Quanto costa la cooperazione allo sviluppo? E cosa riesce a fare, a fronte di quei costi?

Federico Marcon è un esperto di cooperazione internazionale, di cui vale la pena leggere la biografia da se medesimo scritta sul fatto Quotidiano. Dopo vi passa la voglia di leggere altro, ma il vostro intrepido blogger ha tenuto duro e letto il suo articolo dal titolo La cooperazione internazionale ha un costo. Il Marcon, per qualche ragione punto sul vivo personalmente, spiega che la cooperazione internazionale ha dei costi, e deve avere dei costi, perché impiega dei professionisti come lui; non vuoi pagare i professionisti? Allora ti ritrovi le Silvie Romano che vanno in Africa senz’arte né parte e poi si fanno rapire. Il Marcon, quindi, spiega agli sprovveduti che fanno qualche critica:

Questi saputelli sono gli stessi arringa-popoli che da sempre gridano allo scandalo per gli stipendi dei funzionari delle Nazioni Unite o per le “sfarzose” condizioni di vita dei cooperanti che girano in Suv, affittano case spaziose con giardino e cenano nei migliori ristoranti della città. […] Quando nel nostro settore tentiamo di spiegare ai nostri supporter il perché sovente dobbiamo trattenere dal 10 al 30% del denaro che ci viene donato per poter pagare professionisti validi ed applicare una struttura gestionale che – come in qualunque azienda privata – permetta di raggiungere il massimo dell’efficacia ed efficienza, spesso veniamo trattati come ladri che si intascano i soldi sottobanco.

Ben fa Marcon a dire che nella cooperazione servono professionisti, e che questi vanno ben pagati, anche perché fanno una vita solo apparentemente comoda e lussuosa ma, in realtà, sono spesso degli sradicati globetrotter che vivono la fatica di difficili relazioni sociali e familiari, sempre in giro per il mondo, senza la possibilità di costruirsi una vita “normale”. Ed è ovvio che – riprendendo un esempio di Marcon – i 100 Euro versati per un’ipotetica scuola in Niger devono necessariamente inglobare le spese di gestione e amministrazione e diverse altre, e quindi non saranno mai esattamente 100, gli Euro che vanno a quella scuola. Certo: se fossero solo 90, o 80, o 70 (questo afferma Marcon) andrebbe ancora bene; se iniziassero ad essere 60, 50 o 40, potremmo iniziare a brontolare. Vediamo un po’ di numeri.

Secondo il documento previsionale del Ministero degli affari esteri per il triennio 2019-2021, la voce “cooperazione allo sviluppo” assorbe il 43,58% del budget complessivo per “missioni e programmi” (il resto va per ambasciate e consolati – 22,40%, promozione della pace – 15,92 e attività di promozione culturale -8, 80%). Si tratta – per la sola voce della cooperazione, di 1.180.000.000 Euro (un miliardo e centottanta milioni).

Piccolo inciso:  la cifra è in calo rispetto agli anni precedenti e irrisoria rispetto a quanto spendono altri Paesi (più di 10 miliardi la Francia, per esempio); una quota rilevante di quanto dichiarato come spesa in sviluppo è costituito dal cosiddetto “aiuto gonfiato”, ovvero soldi che in realtà non vengono mai sborsati ma imputati artatamente a questa partita (35,41% dei soldi italiani del 2017 sono di questo tipo: cancellazione del debito, formazione di studenti stranieri in Italia etc. – fonte). 

Sempre per precisare: questi di cui parliamo sono soldi direttamente spesi dall’Italia, ma la cooperazione allo sviluppo si nutre anche di grandi organizzazioni internazionali pubbliche (come le Nazioni Unite, delle quali Marcon è stato dipendente, e che sono sovvenzionate dai paesi membri, fra i quali l’Italia) o private, ONG di dimensioni enormi che vivono di donazioni e – ovvio! – di programmi di cooperazione coi quali pagano, fra le altre cose, i loro dipendenti e la loro organizzazione generale. Prendiamone una a caso, Oxfam, e guardiamo il suo bilancio 2019 per la sola parte italiana (attenzione, qui ci allontaniamo dal tema specifico della cooperazione italiana in Paesi terzi, ma può bastare come esempio di costi gestionali). Proventi totali 18.000.000, di cui 13.869.000 Euro per la quasi totalità pubblici (non parte delle voci del Ministero, ma di enti pubblici di varia natura) e un po’ più di 3.000.000 da raccolta fondi; oneri: personale 4.438.000, pari al 25% dei proventi totali; attività di promozione (personale escluso) 1.183.000, pari all’6,5%; altri oneri di supporto generale (personale escluso) 825.000, pari al 4,6%, più altre voci minori quali oneri finanziari e patrimoniali. In conclusione, ogni 100 Euro incassato da Oxfam da enti locali o su bandi, per progetti di contrasto alla povertà, solo 61 vanno per “materiali e servizi” specifici dei progetti realizzati. Sia chiaro che era solo un esempio, e certamente uno di eccellenza.

