Mi spiace, ma bisogna chiudere le scuole

Lo riconosco, forse è intellettualmente scorretto aprire un articolo con la conclusione alla quale si giungerà analizzando un certo numero di elementi di fatto, e ancora più scorretto quando a farlo è chi, come me, è un osservatore non privilegiato, con a disposizione dati limitati e strumenti metodologici “artigianali” e quindi nell’impossibilità di affermare così categoricamente cosa si debba fare. Un titolo più corretto sarebbe probabilmente “Questi sono i motivi per cui occorre prendere in considerazione la chiusura delle scuole”, ma non so se lo trovereste più efficace. Diciamo quindi che per fare ammenda di questo eccesso di soggettività converrà passare subito a esaminare i dati oggettivi, per i quali ovviamente attingo alle fonti ufficiali a partire dal sito https://github.com/pcm-dpc/COVID-19.

Cominciamo dall’andamento dei positivi al virus che possiamo osservare nel grafico qui sotto, che riporta i dati dall’inizio dello scorso luglio:

Elaborazione Hic Rhodus su dati della Protezione Civile

Cosa si può osservare dal grafico, sia pure tenendo conto delle oscillazioni giornaliere e settimanali (i casi segnalati nel weekend sono sempre meno che negli altri giorni)? Che c’è un periodo iniziale, fino a fine luglio, di dati stabili a un livello piuttosto basso; poi c’è una crescita già significativa più o meno fino a fine agosto, quindi un periodo di circa tre-quattro settimane, fino agli ultimi giorni di settembre, in cui i nuovi casi aumentano ma ad un tasso più moderato. Infine, negli ultimi 10-12 giorni , l’incremento giornaliero imbocca decisamente un andamento molto più che lineare (in realtà esponenziale, come si vede se si adotta una scala semilogaritmica). Questo andamento “a tratti” si vede molto chiaramente anche in quest’altro grafico (che riporta sostanzialmente gli stessi dati) che è stato realizzato da Emanuele Ghedini, un professore di fisica dell’università di Bologna:

Fonte: Emanuele Ghedini, Facebook

Guardiamo ora un altro parametro importante, ossia il rapporto tra tamponi positivi e persone sottoposte al test. Infatti, l’andamento del numero dei positivi potrebbe essere influenzato da un incremento nel numero dei test (che in effetti c’è stato), ma il grafico mostra chiaramente che il tasso di positivi sulle persone testate è cresciuto analogamente al numero dei positivi, da meno dell’1% a luglio (il tasso di positivi è in arancione, e la scala relativa è quella a destra) fino ad avvicinarsi al 7% il 9 ottobre. Non è quindi (solo) la crescita del numero di test a determinare l’aumento dei casi osservati, anzi il numero di persone testate (curva blu e scala a sinistra) è sostanzialmente stabile da inizio settembre.

Elaborazione Hic Rhodus su dati della Protezione Civile

Infine, passiamo a un ultimo grafico, per molti versi il più importante, prima di tirare le nostre conclusioni:

Elaborazione Hic Rhodus su dati della Protezione Civile

Come si vede, anche la curva dei ricoveri in generale (curva blu, scala a sinistra) e di quelli in terapia intensiva in particolare (curva arancione, scala a destra) ha toccato il minimo intorno a fine luglio, quando oltretutto i ricoverati in terapia intensiva erano solo circa il 5% di tutti gli ospedalizzati. Da allora il numero dei ricoverati e delle terapie intensive è cresciuto, con un’evidente accelerazione intorno a fine agosto e un’altra, ancora più accentuata nei primissimi giorni di ottobre. Anzi, i ricoverati in terapia intensiva sono aumentati, in proporzione, anche più rapidamente, e il 9 ottobre erano l’8,7% di tutti i ricoverati. I decessi (in nero, scala a destra) aumentano anch’essi.

