibilità di scegliere se assumersi le proprie responsabilità o rifuggirle, tenendo in conto le condizioni di partenza. Sono le diverse interpretazioni e giustificazioni e alibi a fare la differenza, e queste sono elaborate a seconda della propria capacità intellettiva (come sintesi, poi, di opportunità, incontri, esperienze…). Possiamo addirittura semplificare la questione in due comportamenti tipici:

  1. È il mondo che è marcio, è il “sistema” che è cattivo, io sono solo vittima, fottetevi tutti!

oppure:

  1. Cosa devo e posso fare per vivere con dignità la mia vita?

Nel primo caso io mi giustifico; io mi auto assolvo; io sono io, non mi avrete mai come volete voi, io spacco tutto perché IO…

Nel secondo caso si sceglie invece una vita eroica: tirare avanti, rispettare il prossimo, fare fatica, la fatica di vivere.

Io credo che questa seconda strada, che ha a che fare col concetto di Responsabilità individuale e che non a caso ho chiamato scelta “eroica”, sia in realtà possibile per tutti. La vera differenza non è fra chi ha la possibilità di scegliere (perché più intelligente [?], perché fa gli incontri giusti…) e chi non ha avuto tale possibilità (perché più stupido?? Perché non ha avuto un briciolo di fortuna???). La differenza è fra chi trova la forza morale di guardare in faccia tale Responsabilità e chi non trova tale forza. Che può essere non semplice da riconoscere; che può essere dura da perseguire; ma che è lì, esemplificata fra l’altro in mille e mille individui attorno a noi (come attorno a Ugo) che non hanno scelto la pistola, l’irresponsabilità, la scorciatoia, che tirano la carretta, che cercano di educare i figli…

In conclusione provo un tangibile fastidio ogni volta che – a ridosso di determinati fatti – si invoca il sistema ingiusto per giustificare comportamenti asociali. Qui su Hic Rhodus non è la prima volta che ne trattiamo e non sarà probabilmente l’ultima. Potremmo dire che “il sistema ingiusto” è un dato; il sistema è ingiusto principalmente perché noi lo osserviamo dall’interno di Ego, che vorrebbe essere amato da tutti, coccolato, viziato, vorrebbe non dovere pagare le tasse, non andare al lavoro lunedì, avere splendidi amanti e vivere felice e in salute fino a 110 anni… Ma tacitando Ego deve subentrare un duro esame di realtà: chi sono io, dove sono nato, qual è l’ambiente intorno a me, quali possibilità mi offre… Lo stesso Criaco – leggo dalla sua bio – è figlio di pastori calabresi; sicuramente – se mi leggesse – saprebbe di cosa sto parlando. 

Voglio sottolineare come non penso affatto che tutto si risolva nella sfera individuale, dove un Ego particolarmente eroico riconosce la Responsabilità e la persegue. Come scritto dianzi credo invece che ci sia una discreta quantità di casualità, fortuna, circostanze arbitrarie, arbitrariamente distribuite in noi e attorno a noi.

Siamo casualmente persi o salvi anche a discapito del nostro potenziale intellettivo e della nostra probabilità etica. E anche questo è un dato.

C’è solo una questione da aggiungere:  tutti noi, indistintamente, siamo “dati” per gli altri. Tutti noi siamo “contesto” per gli altri. Esiste quindi una collettiva responsabilità a farsi, ciascuno di noi, occasione positiva per il prossimo; incontro educativo; occasione etica. Ciascuno di noi è chiamato a farsi carico di responsabilità con gli altri e per gli altri. Non parcheggiare negli stalli dei disabili è un buon inizio; rispettare le persone e attendere che attraversino sulle strisce, anche se vanno lentamente; non imbrogliare quando diamo il resto; pagare le tasse, e dirlo con fierezza, anche se qualcuno ci considera fessi; spiegare pacatamente almeno una volta perché un determinato commento in un thread Facebook sia omologato, stupido e sbagliato (io ci riesco a malapena una sola volta, poi sbrocco, ma ci sto lavorando…). Questo elenco, di cose rilevanti e di cose piccine, può diventare veramente lungo e attraversare sostanzialmente tutti gli ambiti del nostro essere umani. Ecco: siamo tutti, e sempre, responsabili anche di Ugo, ma senza dimenticare che soprattutto Ugo era il responsabile di se stesso.