Un ampio servizio su Repubblica ricorda il tema scomodissimo dei rifiuti nucleari, accumulatisi in Italia sin dal 1959 col primo reattore attivato a Ispa (Varese) e alimentato negli ultimi sessant’anni da centrali nucleari spente e in smantellamento, reattori sperimentali, centri di ricerca, depositi di aziende specializzate, puntali di parafulmine, scarti della radiografia medica, rilevatori di fumo: un totale, al momento, di 31.027,3 metri cubi destinati a triplicarsi con l’ultimazione dei vari lavori di decommissioning e bonifica.
Attualmente i rifiuti sono sparsi un po’ in tutta Italia (vedi prima mappa), in attesa che il Governo identifichi il sito unico nazionale dove stoccare, in sicurezza, tutto il materiale, e procedere alla bonifica. Questa decisione è attesa da venti anni e ancora non viene presa per l’ovvia protesta delle popolazioni e delle amministrazioni al momento candidate (QUI tutte le informazioni) che riportiamo nella seconda mappa.
Nel decreto Milleproroghe, che ha ricevuto l’OK dalla camera un paio di giorni fa, si trova anche un emendamento che sposta da 60 a 180 giorni il tempo concesso agli enti locali per presentare osservazioni, e qui cessiamo con la cronaca per fare una considerazione sul semplice fatto che le scorie nucleari non le vuole nessuno. Ovviamente.
Inutile spiegare che l’operazione del deposito nazionale è più sicura dell’attuale incerto stoccaggio in più siti; grazie, non ci interessa lo stesso. Inutile proporre – come si fa all’estero – degli incentivi economici; grazie, non ci manca nulla. Impossibile prendere una decisione d’autorità: vedi Val di Susa.
Il fatto è che nessuno vuole un deposito di scorie nucleari davanti a casa, è la famosa sindrome NIMBY (Non In My BackYard – Non nel mio cortile). Io, per essere chiari, non lo vorrei. A me ora interessa discutere non già del problema tecnico (da qualche parte quelle dannate scorie le dovremo pur ficcare) né di quello di piccola politica (come risolvere il problema facendo arrabbiare meno elettori possibile), ma di un tema generale, relativo alla Democrazia, che in questo caso emblematico diventa evidentissimo: come contemperare il massimo della democrazia con un problema indigesto qualunque, per esempio lo smaltimento delle scorie radioattive? Mi piacerebbe avere davanti a me Grillo, Meloni, Salvini, Renzi e Zingaretti e chiederglielo, e avere il potere di dare un fragoroso ceffone a quelli che invece di rispondere si mettessero a blaterare fuffe politichesi; li vorrei ciò costringere a formulare una risposta semplice, netta, con una o due frasi formate come si conviene, soggetto e predicato, sintatticamente chiare e semanticamente non ambigue. Sarebbe un esperimento politologico fenomenale, ci si potrebbe scrivere un libro!
Poiché quell’opportunità non mi verrà mai data, proviamoci noi.
La decisione finale, se un po’ di capacità logica mi è rimasta, non può che essere presa in uno di questi modi:
- in modo autocratico: per esempio, il governo decide come gli pare, la maggioranza parlamentare lo sostiene, i carabinieri sorvegliano che dove si è deciso, poi, si faccia;
- in modo tecnocratico: il governo affida a un comitato terzo di tecnici super partes la decisione, impegnandosi per legge (approvata precedentemente dal Parlamento) a rendere esecutiva quella decisione; poi, i carabinieri sorveglieranno;
- in modo partecipato: negli n siti principali candidati si avvia una interlocuzione con la popolazione e le autorità locali, spiegando e rispiegando, concedendo qualcosa, ragionando, bla e bla e bla, finché in almeno uno dei siti si raggiunge un accordo, e lì si fa; sempre i carabinieri, ma meno;
- in modo delegato: chiudiamo in conclave i sindaci dei comuni interessati: decidano loro; li teniamo lì con tutti i confort e con la TV satellitare, ma restano lì finché non trovano da loro i criteri e gli strumenti per decidere, e arrivano a una risoluzione qualunque, quella che pare a loro;
- in modo democratico standard: si vota; poiché un tentativo di votare Comune per Comune (fra quelli candidati) farebbe riscontrare ovunque una valanga di “No”, si potrebbe pensare di far votare tutti i cittadini italiani entro la gamma di siti potenziali; “Vuoi tu, cittadino di [Milano, Roma, Catania, Sassari…] che il sito di stoccaggio sia piazzato a [Comune 1, Comune 2, Comune 3]?”. Sarebbe una plastica rappresentazione dell’imperio della maggioranza bulla sulla minoranza bullizzata, e il centro di stoccaggio finirebbe nel territorio del comunello più piccolo e con meno forza elettorale fra quelli candidati (ho scherzato, evidentemente).
