Dopo due interminabili mesi, e molte incertezze, inizia ufficialmente la cosiddetta Fase 2, quella in cui, secondo le parole del Presidente del Consiglio, dovremo e potremo convivere col virus, riprendendo progressivamente le nostre attività nei modi compatibili con questa necessaria convivenza. Il Governo sa benissimo, e dovremmo saperlo altrettanto bene noi cittadini, che il Covid-19 non è stato sconfitto, ma solo tenuto a bada, come un incendio contenuto ma non spento, che comunque continua a bruciare risorse preziose e potrebbe nuovamente sfuggire al controllo se avessimo la stoltezza di alimentarlo.
Da cittadini, abbiamo il diritto di esigere dal Governo che le scelte in questa delicatissima fase siano dettate da un’analisi tempestiva e prospettica dei dati che emergeranno giorno per giorno, e che anzi i possibili scenari siano stati accuratamente studiati prima, e che questo studio abbia dettato le prime scelte che oggi già conosciamo, sia pure nell’eterna e francamente insopportabile confusione prodotta dai conflitti di competenze tra Stato, Regioni e Comuni, aggravati dalla triste consuetudine per cui ciascun amministratore locale è convinto di poter prendere decisioni migliori di quelle del governo centrale.
Ebbene, un simile studio in realtà esiste, anche se ha degli aspetti insoddisfacenti di cui parlerò: si tratta del documento elaborato dal Comitato Tecnico-Scientifico dell’ISS e reso pubblico dalla stampa, su cui si basano sostanzialmente molte delle scelte del Governo su quando e come “riaprire” i vari ambiti di attività. Questo documento, che analizza diversi possibili scenari a partire da quello che potremmo definire “tutto aperto subito”, che avrebbe come verosimile effetto una violenta ripartenza dell’epidemia su scala nazionale e un picco di oltre 151mila malati in condizioni critiche tali da richiedere cure intensive, è stato oggetto di vivaci critiche, e addirittura diversi commentatori hanno accusato gli autori di aver commesso grossolani errori di calcolo. In particolare, Carisma, una holding di partecipazioni industriali (quindi non un soggetto scientifico) ha pubblicato una “controanalisi” del documento del CTS nella quale, in base a considerazioni di cui vedremo tra poco la validità, si ipotizza «un errore di almeno 10 volte (10x)!!!» (anche il linguaggio usato come vedete non è quello asettico della revisione scientifica) che invaliderebbe l’intero documento e quindi, conseguentemente, i razionali delle scelte del Governo, troppo restrittive per la holding. Secondo Carisma, per arrivare a 151mila malati critici nello stesso momento ci vorrebbe una popolazione di 150 milioni di persone, tanto che la nota commenta «Vorremmo conoscere subito i 100 milioni di connazionali a noi ignoti». La critica di Carisma è stata ripresa da diversi organi di informazione, tra cui in particolare Linkiesta, che, in un articolo intitolato La gran confusione intorno ai numeri dati dal comitato tecnico scientifico, cita anche le perplessità del professore Alessio Farcomeni dell’Università Tor Vergata di Roma, secondo cui «Purtroppo errori materiali sono molto comuni, specie nel codice. È plausibile che in questo caso ci sia stata da qualche parte una svista di fattore dieci».
Ora, confesso che questo modo di fare giornalismo è esattamente l’opposto di quello che mi piacerebbe vedere applicato, e anzi è una delle principali ragioni per cui da anni scrivo qui su Hic Rhodus. Per usare una frase fatta, se una persona dice che piove e un’altra che c’è il sole, il compito del giornalista non è citare entrambe, ma aprire la finestra e controllare di persona. Qui, invece, la fatica di aprire la finestra e la responsabilità di dire se piove o c’è il sole non se la prende mai nessuno, e quindi me la prendo io, a cominciare dal cercare di capire cosa effettivamente dica e su quali basi il documento dell’ISS.
Cominciamo dal dire che, francamente, la qualità dei dati di cui dispone un commentatore non “interno” ai canali di comunicazione dell’ISS e della Protezione Civile è francamente bassa. I dati vengono forniti in una forma poco utilizzabile e assolutamente inadatta a una rielaborazione autonoma magari secondo criteri diversi da quelli adottati nella comunicazione istituzionale, tanto è vero che i vari siti informativi in pratica non fanno altro che offrire presentazioni grafiche diverse delle stesse informazioni. Anche il documento in questione da questo punto di vista lascia a desiderare: non riporta né include riferimenti ai dati di partenza e alle fonti, ma ne presenta solo le elaborazioni che vanno quindi essere prese per buone.
