Potrei parlare di noi, potrei divagare sull’Europa, ma vado lontano, in Brasile: 360.000 morti da inizio pandemia; finiti i sedativi, finito l’ossigeno, la situazione è drammatica e potete leggere QUI le ultime sconsolanti notizie. Il Brasile è una repubblica; il suo presidente si chiama Bolsonaro ed è stato democraticamente eletto nel 2018. Anche se il Covid è un animaletto che non obbedisce direttamente a Bolsonaro, le politiche sanitarie di questi (o meglio: le non politiche) sono state esiziali per arrivare all’attuale situazione disperata. taccio tutte le altre questioni – su Bolsonaro si potrebbe scrivere un raconto horror – perché non c’è modo di capacitarsi di come abbiano fatto i brasiliani a scegliersi questo figuro; come i turchi che hanno ripetutamente votato Erdogan, come i russi Putin e via discorrendo. Solo con complesse analisi frutto di sociologia, economia, antropologia e storia potremmo spiegare ogni singolo e diverso caso, che in sintesi si può riassumere così: vivere in una democrazia formale non basta per garantire un futuro di latte e miele.
Se adesso saltiamo nel mondo civile, quello nostro, quello di chi si sente detentore della vera Democrazia, potremmo citare Trump, la Brexit, Salvini e i 5 Stelle e via via le magagne semmai non così stratosferiche come in Brasile ma neppure esaltanti. Perché anche una democrazia non solo formale ma già più compiuta, la storia contemporanea ci insegna, porta al governo uomini e donne che sono, di norma, piccini, che guardano all’oggi e al domani, che capiscono fin qui e fin lì, e che sono dominati dalla paura, tremenda, di perdere il potere; per cui il governo è lo svolgimento di atti volti a mantenere il consenso (valga come esempio la Meloni e il suo gruppo, che votano contro la cittadinanza a Patrick Zaki perché “sarebbe un’ingerenza”, roba che fa più schifo dell’avere votato per la nipote di Mubarak…).
Però non possiamo fare a meno di un potere: la democrazia diretta non esiste, non funziona, è una balla (possibile, e con grossi limiti, in piccole comunità); per lo sviluppo economico serve una regìa tecnica qualificata, per la politica estera serve una testa, o un gruppo di teste, capaci di tessere le fila della diplomazia, per la politica sanitaria serve qualcuno che sappia leggere i dati, monitorare quel che accade, interloquire con le autorità internazionali e prendere decisioni (non guardate il caso italiano, non fa testo), eccetera. E quelle persone che monitorano, vagliano, decidono sono i capi: tecnici e politici che sono chiamati a decidere e a far rispettare le decisioni.
Chi crede in un mondo di uguali che si auto-governa con giustizia ed efficacia può credere nelle utopie e vivere felice, ma non può mostrare un solo caso di nazione, o di gruppo sociale ampio, che abbia potuto metterla in pratica, né potrebbe mostrare chiaramente come potrebbe fare.
Noi viviamo in questa aporia, che è sempre esistita ma i cui effetti travolgenti si vanno sempre più manifestando in questi anni, lasciandoci prefigurare futuri via via più problematici, man mano che la complessità sociale – per definizione ingovernabile – avrà fatto maturare le tante contraddizioni insolubili che già sono, almeno in parte, facilmente identificabili: contraddizioni fatte di ineguaglianze, squilibrio, punti di non ritorno.
Noi continuiamo a fare una politica vecchia, del secolo scorso, in cui la complessità era minore, i problemi esponenzialmente inferiori, le culture più composite. In quel contesto (fino all’incirca agli anni ’80, possiamo prendere la caduta del muro come data simbolo) c’erano uomini e donne (abbastanza) giusti e uomini e donne (tendenzialmente) corrotti, ma i primi avevano all’incirca (molto all’incirca) la meglio; c’era progresso e c’era speranza e c’era ingenuità. Oggi abbiamo uomini e donne mediocri come alternativa agli uomini e donne cinici. I cinici hanno grandissimi poteri, governano grandi potenze e sono spregiudicati; a noi sono toccati in sorte i mediocri; qualcuno mostra la sua mediocrità con la cortezza di vedute, qualcuno rubacchiando, qualcun altro fingendosi morto, e in sostanza, anziché governare, si lasciano portare dalla corrente.
Noi non siamo in riva al fiume aspettando di vedere scorrere i loro cadaveri. Non so chi sia seduto in riva al fiume, ma so che noi siamo dentro l’acqua.