Quale politica verso chi non si vaccina?

Com’era prevedibile, la polarizzazione tra le posizioni di chi sostiene non solo la diffusione della vaccinazione anti-Covid ma anche il Green Pass (le due cose non sono necessariamente equivalenti) e quelle di chi si oppone all’una o, più moderatamente, all’altro, è cresciuta nelle ultime settimane. Inutile dire che si tratta di una polarizzazione ampiamente ingiustificata, nel senso che nella sostanza tutti i cittadini, sia quelli “pro” che quelli “contro”, condividono gli stessi interessi e dovrebbero, quindi, semmai collaborare nel ragionare su quali siano le scelte, individuali e istituzionali, più utili a tutti. Questo, però, sarebbe un approccio troppo razionale per essere adottato nella vita reale, dove invece vediamo che gli appartenenti ai diversi “schieramenti” spesso e volentieri inveiscono gli uni contro gli altri anziché tentare di ragionare su quella maggiore utilità di cui parlavo, e che si può riconoscere, ci piaccia o no, solo uscendo dalle astrazioni e scendendo sul terreno concreto dei fatti e delle valutazioni costi/benefici.

Al di sopra di queste diatribe, deve collocarsi la politica, la cui funzione è semmai quella di conciliare ciò che in cui il “foro interiore” di ogni cittadino non riesce a trovare un equilibrio. Riprendo qui sotto un diagramma da un recente articolo di Claudio Bezzi proprio sulla difficoltà di trovare un terreno comune tra “pro-vax” e “no-vax”:

Sarebbe certamente desiderabile che ciascun cittadino fosse capace di tener conto di entrambe le “dimensioni” del problema, la tutela della salute pubblica e quella della libertà personale, e trovare un bilanciamento che ovviamente per definizione non sia “schiacciato” né sull’una né sull’altra. Ma quando questo non avviene, la conciliazione deve realizzarsi a un livello più alto, quello appunto della politica che, tenendo conto delle ragioni unilaterali sia degli uni che degli altri, ha il compito di trovare una terza linea di azione che riconcili le due dimensioni in gioco. E per trovare questa terza linea occorre innanzitutto saper valutare il peso delle due dimensioni del dibattito, perché per chi ne vede solo una ovviamente il peso dell’altra è zero.

Un tentativo interessante, a livello giornalistico, di effettuare una simile valutazione sulla dimensione “sanitaria” lo ha proposto Paolo Giordano sulle colonne del Corriere, e l’infografica qui sotto sintetizza bene il suo pensiero:

Fonte: Corriere della Sera

Il suo ragionamento è: data l’alta contagiosità del virus, il numero di persone che saranno ricoverate in ospedale (adottando questo parametro come “misura” rappresentativa dell’impatto complessivo della pandemia, con tutte le sue conseguenze umane, sanitarie, economiche, eccetera) dipenderà moltissimo da quante persone si saranno vaccinate. I tre scenari disegnati da Giordano corrispondono rispettivamente a una quota di popolazione vaccinata del 92%, del 70% e del 50%; in ciascuno di essi, il “contributo” dei non vaccinati al numero dei ricoveri è rispettivamente del 59,3%, 87,8%, 94,3%. Insomma, se gli ospedali saranno nuovamente intasati la colpa sarà di chi non si vaccina; ma se il metodo di Giordano è concettualmente corretto, la sua applicazione numerica è troppo grossolana per essere attendibile (ma è comprensibile, perché lui stesso introducendo il suo articolo ha parlato di “minimo teorico”, insomma di calcoli non troppo sofisticati). In particolare, i suoi calcoli non tengono conto della forte variabilità dei parametri epidemiologici in funzione dell’età dei soggetti.
Proverò quindi a estendere un po’ l’approccio di Giordano, ma con lo scopo specifico di rispondere a una domanda precisa: quanta differenza pratica c’è tra tentare di “forzare” il maggior numero possibile di incerti o diffidenti a vaccinarsi e invece limitarsi a informare e raccomandare, ma senza misure restrittive o coercitive?

Tra i parametri usati da Giordano, manterrò quello chiave, secondo cui la vaccinazione ridurrebbe il rischio di ospedalizzazione di oltre il 94%. Questo valore è vicino a quelli pubblicati dall’ISS nel suo bollettino periodico, da cui risulta anche che l’efficacia del vaccino è abbastanza uniforme nelle diverse fasce di età. Gli altri parametri rilevanti sono invece dipendenti dall’età dei pazienti e vanno ricalcolati.

