Crisi della rappresentanza politica e assenza degli intellettuali

Quando leggo qualcosa di intelligente mi viene voglia di parlarne qui su HR. È il caso dell’articolo di Goffredo Buccini, sul Corriere della Sera dell’11 febbraio 2021, dal titolo Il paradosso Rousseau e la crisi della rappresentanza politica. Prima ne riporto qualche stralcio, a beneficio dei lettori di HR, poi farò un breve commento.

Scrive Buccini:

La sciarada di Rousseau, balzata al centro della scena nella formazione del governo Draghi, costituisce un paradosso del nostro sistema. E illumina ancora, stavolta nelle condizioni più estreme, un cortocircuito su cui sarà opportuno riflettere nei prossimi, preziosi mesi di possibile tregua tra fazioni: la crisi della nostra rappresentanza politica. Sarebbe, dunque, sbagliato liquidarla come mera manifestazione di infantilismo o irresponsabilità, per quanto forte ne sia la tentazione di fronte all’idea che la consultazione di qualche decina di migliaia di persone su una piattaforma digitale privata, e senza un reale controllo indipendente, possa decidere un passaggio cruciale per sessanta milioni di italiani.

Dopo avere segnalato la pura demagogia rituale su decisioni già prese dai vertici pentastellati e il bluff del video di Grillo “rivolto a una platea di bambini nemmeno troppo dotati, con affermazioni al limite del fiabesco”, Buccini propone la sua tesi:

Non è sugli psicologismi politici ma sulla sostanza che vale la pena ragionare. Perché la questione della piattaforma Rousseau non riguarda solo i Cinque Stelle e neppure riguarda strettamente queste ore così faticose: è infatti una paradossale risposta antidemocratica (come lo è sempre l’illusione di democrazia diretta in contesti vasti e complessi) a fronte di una reale falla del nostro sistema, tanto nota da sembrare ogni volta la scoperta dell’acqua calda, per essere poi, ogni volta, rimessa nel fondo della dispensa. Questa falla consiste nella rottura del rapporto tra elettore ed eletto.

L’analisi è spietata:

A guardar bene, l’ascesa del grillismo coincide nei tempi proprio con la stagione nella quale, tramite gli artifici della legge elettorale, i leader di partiti spesso ridotti a loro comitati elettorali, si appropriano della scelta vitale per ogni democrazia: di sottoporsi, con qualche chance di successo, al giudizio del popolo sovrano. Senza entrare in tecnicismi, vale qui ricordare che buona parte della vita della cosiddetta Seconda Repubblica e l’intera vicenda della Terza (ammesso che siano mai nate, non avendo mai l’Italia cambiato Costituzione) sono attraversate da questa faglia delle liste bloccate in mano al segretario padrone, che coartano la libertà dell’elettore collocando in posizione più sicura i fedeli alla linea del capo o gli amici, o gli amici degli amici: finita da un pezzo la capacità dei partiti di selezionare il proprio personale in base al cursus honorum politico, ciò che resta sono la simpatia e il servilismo, essendo la capacità una condizione non più essenziale né sufficiente.

Ed ecco la diagnosi finale:

L’inganno della proposta pentastellata, nuovamente enfatizzato dagli eventi di queste ore, è consistito nel raccontarci di avere trovato una via per sbloccare quest’impasse: le primarie digitali, le comunarie, le parlamentarie e via inventando neolingua e nonsense, con un meccanismo di selezione che ha però proiettato sulla ribalta nazionale personaggi recanti al massimo il consenso del proprio condominio. Il combinato disposto tra questi due flussi di candidati ha prodotto i Parlamenti delle ultime legislature e, segnatamente, il Parlamento tuttora in carica (benché ammaccato dal referendum che ne ridurrà i membri alla prossima tornata elettorale): consessi nei quali l’inadeguatezza, l’impreparazione, talvolta la pura ignoranza di taluni ha sbalordito gli italiani fino alla costernazione, e nei quali la sudditanza al diktat delle segreterie ha mortificato ogni dibattito.

La gigantesca fandonia della democrazia diretta, di cui ancora sperimentiamo l’assurdità di fronte a emergenze che richiedono competenza e capacità decisionali, è in questo contesto come il bambino che grida che il re è nudo.

La conclusione di Buccini è che “le regole vanno cambiate” approfittando di questa straordinaria occasione (quale? quella di Draghi?).

