Forse non è chiaro: uscire vivi dalla Fase 2 non sarà facile

Oggi sono uscito, per la prima volta dal 9 marzo, per un motivo “evitabile”, andare a trovare mio fratello. Roma, a parte i negozi chiusi e le mascherine che, per la verità, quasi tutti portavamo, era affollata quasi come in tempi “normali” (o meglio, diciamo che era affollata come una città “normale”). Le foto che circolano di Milano, di Bari, di Palermo e così via, fanno pensare che in questi primi giorni di “Fase 2” tra gli italiani abbia prevalso il desiderio di interpretare la Fase 2 come un ritorno a una sorta di “normalità con qualche cautela”. Ebbene, a mio avviso questa interpretazione della Fase 2 è radicalmente sbagliata e potenzialmente infausta; vediamo perché.

Eviterei innanzitutto di invischiarmi nella polemica su quanto l’effetto teleobiettivo abbia distorto le fotografie che circolano in Rete appunto sulla movida in questa o quella città; preferisco sottolineare alcuni punti forse spiacevoli ma che è indispensabile che tutti abbiamo chiari e presenti alla mente. Ovviamente, quello che scriverò non è frutto di mie elaborazioni personali, e cercherò sempre di riportare le fonti da cui traggo le mie opinioni.

  1. Non stiamo “riaprendo” le attività perché l’epidemia sia stata sconfitta, anzi. Per illustrare questo punto, basta guardare il grafico dei “positivi certificati” (utilizzo per comodità quello del Sole 24 Ore che trovate nella pagina relativa alle statistiche Covid-19): oggi in Italia c’è oltre il decuplo delle persone positive al virus (e quindi potenzialmente contagiose) di quante ce ne fossero all’inizio del lockdown; quindi, guardando solo alla probabilità di entrare in contatto col virus, oggi ci sarebbero molti più motivi per restare chiusi in casa rispetto a due mesi fa.
  1. Allora il lockdown non è servito a niente? No, è servito al suo unico possibile scopo: guadagnare tempo. A meno di adottare un lockdown rigido quanto quello imposto in Cina, non c’era nessuna possibilità che l’epidemia venisse azzerata; rallentarla e farla anzi regredire almeno temporaneamente ha consentito di rinforzare i nostri presidi sanitari, studiare protocolli terapeutici, far dotare i cittadini di mascherine e guanti, eccetera. Se non avessimo dichiarato il lockdown, la curva dei contagiati sarebbe “esplosa” esponenzialmente verso l’altro e oggi conteremmo centinaia di migliaia di morti; però questo tempo l’abbiamo pagato molto caro, tanto che non possiamo permetterci di comprarne altro.
  2. L’ingresso nella Fase 2 ha quindi ragioni economiche, non sanitarie, e dal punto di vista sanitario è un enorme rischio. Solo, è un rischio che siamo obbligati a correre. Se guardassimo solo ai dati epidemiologici, interrompere il lockdown ora sarebbe un terribile errore; lo dicono, in forme diverse, tutti gli specialisti. Prendiamo ad esempio uno studio dell’Imperial College di Londra (consultabile in italiano qui): secondo loro, in sintesi, avremmo bisogno di restare in lockdown per altre otto settimane. Un altro studio di epidemiologi cinesi osserva che le misure prese in Italia sono state sì efficaci ma meno di quelle prese in Cina (più immediate e più stringenti), e che dovrebbero quindi essere mantenute fino all’inizio di agosto. Entrambi gli studi prevedono, in caso di allentamento, una ripresa dell’epidemia su scala nazionale, con effetti potenzialmente anche peggiori di quelli che abbiamo già sperimentato.
  3. Bilanciare le esigenze economiche e sanitarie è quindi complicatissimo: stiamo imboccando un ponte strettissimo, sospeso tra la Scilla di una recrudescenza dell’epidemia su scala stavolta davvero nazionale e la Cariddi di un irreversibile disfacimento della nostra economia già al limite. Già in un precedente articolo ho esaminato il documento del Comitato Tecnico Scientifico dell’ISS che, prendendo atto del fatto che il passaggio alla Fase 2 è improcrastinabile, spiega però che solo limitando fortemente le interazioni sociali extralavorative è possibile evitare che si trasformi in un disastro. In altre parole: dato che non è in discussione se si debbano riprendere le attività produttive, è decisivo come le si riprende.
  4. Le necessarie misure di monitoraggio attivo e intervento indispensabili per verificare in tempo reale come si sviluppa la Fase 2 praticamente non esistono. Questo è estremamente grave, e dovremmo tutti protestare violentemente verso il governo non già per esigere di essere “liberati”, ma per esigere di essere controllati: la strategia delle “3 T”: Testare, Tracciare, Trattare (descritta ad esempio in un’intervista ad Alessandro Vespignani che abbiamo già citato) è uno strumento vitale per una fase così incerta, e a oggi personalmente non vedo traccia di una sua applicazione. Dovrebbe essere predisposta la somministrazione di centinaia di migliaia di test al giorno, dovrebbero esistere strutture di isolamento per i positivi, dovrebbero esistere protocolli per curarli precocemente e seguirli individualmente, e tutto questo dovrebbe essere uno standard unico nazionale e non affidato alle Regioni. Punto e basta, su questo non esiste possibile dubbio. Che questo non stia accadendo è di gran lunga il singolo fatto più intollerabile della situazione in cui siamo, e potrebbe essere la causa prima di molte migliaia di morti. Per citare ancora Vespignani, «Serve un esercito. Serve una determinazione ossessiva e spietata. Io in Italia oggi questo esercito non lo vedo».

