Conte, il giusto leader 5 Stelle

Patuanelli, ministro dalle inutili 5 Stelle, mette il suo peso sulla candidatura di Conte come capo politico del Movimento, aggiungendo un’ulteriore importante tessera alla decisione che i vertici grillini prenderanno nei prossimi giorni, o nelle prossime ore. Allora rompo il silenzio e metto sul piatto anche il mio autorevolissimo parere: sì, anch’io penso che Conte sia l’ometto giusto per il M5S; viva Conte! 

Adesso spiegherò perché mi sembri la scelta giusta, pregando il lettore, se non ha troppa fretta, di leggersi quanto ho scritto pochi giorni fa descrivendo, con rapidi cenni sociologici, cosa sia la leadership. (E niente, se invece ha fretta legga solo qui e capirà lo stesso).

Il M5S noto ai più, quello del VaffaDay, dell’apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno, della Levi Montalcini vecchia puttana, quello del non regolamento, dell’uno vale uno, dei punti irrinunciabili del loro pensare (oddio, pensare…) e del loro agire, ecco: quel Movimento è morto e sepolto sotto due potenti forze: quella dell’istituzionalizzazione e quella della fascinazione del potere.

L’istituzionalizzazione è il destino di tutti i movimenti “dal basso” che hanno successo: dopo le grida, dopo i marameo, sei abbastanza forte da candidarti in ruoli pubblici, e avendo seguito vinci le elezioni, ma vincendo le elezioni capisci, forse tragicamente troppo tardi, che volere e potere sono concetti antitetici, che giustizia e libertà (quelle che tu reputi essere giustizia e libertà) non sono state finora impedite per volontà di un pugno di malvagi e che non basta lo schiocco delle tue dita per cambiare le cose. I grillini, dato il livello culturale che li caratterizza, ci hanno messo un po’ a capirlo, e ancora eletti in gran massa si riunivano sui tetti, si affacciavano ai balconi per proclamare la sconfitta della povertà e altre spiritosissime trovate che hanno pian piano ceduto il passo al realismo; e neppure fra tutti, che i “veri” grillini, quelli genuinamente ottusi, ancora non ci sono arrivati. D’altro lato la fascinazione del potere, quella che loro stessi appellano come “attaccamento alle poltrone”, che probabilmente seduce un po’ tutti ma specialmente chi ha fatto un balzo subitaneo dall’inconsistenza del nulla ai palazzi del potere; dalle professioni qualunque (con tutta la loro dignità intrinseca) ai salotti televisivi e alla corte ruffiana dei pessimi giornalisti italiani.

La dura realtà quindi, e lo scarso spessore politico dei miracolati a cinque stelle, ha portato a demolire, più velocemente della luce, qualunque e ciascun elemento caratterizzante lo spirito eversivo, goliardico, qualunquista, protestatario, fancazzista, sognatore perfino, delle origini. Nulla di ciò che rappresentavano mi piaceva, e l’analisi del Movimento ne rivela facilmente i canoni proto-fascisti (solo Zingaretti pare non vederli), ma oggettivamente c’era un vitalismo, un entusiasmo, un desiderio di cambiamento che fra la base era un genuino motore di impresa politica, un capitale sociale enorme convogliato in un progetto di cambiamento che si è sciolto come neve al Sole accettando tutto e il contrario di tutto, buttando nel cestino ogni (sciocca) prescrizione e regolamento interni, passando sopra a qualunque cosa, tradendo nei fatti tutto, assolutamente tutto, lo slancio delle origini. Essere stati al governo col truce Salvini e avere avallato ogni suo comportamento e decisione, poi essere stati al governo con Zingaretti e avere di fatto (nel nulla prodotto) avallato altre decisioni, e ora stare al governo con Draghi, che per anni ha rappresentato Il Male, beh… se non vi basta questo per convincervi non so cos’altro dire.

Oggi il Movimento, al netto dei residui “puri” che ancora protestano (ma non contano nulla e i più sono dei furbacchioni che fanno finta), sono diventati un gruppo trasparente come un foglio di carta velina; senza una dimensione politica caratterizzante, senza un insieme di precetti unificanti, senza una visione precisa. Per ragioni psicologiche facili da comprendere, riescono ancora a sfruttare a loro beneficio le idee originarie che li avevano caratterizzati, e anche se quelle idee non appartengono più a Di Maio, a Crimi, a Castelli e neppure alla stessa Taverna, pure una parte della massa di attivisti e simpatizzanti si confonde e concede loro ancora una possibilità; e poi un’altra; e un’altra ancora, mentre pian piano evaporano e finiranno col ridursi – come numeri – a un partitino fra gli altri. Un partitino genericamente centrista, vagamente moderato se non altro perché, nel vuoto delle idee e degli ideali, la moderazione è la scelta più furba, disponibile alle alleanze di convenienza come, all’epoca della Prima mai troppo compianta Repubblica, un partitino centrista qualunque, senza identità e senza spina dorsale ma necessario alla Democrazia Cristiana per governare (Di Maio, il più furbo del mazzo, pochi giorni fa ha perfino avuto la sfrontatezza di dire che in fondo, il Movimento, era sempre stato “liberale”).

Nella crisi complessiva attuale, quindi, quale “capo politico” più giusto se non Conte? Conte rappresenta integralmente la mancanza di ideali e di spessore politico dell’italiano medio che si è diretto verso i 5 Stelle: una straordinaria capacità di adattamento, un democristiano perfetto (nel senso deteriore che si attribuisce all’etichetta “democristiano” in ambiti discorsivi di questo genere), con nessunissima esperienza politica pregressa e un curriculum di nessuno spessore, solo di un gradino più elevato di quelli di Di Maio e Toninelli; vale a dire: un professore, sì, che avrà anche goduto di qualche stima fra un suo gruppo di colleghi, ma uno splendido caso di “professor nessuno” a capo di una pletora di “signori nessuno”. Un uomo che non strilla, che non si scalmana (diamine, è un professore!), che è perfino presentabile in consessi europei, che sa galleggiare come il migliore sughero nella peggiore tempesta, che è disponibile a lavare le mutande a Salvini per un anno, poi a dialogare coi piddini che lo acclamano come un novello De Gasperi (e quell’investitura, credetemi, la dice lunga sulla crisi del PD come sulla vacuità di Conte) poi, ora, l’epilogo come capo politico dei fantoccini di Grillo, ormai emancipatisi a fantoccini di loro stessi.

Se sarà confermato (dai vertici, eh? che l’idea di un congresso non li sfiora), Conte sarà l’uomo giusto per lo strappo definitivo da Casaleggio (questa è una cosa buona), la pietra tombale sul filo eversivo grillino delle origini (anche questa è una cosa buona), e verso un futuro di politica politicata, di aggiustamenti accomodanti, di opportunismi, di Francia e Spagna purché se magna. Gli italiani avranno così un partito chiaro al quale affidarsi, essendo, la sua parabola, paradigmatica: un gran can can, le minacce di un Quarantotto per attirare l’attenzione, e poi il gretto realismo al ribasso, dove tutto va bene Madama la Marchesa, quando il culo sta comodo. 

E chi, se non un ometto come Conte, potrebbe meglio rappresentarli?