Premetto subito che i dati che occorrono vanno un po’ cercati e rielaborati, per cui non prendete quanto segue come oro colato. Per le differenze tra gli effetti della malattia in funzione dell’età, è piuttosto chiaro il grafico qui sotto, prelevato dall’infografica Dati della Sorveglianza integrata COVID-19 in Italia che viene periodicamente aggiornata dall’ISS. I ricoveri corrispondono ai livelli ‘Severo’ e ‘Critico’.

Fonte: Istituto Superiore di Sanità

Utilizzando i dati dettagliati presenti sul sito dell’INFN (io ho usato quelli aggiornati fino al 2/8/2021), si può ricostruire la tabella qui sotto, in cui vediamo che il 50,7% dei ricoveri è relativo alle persone dai 70 anni in su, che costituiscono solo il 17,4% della popolazione.

Anche i dati sulle vaccinazioni sono fortemente differenziati tra le diverse fasce di età, come si vede dalla tabella qui sotto:

A questo punto possiamo definire degli scenari da valutare per rispondere alla domanda Quali benefici effettivi si possono ottenere “forzando” gli incerti e i giovanissimi a vaccinarsi?. A ogni scenario faremo corrispondere un possibile livello di copertura vaccinale, e, un po’ diversamente dai modelli usati da Giordano, valuteremo i benefici in termini della riduzione attesa del numero di ricoveri rispetto a quelli che si avrebbero se i vaccini non esistessero. A fronte dei benefici, dovremo però chiederci anche quali possano essere i costi da sostenere, e non parlo dei costi connessi alla somministrazione del vaccino, bensì dei costi immateriali derivanti dai livelli progressivamente crescenti di “forzatura” esercitata sui cittadini riluttanti o indecisi: è certamente complicato darne una valutazione (e infatti nel seguito parlerò, qualitativamente, di costi ‘bassi’ o ‘alti’), ma includono sia la compressione della libertà personale di chi decide (a tutt’oggi legittimamente) di non vaccinarsi, sia la divisione dei nostri concittadini, ai fini di moltissime attività quotidiane, in “vaccinati” e “non vaccinati”, con le implicazioni di polarizzazione e di reciproca diffidenza che sono a mio avviso già evidenti, le speculazioni politiche, eccetera. Naturalmente, mentre i dati epidemiologici sono, entro certi limiti, oggettivi, la mia preoccupazione per la serietà di queste implicazioni non ha niente di oggettivamente misurabile. Semplicemente, a mio avviso, chiunque debba prendere una decisione deve essere consapevole di questo fattore e deve dargli un peso, e in base al peso che gli assegna cercare il punto di equilibrio con le ragioni dell’ “asse sanitario”.

Lo scenario 1 che vorrei considerare è il caso più pessimistico possibile in astratto, ossia quello in cui da domani nessuno più si presenta ai centri di vaccinazione. Ovviamente non è assolutamente uno scenario realistico, ma prendiamolo come caso limite. È evidente che questo scenario, proprio perché non realistico va considerato solo un “benchmark” e non può rientrare in una valutazione costi/benefici effettiva. Il beneficio è quello già acquisito a oggi, il “costo” è zero.

Lo scenario 2 che prenderei in esame è appena più “ottimistico”, ossia presuppone che si sottopongano al vaccino (prima e seconda dose) tutti coloro che a oggi si siano almeno sottoposti alla prima. In altre parole, questo scenario presuppone che solo chi si è già vaccinato completi l’iter, e che nessuno di coloro che non si sono ancora vaccinati si sottoponga all’inoculazione. In realtà anche questo è irrealistico, perché sappiamo che ci sono milioni di prenotazioni per le prossime settimane. Naturalmente, questo scenario non prevede alcuna azione intesa a indurre i dubbiosi a vaccinarsi, e anzi ipotizza che nessuno di essi lo faccia. Il “costo” di questo scenario è ovviamente zero, nel senso che per ottenere un risultato così negativo non occorre alcuna azione non dico coercitiva, ma neanche di normale comunicazione.

Lo scenario 3 prevede una politica basata sulla “persuasione”, in cui lo Stato tenta attivamente di convincere i cittadini a vaccinarsi, ma senza forzarli; potremmo dire che corrisponda più o meno all’approccio “ante Green Pass”. Per stimare il numero finale di vaccinati che si otterrebbe (o si sarebbe ottenuto, visto che ormai questa linea è stata abbandonata) in questo scenario, proverò a ipotizzare che i vaccinati siano ovviamente più che nello Scenario 2, e che gli appartenenti alle fasce di età più giovani aderiscano alla vaccinazione in percentuale progressivamente più bassa con il calare dell’età, seguendo un andamento simile a quello che si osserva oggi nelle fasce di età dai 50 anni in su (quelle che hanno ormai avuto un tempo ragionevole per almeno prenotarsi). Il “costo” di questo scenario è relativamente basso, perché in esso lo Stato non forzerebbe nessuno.