Un ottimo articolo, e una debole e scontata conclusione, e la mia non è una critica perché non sono certamente io ad avere una soluzione.

Ma se il problema è bene diagnosticato (la crisi della rappresentanza politica) occorre una prognosi, e probabilmente un’anamnesi capace di dare lumi su come siamo finiti in questo cul de sac. Perché ormai sono (siamo) in tanti a dire che c’è questa crisi di rappresentanza, ma ormai siamo oltre, alla crisi della medesima crisi, alla risposta populista alla crisi entrata nel pallone, alla disperazione di Grillo supplice con la sua “base” e al quesito farlocco sulla piattaforma Rousseau per salvare la faccia.

Il problema riguarda la frattura fra intellettuali e popolo, prima assai di quella fra eletto e suoi elettori, che altro non è che una specifica declinazione del primo.

Gli intellettuali non hanno più un ruolo, non viene loro riconosciuto alcun ruolo, e non riescono a incidere sulla loro comunità consigliando, ammonendo, indirizzando, com’è il loro ruolo storico: i preti (fra i più antichi rappresentanti dell’intellettualità, in senso lato) sono diventati opachi fornitori di servizi, raramente capaci di leggere la società contemporanea, protagonisti di meschinissime beghe di sacrestia (in queste ore è esplosa la questione dell’esilio imposto a Enzo Bianchi, priore di Bose; una vergogna consumata nel silenzio delle gerarchie ecclesiali); i filosofi sono stati cacciati in nicchie di insignificanza dalla generazione dei Fusaro, assai più suadente e adatto ai social media di un Galimberti, per dire; narratori e testimoni dell’attualità scomparsi, sopraffatti da Fabio Volo e dalle serie Netflix (dove sono i Moravia, i Pasolini, le Ginzburg?); e che dire dei grandi pedagogisti, i grandi animatori di idee, i grandi giornalisti non conformisti? 

Perché, guardandoci attorno, non troviamo alcun gigante, sulle cui spalle elevarci per scorgere orizzonti più lontani?

I politici, intellettuali particolari, vocati al bene del Paese, sono certamente i più esposti alla critica; dentro la stanza dei bottoni, sotto la luce dei riflettori, decisori della destinazione di ingenti risorse, questa particolare figura di intellettuale è più facilmente corruttibile, più facilmente smarrisce le idealità che pure l’avranno mosso, in origine. Ma per quanto male possiamo dire, alla luce della Storia, ex post, di Andreotti e Craxi, di La Malfa e Berlinguer, e di tutti gli altri, ma che abisso incolmabile coi Conte, i Di Maio, gli Zingaretti e tutti, tutti, assolutamente tutti gli altri!

La crisi di rappresentanza lucidamente descritta da Buccini, in conclusione, non è la causa dei nostri mali, ma una conseguenza di un male più profondo e grande. Poi, certamente, questa crisi produce a sua volta ulteriori esiti negativi, ampliando e velocizzando la crisi del sistema istituzionale democratico italiano.

La crisi più profonda ha molteplici forme e nomi: è la storia degli italiani e il loro carattere individualista e opportunista; è la globalizzazione e la complessità sociale che rendono rarefatte le visioni, incerti i valori, deboli i legami; è la crisi del modello democratico in sé, che ha consentito ai suoi nemici di crescere al suo interno e farne marcire le fondamenta.

Se una nuova leva di intellettuali non alza la testa, allontanandosi con sicurezza e coraggio dal pensiero omologato e dalla cancel culture, dai machismi e dai femminismi e dai fascismi e dai comunismi e da tutti gli –ismi sopravvissuti nei salotti piccolo borghesi, dal linguaggio politicamente corretto e dalle sintassi ripetitive di cliché che erano già ammuffiti nel secolo scorso, dalle pedagogie formali, dalle sociologie rituali che scoprono continuamente l’ovvio, dal giornalismo bastardo, dai modelli culturali hollywoodiani che plasmano i comportamenti assai più dei big data e degli hacker russi, se – dicevo – non si eleva una nuova classe intellettuale sì fatta, non ci sarà Governo Draghi a salvarci, né Europa col Recovery Fund, né Papa Francesco o Jeremy Corbyn.

E poiché gli intellettuali non sono necessariamente i quattro divi che firmano i corsivi per il Corriere della Sera o che scrivono libri di successo, ma tutti coloro che esercitano con sforzo, fatica e sofferenza il loro pensiero critico, cari lettori di Hic Rhodus, sì, è anche a voi che penso.