Bisogna però aggiungere altre voci molto nascoste, che solo chi fa cooperazione sul campo conosce. In diversi casi realizzare un progetto di cooperazione in paesi – diciamo così – difficili, impone delicati passaggi con il potere locale; da piccoli boss dei villaggi fino ad autorità politiche di rilievo nazionale, non si può fare cooperazione se non si paga un prezzo; non parlo necessariamente di mazzette. Anzi: le mazzette non sono rendicontabili, non possono figurare in un bilancio. Ma una consulenza di comodo certamente sì. Un viaggio in Italia per ragioni diplomatiche e politiche, per “meglio organizzare il progetto”, indubbiamente sì (ma allora anche due viaggi, o tre viaggi, vitto e alloggio inclusi). Un progetto ampio, con molteplici attività, può poi facilmente prevedere interventi dove piacciono a quel politico locale che consente, poi, di fare anche le altre belle cose previste, e il costo di quell’intervento pilotato è un costo reale del progetto per attività che possono essere inefficaci e improduttive. Poi c’è il via vai di funzionari italiani che incrociano il via vai di politici del paese beneficiario, con un cospicuo fenomeno di “turismo della cooperazione” che probabilmente sarà poco influente per la nostra cooperazione in Kissadovestan, ma vi assicuro essere fiorente per località come Cuba. In tutta questa zona grigia della cooperazione un ruolo distintivo è proprio dei diplomatici, chiamati in alcuni casi a “coprire” le lacune, i buchi, le cose mal fatte con attestazioni discutibili e poco veritiere.

Se mettete tutti questi costi indiretti, o nascosti, nel mucchio, capite bene come la cooperazione allo sviluppo costi ancora più di quanto visto nel caso di Oxfam. E quei 100 Euro per la scuola in Niger di cui parla Marcon diventano non già 60 per la reale costruzione della scuola, ma forse 50, o forse meno. Per stare solo sui costi. Perché se incominciassimo a discutere su quanto sia efficace questa cooperazione, come aiuti veramente le popolazioni locali, si aprirebbe un discorso veramente penoso e aspro.

Bisognerebbe allora fare un discorso più articolato e complesso di quello, piuttosto rozzo e autocelebrativo, di Marcon. Mi limito a citare alcuni punti di riflessione:

  • la cooperazione allo sviluppo è importantissima non solo per essere “buoni” con i più poveri del mondo, ma per difendere gli interessi nazionali italiani in aree di importanza strategica; perché credete che i francesi spendano 10 volte più noi (e molto più di noi tedeschi, britannici, svedesi, americani…)? La cooperazione è un potente veicolo diplomatico, aiuta a tessere rapporti a livelli governativi e locali e apre la strada a possibili commerci dai quali l’Italia va sistematicamente escludendosi;
  • la cooperazione allo sviluppo si concentra su Paesi poveri e infelici, spesso dominati non certo dalla migliore intellettualità locale ma, sovente, da cricche di banditi che governano in punta di fucile; è quindi chiaro che qualche compromesso va accettato e qualche occhio chiuso, ma ci sono molti modi per accettare compromessi e chiudere occhi: alcuni sono efficaci e raggiungono lo scopo; altri sono lasciati a loro stessi e vanno come vanno. Quando si tratta di rapporti bilaterali (il governo italiano che aiuta direttamente un governo straniero) serve una diplomazia scaltra, diretta da un Ministero attento e lungimirante; è noto che noi abbiamo perso scaltrezza e lungimiranza, in politica estera, da molti decenni;
  • quando poi si tratta di cooperazione multilaterale il discorso cambia; questa è cooperazione che vede l’intervento di un Ente Terzo (per esempio una grande ONG) che lavora sul Paese beneficiario per conto del governo italiano; il governo stabilisce il programma (assieme alle altre parti) e mette i soldi; la ONG gestisce tutto il pacchetto a fa una qualche specie di rendicontazione. Qui veramente le zone d’ombra diventano notti oscure, i costi di esercizio si gonfiano enormemente, gli interessi propri della ONG (sopravvivere, pagare gli stipendi, allacciare rapporti positivi per futuri programmi…) diventano primari oltre gli obiettivi del progetto posto in essere. La mia esperienza (piuttosto datata, semmai oggi le cose vanno meglio, e ne sarei lieto) è che i vincitori di questa partita sono solitamente le ONG, i politici dei Paesi terzi e qualche funzionario italiano; e che la valutazione dei risultati è, usando un eufemismo, molto benevolmente condotta da persone senza reale terzietà.

Il nostro Marcon dalla sfavillante, eroica e succosa biografia, quindi, bene fa a sentirsi chiamato in causa. Se controfirmo volentieri il principio che la cooperazione è cosa seria, e deve essere fatta da professionisti bravi, che vanno ben pagati, è altrettanto vero che si tratta di un mondo a parte, con logiche proprie, grande coesione all’interno; un club, dove  – con alcuni encomiabili eccezioni rappresentate, in realtà, da piccole ONG molto serie e radicate – tutti si conoscono, dove è difficile entrare, dove ci si inchina l’un l’altro, dove si coltiva una sorta di mistica molto esclusiva e dove, sostanzialmente, il bello e il cattivo tempo è deciso al suo interno. E poi sì, caro Marcon; alcuni privilegi di voi cooperatori restano inaccettabili, ed esulano dal buon compenso per il bravo professionista.