Lo scenario 4 è quello in cui vengono prese delle misure limitative della libertà, ma vengono applicate “all’italiana”, con pochi controlli, poche sanzioni, mille distinguo; insomma, un po’ come sappiamo essere stato applicato il periodo di “lockdown light”, quando praticamente non c’erano controlli e le restrizioni erano puramente formali. Questo è sostanzialmente lo scenario in cui ci troviamo oggi, con regole piuttosto rigide ma molta confusione su come si potrà e vorrà applicarle, e possiamo constatare che il suo “costo” è piuttosto alto, in termini di livello di conflitto sia tra le istituzioni e la minoranza di cittadini che rifiuta di vaccinarsi, sia tra questi ultimi e coloro che più convintamente sostengono le misure del Governo. Le conseguenze non sono facili da determinare, ma come minimo avremo un ulteriore rafforzamento della destra populista, maggiori tensioni tra le forze che sostengono il Governo, un clima sociale teso e astioso.

Come ultimo scenario possibile, prendiamo in esame il caso in cui lo Stato metta in campo tutte le sue risorse per “forzare” i cittadini recalcitranti o dubbiosi a vaccinarsi, dai dodici anni in su, imponendo Green Pass, obblighi per le categorie che lavorano a contatto col pubblico, controlli a tappeto, eccetera; diciamo insomma una versione rigida e senza compromessi (quindi non proprio plausibile) delle scelte attuali del Governo, e al contempo un altissimo livello di “obbedienza” da parte dei cittadini (forse non realistico, ma necessario per giustificare l’esistenza stessa di questo scenario). Questo sarà cioè lo scenario con il maggiore beneficio in termini di ricoveri evitati, ma anche quello con i maggiori costi, perché inasprisce al massimo i conflitti che ho menzionato prima, senza escludere scontri di piazza e una svolta “sovversiva” degli attuali movimenti anti-greenpass. Tenendo quindi presente che si tratta di scenari che contengono dell’arbitrarietà, ho adottato i valori della tabella qui sotto:

Usando questi valori, e il dato già fissato del 94% per l’efficacia del vaccino nel prevenire l’ospedalizzazione, si ottiene finalmente l’esito atteso in ciascuno scenario:

In sintesi: passare dallo Scenario 3 allo Scenario 4 comporterebbe un 20% di ricoveri in meno. Per ottenere un (quasi) dimezzamento dei ricoveri rispetto alla linea “della persuasione”, occorrerebbe passare allo Scenario 5, ossia un’applicazione molto rigorosa delle restrizioni, con pesante intervento delle forze di Polizia nei controlli e sostanziale contrasto dell’opposizione a questa stretta. Attenzione: per quanto questi calcoli siano un miglioramento rispetto a quelli di Paolo Giordano (che arrivava a risultati come si vede un po’ diversi, dato che tra l’altro non collegava i suoi scenari alle scelte politiche atti a favorirli), sono ancora troppo rozzi per essere la base di una decisione politica così cruciale (non tengono ad esempio conto di alcune possibili differenze della variante Delta rispetto alle precedenti, perché i dati consolidati sulla Delta sono pochi).

Ora, a me pare sbagliato che nessuno (che io sappia) nel dibattito politico che ha condotto alla scelta di istituire il Green Pass, né oggi che si discute di chi, come e quanto rigidamente debba farlo applicare, abbia messo sul tavolo benefici e costi del Green Pass ponendo la semplice questione: quali sono maggiori? Quale scenario garantisce il migliore rapporto tra gli uni e gli altri? Fingere che ci siano solo benefici, e che i costi “extrasanitari” siano solo un’invenzione di gruppi “no-vax” da ignorare o reprimere è irrazionale ed eminentemente antipolitico. È chiaro infatti che quando la politica “risolve” la contraddizione tra due interessi legittimi (perché, razionali o meno che siano gli argomenti con cui viene articolato, l’interesse all’autodeterminazione di chi è riluttante a vaccinarsi è legittimo; magari superabile da altre considerazioni, ma legittimo) allineandosi con uno dei due ignorando le ragioni dell’altro produce anche inevitabilmente una rottura della dialettica democratica. Io, come ho già scritto, considero l’istituzione del Green Pass una decisione assai dubbia, e penso che, facendo una valutazione approfondita, sia probabile che i suoi svantaggi superino i vantaggi; si può certamente ritenere il contrario, ma se lo si fa si devono prendere sul serio le motivazioni contrarie a esso; altrimenti non si fa politica, ma una prova di forza, e le prove di forza hanno il difetto che c’è sempre qualcuno che perde, in questo caso una quota di cittadini italiani.