Qual è la conclusione a cui dobbiamo giungere a partire da queste considerazioni? Una sola: in queste circostanze, alla fine sarà il comportamento dei cittadini a decidere la sorte di tutti noi. Questo è gravissimo, e significa di fatto abbandonare noi cittadini alle conseguenze dei nostri stessi comportamenti senza peraltro che ci siano state date istruzioni chiare e coerenti. La decisione di interrompere il lockdown è necessaria, ma rischiosa; quindi, se il governo offre solo indicazioni generiche e ondivaghe (sintomatico il dibattito sui “congiunti”), e ogni Regione pretende di disporre aperture e chiusure in autonomia, vorrà dire che vi dico io cosa dobbiamo tutti fare. Siete pronti?
Dobbiamo continuare a fare esattamente quello che facevamo durante il lockdown, salvo riprendere la nostra attività lavorativa applicando le necessarie misure preventive (mascherine, guanti, distanze, aerazione dei locali chiusi). O, dicendolo in un altro modo, la Fase 2 serve solo a far ripartire l’economia, perché sennò finiremo per non avere da mangiare, ma non a farci riprendere i rapporti sociali. Non vi piace? Neanche a me, ma la realtà non dipende da quello che ci piace o meno. Per capirci, diamo un’occhiata alla Piramide dei bisogni di Maslow che è riportata qui sotto: oggi a mio avviso dobbiamo garantirci i bisogni dei due livelli inferiori della piramide, e non possiamo permetterci di perseguire tutti i livelli allo stesso momento. Questo è qualcosa a cui non siamo abituati: la nostra vita è fortemente orientata a ricercare la soddisfazione dei livelli superiori della piramide, a cui dedichiamo la gran parte dei nostri sforzi; in una fase di autentica crisi, questo non funziona: dobbiamo occuparci della nostra salute, della nostra sicurezza, della disponibilità di cibo e protezione fisica. Tutto il resto oggi viene dopo: per questo dicevo che è inutile dibattere di teleobiettivi o fotografie più o meno “esatte”. Quello che conta è che le persone non hanno ricevuto dalle autorità un messaggio chiaro e ineludibile, quello che la Fase 2 è possibile solo se significa concentrarsi sulla ripresa delle attività produttive e non in generale sulla ripresa della “vita normale”, che oggi non è possibile perché sarebbe pericolosissima. Tra le insufficienze dell’azione del governo e in generale delle autorità c’è appunto il fatto di non aver trasmesso in modo netto questo messaggio; dunque, diamocelo da soli, e cerchiamo di seguirlo.

*** Aggiunta del 18 maggio 2020 ***
A una settimana dalla pubblicazione di questo articolo, e visto che è ancora abbastanza letto, aggiungo alcune brevissime considerazioni:
– fino a ieri, il graduale calo dei casi e dei decessi è continuato, sia pure in modo non uniforme. Possiamo dire che ieri la Fase 1 si è chiusa anche statisticamente, nel senso che da oggi si potrebbero cominciare a vedere i primi effetti delle aperture fatte a partire dal 4 maggio;
– il riferimento un po’ generico che avevo fatto alla messa a punto di protocolli terapeutici più efficaci in questi giorni ha trovato più solide conferme, e i nuovi ricoveri in terapia intensiva sono stati pochissimi ovunque;
– tra le voci che però invitano a un’estrema cautela, seleziono un breve estratto di un’ intervista a Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Lazzaro Spallanzani, che tra l’altro dice: «Qualsiasi abbassamento delle misure deve andare di pari passo con l’aumento della responsabilità e della consapevolezza dei rischi da parte dei cittadini». Spero che questo articolo possa aver contribuito anche minimamente a questa consapevolezza.

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