Veniamo ora dai dati oggettivi alle conclusioni. Dai grafici che abbiamo visto (e dagli altri dati disponibili) mi sentirei di affermare che:

  1. L’andamento dei positivi osservati mostra un forte incremento negli ultimi tre mesi, con delle punte di crescita in due momenti distinti: uno ad agosto e uno, a partire dalla fine di settembre, che è tuttora in corso.
  2. Questi incrementi non sono dovuti all’aumento dei tamponi effettuati: per quanto un aumento ci sia stato, il suo effetto sull’andamento dei positivi è marginale.
  3. I nuovi positivi non sono asintomatici: il tasso di ospedalizzazione è rimasto abbastanza stabile nel periodo, toccando il minimo a fine agosto (quando molti dei nuovi positivi erano giovani) e risalendo leggermente fino a raggiungere il 6,5% di ricoverati sul numero totale di positivi, un valore non pesante in sé, ma non irrilevante. All’interno dei ricoverati, come abbiamo visto, i casi gravi sono in proporzione cresciuti in modo significativo.
  4. La curva dei ricoveri “segue” quella dei positivi, ovviamente a una certa distanza temporale (circa 4-5 giorni secondo le linee che ho posizionato un po’ “a occhio” nei grafici). La cosa non può sorprendere, ma è utile sottolinearla: per quanto, fortunatamente, la diagnosi più precoce e le terapie più efficaci consentano oggi di trattare i casi sintomatici molto meglio di qualche mese fa, non ci troviamo di fronte a una malattia innocua.
  5. Infine, i decessi sono anch’essi in aumento, passati da un minimo di circa 5 al giorno intorno a fine luglio a 25-30 al giorno. È difficile definire un andamento attendibile a causa delle oscillazioni giornaliere che in proporzione sono più forti, ma non possiamo che attenderci che seguano quello dei ricoveri. L’età media dei morti per Covid è tuttora elevata (80 anni, v. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Report-COVID-2019_4_ottobre.pdf ), e la letalità del virus è praticamente trascurabile sotto i 50 anni, mentre diventa significativa sopra i 60 e critica sopra i 70.

È quindi evidente che, per quanto le migliorate competenze mediche acquisite in questi mesi di battaglia contro il virus stiano limitando i danni, è palesemente falso che il Covid non rappresenti più una minaccia, o che non siano giustificate misure di contenimento per frenare l’epidemia che lasciata a se stessa non potrebbe che proseguire lungo una traiettoria esponenziale che ci condurrebbe presto a migliaia di ricoveri in terapia intensiva e a centinaia di morti al giorno. Non sono solo i casi positivi a crescere: tutti i parametri dell’epidemia si muovono nella stessa direzione, e sperare che possano crescere i positivi senza che crescano i casi gravi e i morti è sciocco. Queste non sono conclusioni arbitrarie: sono le naturali e logiche conseguenze dei dati che abbiamo sotto gli occhi, e negarle significa o mentire o non (voler) accettare l’evidenza.
Meno evidente è invece la linea di condotta da adottare. Il governo, con il nuovo DPCM (e non sarà l’ultimo), ha esteso e accentuato gli obblighi di prevenzione, anche oltre la razionalità (obbligare tutti e sempre a indossare la mascherina, anche da soli e all’aperto, non ha molto senso; sarebbe invece a mio avviso decisivo applicare controlli frequenti e rigorosi all’interno di negozi, uffici, e in generale tutti i luoghi chiusi o i luoghi aperti ma affollati). Ma la vera misura da prendere temo sia un’altra.

Pur nell’andamento complessivamente crescente che tutti i parametri mostrano da fine luglio a oggi, c’è un punto di discontinuità che va sottolineato: l’ultima e più intensa accelerazione che ha portato sia i casi che i ricoveri su una curva di crescita più che lineare è direttamente correlata alla riapertura delle scuole. Pur nella difficoltà di isolare il contributo di questo singolo fattore, ho riportato su tutti e tre i grafici che ho elaborato una riga verticale blu in corrispondenza del 14 settembre, data della riapertura delle scuole; è abbastanza evidente che tra la linea verticale blu e quella arancione che indica la data approssimativa dell’ultima accelerazione del contagio passano circa due settimane per le positività e circa 20 giorni per i ricoveri, tempi decisamente compatibili con l’ipotesi che questo “salto” da una crescita lineare e quindi gestibile a una pressoché esponenziale e quindi ingovernabile sia dovuto appunto all’apertura delle scuole. D’altronde, dovremmo ricordare che già a maggio scorso il documento del CTS sulla base del quale si decisero le modalità di riapertura graduale delle attività post-lockdown individuava nell’apertura delle scuole il singolo fattore potenzialmente in grado di far riesplodere l’epidemia: «la sola riapertura delle scuole potrebbe portare allo sforamento del numero di posti letto in terapia intensiva attualmente disponibili a livello nazionale», scrivevano gli esperti del CTS, e quello che sta accadendo ora non fa che confermarlo. In particolare, è la fascia di età tra i 10 e i 19 anni quella che avrebbe le maggiori interazioni sociali e quindi la maggiore capacità di diffondere il virus.

