L’elevato populista

Non potete perdervi L’elevata supplica che Beppe Grillo ha appena postato sul suo blog; un video di 6 minuti in cui afferma di candidarsi a “elevato” segretario del PD per unire le forze (incluse quelle di destra) per un obiettivo comune con traguardo il 2050, forze capaci di cavalcare le novità e le trasformazioni del mondo contemporaneo.

Il video è divertente (Grillo è un mattatore) ed è interessante per i logici e i filologi della politica perché paradigmatico. Al di là degli scopi del video (fare semplicemente più click sul suo blog? Mandare segnali a qualcuno?) anche un’analisi superficiale di ciò che Grillo dice, fra il serio e il faceto, è interessante.

La tesi sostenuta è che in fondo in fondo non c’è poi una grande differenza fra destra e sinistra; che tutti siamo sulla stessa barca; che solo mettendo in comune le forze potremo vincere questa scommessa per l’immediato futuro (il 2050, appunto) su basi ecologiche, tecnologiche etc.

Grillo propone un grande minestrone trasversale dove destra e sinistra, socialismo e liberalismo, non avrebbero più senso, mostrando con chiarezza la logica profonda (e sciocca) del populismo.

Grillo non sa, o finge di non sapere, che le cose in nessunissimo modo possono funzionare così. La politica – quando seriamente intesa, quindi è lecito dubitare dell’oggi – è contrapposizione

  • di obiettivi;
  • di modi coi quali tali obiettivi si possono raggiungere.

In logica si propone la figura della “scala delle generalità”: in alto concetti generalissimi, più in basso concetti sempre più specifici e, al fondo della scala, concetti di limitatissima estensione. Obiettivi generici sono, per esempio, “la pace nel mondo” o addirittura “la felicità”, poi “l’eliminazione della povertà”, “la sconfitta delle malattie” etc. È ovvio che obiettivi di questo genere sono condivisi da tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica, fede religiosa o altro. Se poi da quell’obiettivo passiamo ai modi attraverso i quali intendiamo raggiungerli, la storia cambia subito. Già obiettivi abbastanza alti ma non così generici, quali “la dittatura del proletariato” o “l’eliminazione di Israele”, non possono essere condivisi da tutti, anche se sono considerati leciti, urgenti ed eticamente fondati da ancora numerose popolazioni e loro leader.

Ma facciamo esempi meno fantasiosi: “Sostenere il lavoro giovanile” (non già il troppo alto e astratto “lavoro per tutti”) può essere un programma perseguibile in molti modi, diretti o indiretti, con protagonisti i giovani o le imprese, con costi più o meno elevati sostenuti da soggetti differenti. È solo un esempio fra tantissimi, che mostra come le differenze fra “destra” e “sinistra” (o altre meno grossolane) siano straordinariamente presenti: che intervenga lo Stato con sussidi alimentati da tasse, che se ne facciano carico le aziende compensandole con defiscalizzazioni, o che se ne dia la principale responsabilità ai giovani dando loro voucher e formazione, sono tre esempi di interventi differenti che riflettono visioni del mondo diverse. E queste visioni del mondo (che riguardano il chi paga e perché, il chi si deve fare carico e come, la responsabilità, il merito, l’appartenenza e moltissime altre questioni) non sono negoziabili: chi ritiene che tutti e ciascuno debbano essere aiutati a spese della collettività non è disponibile a negoziare con chi ritiene che il merito deve premiare se stesso. Quello che si può negoziare riguarda alcuni metodi operativi (le tasse, le procedure, la platea dei beneficiari) ma non i valori. E anche sui metodi operativi si può mediare fino a un certo punto, perché i metodi non sono scollegati dai valori. Ed è per questo che esiste un governo e un’opposizione.

L’idea di un minestrone dalla Meloni al PD (passando ovviamente per Grillo) rivela un pilastro fondamentale del pensiero populista, che crede che ci sia un fare operativo che risolve magicamente i problemi, senza che i problemi siano concettualizzati, il che significherebbe passare il vaglio delle visioni politiche e dei valori sociali che si interpretano. Ecco che per Grillo fare il famoso Ministero della transizione economica significa risolvere il problema ecologico, senza necessità di comprendere nei dettagli in che modo tale problema sia declinabile, quali le priorità (le priorità riflettono valori e scelte), quali gli strumenti, chi debba fare sacrifici e come e perché, eccetera per ogni altro problema come hanno ben chiarito i grillini in quasi tre anni di governo: il problema della criminalità? Tutti in galera! Il problema della povertà? Sussidi per tutti!

Le ricette populiste, ancorché piene di buone (?) intenzioni, evitano il confronto con la realtà, che è una realtà sempre sociale, di relazioni, e quindi di riflessione che può essere, fino a un certo punto, condivisa, o forse no; che necessita di mediazioni fin dove si può mediare, poi ci si assumono responsabilità e chi governa decide e chi si oppone controlla.

Non capire questa dialettica, che non è una sovrastruttura ma la semplice realtà sociale e antropologica, è il difetto basilare, fondamentale e – vorrei dire – esiziale, del populismo.

E Grillo ce lo ha splendidamente rappresentato.