La prima informazione importante che il documento offre è un modello del contributo che le varie attività che potrebbero ripartire fornirebbero alla possibile diffusione del virus, in termini di contatti tra persone. La tabella qui sotto, presa ovviamente dal documento di cui parliamo, è illuminante, perché chiarisce come mai l’unica cosa che certamente non riaprirà sono le scuole: se queste stime sono corrette, non solo i giovani tra i 10 e i 19 anni sono le classi di età con maggiori contatti con altre persone, ma la scuola è di gran lunga il contesto che crea (creerebbe) più contatti e quindi rischi di trasmissione del virus. Questo spiega perché il documento affermi che «la sola riapertura delle scuole potrebbe portare allo sforamento del numero di posti letto in terapia intensiva attualmente disponibili a livello nazionale». Le scuole non possono riaprire.

La seconda informazione che vorrei sottolineare è una stima dei valori originario e attuale di R0, il fattore di replicazione del virus, ossia il numero di persone che vengono mediamente contagiate da ciascun positivo al virus; logicamente, se questo numero è maggiore di uno l’epidemia cresce, se è minore di uno l’epidemia si smorza. Dato che al momento l’epidemia in Italia sta calando, dovremmo aspettarci che R0 sia diventato minore di uno, e in effetti il documento lo conferma. Sulla base dell’andamento dell’epidemia nella sua fase iniziale, prima che venissero prese le misure di contenimento, gli esperti del CTS stimano che il valore “di base” di R0 sia intorno a 3,0:

Attualmente, invece, il valore di R0 sarebbe compreso tra 0,4 e 0,8 in quasi tutte le regioni italiane, come si vede dal grafico qui sotto, prelevato questa volta dal documento Epidemia COVID-19. Aggiornamento nazionale 28 aprile 2020:

Fatte queste premesse, e sulla base di informazioni elaborate in collaborazione con l’Inail circa le caratteristiche dei diversi settori lavorativi, il documento del CTS arriva a compilare la Tabella 2 parzialmente riprodotta qui sotto, che è anche quella che è stata più ampiamente commentata sulla stampa. In pratica, nello scenario “tutto aperto subito” incluse tutte le attività non lavorative e le interazioni sociali ordinarie, R0 salirebbe intorno a 2,25, e si arriverebbe appunto a quel picco di 151.000 malati critici di cui parlavo all’inizio (v. scenario A, da me evidenziato in rosso). Se si aprissero solo le scuole di ogni ordine e grado e tutto il resto rimanesse com’è oggi, R0 salirebbe intorno a 1,33, portando comunque il sistema sanitario al limite.

Secondo questo modello, i primi tre scenari (A, B, C) sarebbero palesemente insostenibili, e corrisponderebbero a una ripresa piena anche delle attività di tempo libero, di utilizzo dei trasporti pubblici e di tutte le altre attività, non direttamente lavorative, che tutti noi siamo abituati a svolgere. Il mantenimento delle attuali modalità di telelavoro là dove possibile, di forme di chiusura sociale, la limitazione delle attività non lavorative e, eventualmente, l’esclusione temporanea da queste delle fasce di età più a rischio (lavoratori dai 50 anni in su), oltre all’applicazione di norme di prudenza personale (igiene, uso delle mascherine, ecc.) sono tutti strumenti che possono contribuire a mantenere R0 relativamente basso, fermo restando che il suo valore non potrà che salire, portandosi a seconda delle scelte fatte e dai comportamenti personali poco sopra o poco sotto il fatidico valore uno. Uno scenario tra i molti, quello che ho evidenziato in verde, chiarisce ad esempio che la sola riapertura delle attività lavorative in tutti i settori considerati lascerebbe comunque R0 intorno a 0,7; è quando si considera ad esempio un aumento dell’uso dei trasporti pubblici e delle altre interazioni sociali che il coefficiente “schizza” intorno al cruciale valore uno (v. righe successive della tabella). Moltissimo insomma dipende, più che da quali settori riaprono, da quali interazioni le persone avranno fuori del posto di lavoro, ad esempio nei trasporti pubblici o nel tempo libero e in generale nella vita privata. E la limitazioni da continuare a osservare andrebbero comunicate chiaramente ai cittadini da chi amministra e non dai tecnici, senza confusi e contraddittori messaggi su “affetti stabili” e “congiunti”: si deve dire chiaramente che dobbiamo riprendere a lavorare ma non dobbiamo riprendere la nostra normale vita sociale.
L’approccio alla Fase 2 deve essere estremamente cauto: basta pochissimo per superare la soglia di ripartenza dell’epidemia, e questo pochissimo può dipendere in realtà da come i cittadini applicheranno le necessarie precauzioni una volta “usciti” dalle restrizioni più rigide della Fase 1.
Ma, alla fine, i calcoli del CTS sono giusti, o le critiche a cui facevo cenno inizialmente sono fondate? Se è vero, come dicevo, che il documento del CTS non offre al lettore elementi sufficienti per un riesame critico pieno, mi sento però di dire che le obiezioni di Carisma e del prof. Farcomeni non sono convincenti, e al meglio della mia capacità di valutazione sono basate su interpretazioni erronee dei dati forniti dal CTS. Un’illustrazione più estesa e puntuale dei contenuti del documento è in realtà disponibile in un video di circa due ore nel quale i relatori dell’ISS commentano en passant (intorno al minuto 25) appunto anche le critiche di cui parliamo. La mia valutazione conclusiva è che il documento sia coerente e “robusto”, e che a sbagliarsi anche abbastanza grossolanamente siano i critici.
