Dopo avere visto i paesi europei scannarsi sui migranti, che nessuno voleva, e che vedeva alzare muri qua e là per l’Europa (muri in Europa, diomio!), vediamo adesso lo scannamento globale nella ricerca del vaccino, ben spiegato da Giulia Belardelli sull’HuffPost (ma segnalerò altre fonti, in fondo a questo post).
Diciamo pure che per qualunque problema serio, che riguardi il benessere materiale, la tranquillità sociale o la salute, ogni Paese del mondo pensa prima a se stesso.
Una banalità, se ci pensate. Una ovvietà.
Che però mi e ci conduce verso alcune riflessioni drammatiche; perché da un lato noi facciamo parte della stessa umanità, condividiamo il pianeta, e viviamo o moriamo con esso; dall’altro ci sono potentissimi meccanismi tribali che ci portano a stringerci l’uno con l’altro a livello di Paese, quando va bene, ma anche a livelli inferiori in determinati casi (come abbiamo visto in Italia con le vergognose prese di posizione di alcuni presidenti di Regione). In realtà il secondo momentum è più complesso e articolato, proprio perché ha natura sociale, e quindi relazionale, culturale e infine politica (insomma: il solito e trito discorso sulla complessità): c’è indubbiamente la gente che cerca rifugio nella tribù contro tutte le altre tribù considerate potenzialmente ostili, ma c’è anche lo scaltro capo tribù, che non vuole certo essere scalzato dal suo trono, che soffia sul fuoco della paura da un lato, mentre dall’altro fa di tutto per mostrare che il suo unico interesse è proteggere i suoi figli, anche lasciando bruciare all’inferno gli stranieri.
Sul piano politico e comunicativo quindi, così mi sbrigo anticipando le conclusioni, chi proclama di volere il benessere dei suoi concittadini, e mostra in pratica di essere coerente con quel messaggio, vince. Punto. Vince Trump in America come vince Salvini (o chi lo sostituirà) in Italia. Chi propone articolati e complicati discorsi sul prossimo, che è nostro fratello (discorso da cattolici) o sulla necessaria fratellanza umana (se è un comunista idealista) o altri simili, può ottenere credito a determinate condizioni: i) che l’ascoltatore sia sinceramente pervaso da determinati valori, e questa è condizione di ristrette minoranze; ii) che non si vada molto oltre le dichiarazioni, e che le conseguenze di tali dichiarazioni siano astratte e teoriche.
Mi spiego con un esempio sui migranti, una questione molte volte trattata su questo blog: finché si tratta di andare al porto a portare gli arancini ai migranti bloccati dal Truce Salvini sulla nave Diciotti (fonte), una sorta di festa corale, un happening, un messaggio a Salvini assai prima che un qualche-cosa-di-concreto per i migranti, va tutto bene; ma se si tratta di dire ok, allora regolarizziamo i migranti (si veda la polemica di questi giorni attorno alla proposta della ministra Bellanova), allora apriti cielo! (Digressione fuori tema, ma la trovo divertente e la faccio: al governo col Salvini che bloccava il porto ai migranti c’era anche quel M5S che ha fatto di tutto per mettersi di traverso alla proposta Bellanova; tanto per ricordarsi chi c’è, realmente, al governo di questo Paese).
In sostanza non esiste un sentimento condiviso di appartenenza alla specie umana se non in un numero ridicolmente piccolo di persone (ma veramente piccolo, immagino nel numero complessivo di qualche centinaio, non più, e io stesso, discorsoni a parte, non credo di farne parte). Se questa cosa vi scandalizza vi prego di pensare, rilassatamente e sinceramente, nel vostro foro interiore che nessuno può vedere, se veramente voi vi sentire così parte delle questioni cinesi, se siete così empatici coi poveri africani, se soffrite per gli abitanti delle favela, se siete affranti dalle sofferenze di Bombay eccetera. E, per la precisione, la carità che fate al nero fuori dal supermarket non conta, come non conta se vi siete fatti il selfie con la maglietta rossa (era il luglio 2018 – fonte), se avete l’abbonamento al manifesto o se Salvini vi sta antipatico. Non conta. Conta la pratica, la sostanza, e la pratica è che vogliamo sopravvivere al coronavirus, vogliamo anche che le imprese riaprano perché non vogliamo morire di fame e vogliamo vivere, ed essere felici. Come individui.
E adesso l’affondo cinico, necessario per dare un senso a questo breve post, e per ammazzare una volta ancora lo sterile perbenismo che non porta a nulla che vada oltre gli arancini e le magliette rosse: se gli americani – poniamo accada – si vaccineranno per primi grazie ai dollari di Trump, noi avremo tutte le ragioni di protestare, e io sarò con i protestatari a chiedere spiegazioni per l’affronto, davanti all’ambasciata americana.
Ma la constatazione del fatto che il mondo funziona esattamente così dovrebbe anche cercar di farmi prevenire questa condizione di minorità. Come italiano quindi vorrei un’Italia forte nella scienza, nella medicina e nella ricerca, capace quindi di essere nel ristretto circolo di chi conta, sta per contare e conterà quando si discuterà di vaccini; poi vorrei un’Italia autorevole in una Europa forte, capace non solo di competere per il brevetto di un vaccino ma, più in generale, di non farsi calpestare né da Trump, né da Putin o Xi Jinping (e di essere interlocutore unico, forte e ascoltato con la Turchia, sulla Libia, e nei cento scenari rilevanti aperti di fronte a noi).
Potreste dire: benissimo l’Europa, benissimo tutto, ma chi penserà agli africani, agli indiani, agli afghani, ai brasiliani, che non hanno possibilità di competere, di essere ascoltati? La risposta datela voi. Dipende da quanto vi sentite fratelli, uguali, solidali, empatici col resto del genere umano. Io non lo so. Una sola cosa posso dire con assoluta certezza: nel ruolo di estrema minorità in cui, in questi decenni, si è condotta l’Italia, sotto tutti i profili, non solo non aiuteremo gli africani o i brasiliani, ma non aiuteremo neppure noi stessi, non aiuteremo l’Europa a essere più forte e resteremo nelle mani di bulli assoluti come Trump.
Noi e gli africani.
Risorse:
- David E. Sanger e altri, Profits and Pride at Stake, the Race for a Vaccine Intensifies, “The New york Times”, 2 maggio 2020;
- Henry Senders, Can China win big in vaccine race with biotech bet, “Financial Times”, 3 mag 2020;
- Riccardo Petrella, La risposta mondiale al coronavirus. Che mistificazione!, “Pressenza”,15 mag 2020.