In realtà è assolutamente evidente che – anche a parte l’ultima proposta volutamente provocatoria – nessuna sia realmente percorribile senza pagare un prezzo. Un prezzo in termini di consenso, certamente, ma anche un prezzo in termini di Democrazia, perché – che il danno sia oggettivo o solo apparente – alcuni cittadini italiani si sentirebbero calpestati nei loro diritti.
In una democrazia salda e solida, frutto di una consapevole partecipazione democratica al voto, in una democrazia autorevole guidata da figure di prestigio, fidate, oneste e intellettualmente capaci, alla guida di una nazione matura, con una popolazione informata e razionale, la decisione, a mio modesto avviso, non potrebbe che prendersi nel seguente modo:
- innanzitutto la selezione dei siti idonei sarebbe eseguita in maniera tecnica ineccepibile, terza, oggettiva (= con dati rigorosi costruiti con le procedure riconosciute più idonee dalle comunità scientifiche di riferimento); do per scontato che sia stato così;
- in ciascuno dei siti idonei si procederebbe a un’ampia, continua e profonda attività partecipativa, col massimo coinvolgimento delle amministrazioni locali, forze sociali, comitati, semplici cittadini; non per persuadere, ma per comprendere le paure e le resistenze, e vedere quali risposte si possano dare oppure no (p. es.: rassicurazioni chiare sulla salute; incentivi economici certi; …); senza fretta, con pazienza, mettendoci la faccia (non figurette di quarta fila mandate stancamente e retoricamente a prendersi gli insulti, ma esponenti tecnici e politici di primo piano capaci di prendere decisioni);
- dopo un adeguato lasso di tempo, il governo decide. Punto. Decide sulla base della partecipazione di cui al punto precedente e sulla scorta di evidenze tecniche, economiche, gestionali del punto 1; ma decide. Se poi, disgraziatamente ma prevedibilmente, si dovessero registrare scontri alimentati da comitati locali irriducibili, i nostri bravi carabinieri dovrebbero caricarsi la croce del contenimento della protesta prima, e della sua eventuale repressione dopo.
Il punto centrale di questo ragionamento è ovviamente la decisione. Se “una decisione” va presa, allora qualcuno deve prenderla, e semplicemente ignorare il problema, rinviare un voto, trovare espedienti per passare il cerino nelle mani di qualcun’altro, ecco: questo, esattamente questo, io credo, è il contrario della Democrazia. La Democrazia non è accontentare tutti, perché non è possibile; la Democrazia è prendere le decisioni migliori (in scienza e coscienza) a beneficio del maggior numero di cittadini e nella tutela massima di coloro che da tale decisione sono penalizzati.
Ovviamente, dipinti i tecnici come stregoni servi del Bilderberg, e i politici come ladri incollati alle poltrone, gettati nel gabinetto gli strumenti tradizionali della decisione perché autoritari, minate alle basi le Istituzioni come inaffidabili affamatrici del popolo, i margini per delle decisioni scomode si sono ridotte al lumicino.
Ringraziamo la demagogia pseudoliberale di Berlusconi prima, e la sciagura del populismo grillino dopo, per essere culturalmente, emotivamente, moralmente e politicamente finiti in un vicolo cieco dove qualunque decisione diventa una guerra che solleva la protesta di territori negletti, categorie dimenticate, sindacati difensori dei diritti acquisiti, ceti pericolanti, opinionisti in cerca di click, agitatori professionali, eversori riciclati e tutto il Circo Barnum che ci tocca di vedere, tutti i giorni, all’opera in Italia.