Piuttosto, sarebbero altri a mio avviso gli assunti del documento che meriterebbero una discussione più ampia in vista della Fase 2, come ad esempio la scelta di utilizzare per il tasso di casi che evolvono in modo critico i dati della fase più acuta dell’epidemia in Lombardia: nel frattempo non abbiamo trovato alcun modo per prevenire l’aggravarsi della malattia e ridurre quindi il numero di casi critici curando meglio i pazienti non ancora critici? Anche qui, da settimane in Rete si parla moltissimo di possibili terapie, e in effetti in alcuni ospedali e alcune Regioni si utilizzano dei “protocolli” più o meno simili, basati su mix di farmaci antinfiammatori e antitrombotici (tra i più recenti, v. il cosiddetto protocollo Viecca). Eppure, sarebbe difficile affermare che ci siano dati scientifici solidi per affermare che la percentuale di casi critici d’ora in avanti sarà significativamente inferiore: che il documento adotti una stima prudente mi pare al momento giustificato.
Ancora più essenziale, e totalmente ignorata, è la semplice frase che conclude le raccomandazioni del CTS sugli scenari della Fase 2: «Infine va ricordato che queste misure possono essere adottate solo in presenza di sistemi di monitoraggio della circolazione dell’infezione e sorveglianza attiva». Quali saranno questi sistemi?
Insomma, con quali prospettive affrontiamo la Fase 2? Quali conclusioni possiamo trarre dal dibattito di questi giorni sulle prospettive della “convivenza con l’epidemia” e, più in generale, su come il nostro Paese sta affrontando questa transizione? Ebbene, vi dico la mia senza pretesa di essere più attendibile di chiunque altro:
- La transizione alla Fase 2 è necessaria: l’economia del Paese deve ripartire, e d’altra parte le stime di R0 mediamente intorno a 0,6 indicano che, sia pure in un tempo relativamente lungo, l’obiettivo del lockdown è stato raggiunto.
- I rischi associati alla ripartenza sono solo parzialmente, anzi secondariamente, legati alla trasmissione del virus negli ambienti di lavoro, che in un certo senso sono i più “facili” da adeguare e controllare. Anche più rilevanti sono i rischi legati ai trasporti e alle interazioni “libere”.
- I margini per ripartire senza innescare nuovamente un picco epidemico sono ristrettissimi. Basta pochissimo per passare da una situazione tutto sommato controllabile a una drammatica.
- Per governare questa fase occorrerebbero strumenti adeguati (soprattutto centinaia di migliaia di test da fare a tappeto, e poi procedure di isolamento temporaneo dei positivi, ecc.) e procedure perfettamente chiare e uniformi in tutto il paese, senza “fughe in avanti” ridicole di chi dice “io apro i bar” o “io apro le spiagge”. La governance di questa crisi deve essere unica e centrale, inclusa la valutazione di possibili adeguamenti alle diverse situazioni locali.
Ma la conclusione più spiacevole a cui non posso non arrivare è che il dibattito pubblico sulla Fase 2 mi appare terribilmente inadeguato al momento, con il Governo che non sembra in grado di recepire la complessità e le variabili dei modelli degli organismi tecnici, le amministrazioni regionali che operano in modo scoordinato con il Governo e tra loro, discutendo su cosa aprire e cosa no, ma non degli strumenti necessari per poter “aprire” in ragionevole sicurezza (e su quali siano questi strumenti invito a leggere una bella ed efficace intervista al prof. Alessandro Vespignani, epidemiologo trapiantato in USA e ora coinvolto nella lotta all’epidemia in quel paese). Né, purtroppo, il tema cruciale del “come aprire” anziché del “se e cosa aprire” viene adeguatamente sollevato dagli organi di informazione, che invece preferiscono soffermarsi su polemiche di piccolo cabotaggio come quelle che citavo all’inizio. L’Italia ha purtroppo una classe dirigente, intesa in senso ampio, assai scadente (in altre occasioni l’ho definita “cialtrona” suscitando anche contrarietà in alcuni lettori), e in situazioni di crisi l’incapacità e l’approssimazione si pagano care. Per questo, saranno ora i comportamenti individuali (delle aziende, dei lavoratori, dei cittadini in genere) a risultare decisivi e a collocare il fatidico parametro R0 al di sopra o al di sotto di quel valore uno che divide un’epidemia in attenuazione da una in espansione. E francamente non è questo che significa governare un grande paese.
L’immagine di apertura raffigura lavoratrici della Lamborghini che producono mascherine, anziché, come di solito, gli interni delle auto di lusso della casa di S. Agata Bolognese.