Ma allora come mai il ministro Azzolina sostiene che i casi tra studenti e insegnanti sono relativamente pochi e che quindi la scuola sarebbe «un luogo più sicuro e più protetto di altri»? I motivi possono essere diversi, ma i principali che segnalerei sono:

  • I ragazzi positivi al virus sono in stragrande maggioranza asintomatici, e, in assenza di programmi di test sistematici su campioni di ragazzi, è inevitabile che la positività in quelle fasce di età passi in grandissima parte inosservata. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre l’80% dei ragazzi trovati positivi al Covid sono asintomatici o paucisintomatici. Figurarsi quelli la cui positività non è stata riscontrata.
  • Le interazioni sociali favorite dall’apertura delle scuole si svolgono solo marginalmente nelle classi e nell’orario di lezione: qualsiasi siano le precauzioni prese nelle scuole, e la loro efficacia (e francamente tali precauzioni a me sembrano insufficienti, visto che si tratta di tenere decine di persone per ore in uno spazio ristretto e chiuso), queste non impediranno ai ragazzi di ricevere e trasmettere il virus prima e dopo le lezioni.

Passiamo quindi alle conclusioni. Cosa deciderei se fossi io al posto del Presidente del Consiglio Conte a dover redigere il prossimo DPCM? Pur nella consapevolezza di non disporre di tutti gli elementi di valutazione necessari, provo a dire la mia e invito i lettori di Hic Rhodus a contribuire alla discussione, possibilmente a partire da dati di fatto e non da opinioni precostituite o desideri personali:

  1. Bisogna assolutamente chiudere le scuole, almeno quelle medie e superiori. Questo è il singolo provvedimento che può interrompere la tendenza di crescita e riportarla a dimensioni controllabili.
  2. Per scuole medie e superiori, deve quindi essere ripresa e resa sistematica la didattica a distanza. Piaccia o meno, è l’unica modalità con cui è possibile oggi insegnare a quelle fasce di età senza rischi.
  3. Di conseguenza, è opportuno reintrodurre sussidi per l’impiego di baby-sitter. Per quanto io personalmente ritenga che anche un ragazzo delle medie possa starsene a casa da solo senza provocare disastri e senza dedicarsi ad atti di autolesionismo, le famiglie che preferiscano ricorrere a una baby-sitter è giusto che possano ricevere un aiuto. Le baby-sitter serviranno anche alle famiglie con bambini più piccoli che debbano rimanere a casa perché nelle loro scuole si siano trovati casi di positività.
  4. È essenziale imporre lo Smart Working a tutte le aziende in grado di applicarlo. Come tutti noi che lavoriamo in settori “candidabili” allo Smart Working sappiamo, le aziende stanno progressivamente riportando i dipendenti a lavorare nelle sedi ordinarie, imponendo ovviamente l’uso della mascherina e delle altre misure precauzionali. Questo è un grave errore, e il governo deve chiedere a tutte le imprese che hanno adottato lo Smart Working durante il lockdown di riprenderlo per il 100% del personale.
  5. Eviterei di imporre obblighi poco efficaci come la mascherina all’aperto. Piuttosto, occorre che nei luoghi dove le mascherine sono effettivamente indispensabili, come negozi, officine, uffici e altri luoghi chiusi e promiscui, siano applicati controlli sistematici e rigorosi.
  6. Infine, è necessario potenziare ulteriormente i test. È francamente grave che per sottoporsi a un tampone le persone “a rischio” debbano sobbarcarsi file di ore presso i centri “drive in”. È lecito il sospetto che il governo non voglia aumentare troppo il numero dei test per evitare che la curva apparente dei contagi cresca troppo rapidamente, ma si tratta di una strategia perdente. Dobbiamo poter svolgere il doppio dei test attuali, e svolgere azioni di screening preventivo nei luoghi a rischio.