Afghanistan, ovvero: l’inaffidabilità americana e le sue probabili conseguenze

Mi è difficile parlare della situazione afghana mentre l’orrore è in corso: città dopo città i talebani dilagano, la popolazione fugge, la crisi umanitaria è già esplosa e, semplicemente, gli americani se ne vanno, così, come detto già da tempo (dando modo ai talebani di pianificare con calma la loro riscossa) e senza alcun pentimento, come ha fieramente affermato il presidente Biden. Quale registro narrativo usare di fronte all’orrore? Quello passionale, della pietà per quella povera popolazione? O quello cinico della ragione politica, dove i miliardi spesi in bombe e missili e contractor e paghe militari, beh, come dicono al Pentagono, adesso basta, che si difendano da soli che noi, i soldi dei nostri contribuenti, li vogliamo spendere in altro modo? C’è una terza via, che come la strada dell’inferno è lastricata di buone argomentazioni: una strada che cerchi di mettere sulla bilancia i pro e i contro e di capire cosa diavolo (visto che siamo all’infermo, evochiamolo) succederà ora. Ci provo con moltissimi limiti, che sono quelli di ogni commentatore: io non sono nella testa di Biden, né in quella dei generali del Pentagono o dell’americano medio; ho le informazioni che ho, quelle che ciascuno può trovare (solo staccandosi un pochino dal cortile dell’informazione italiana…) e specialmente ho i pregiudizi che ho. Scriverò prima con passione, perché ne ho bisogno. Poi cercherò di proporre scenari razionali, per quanto ne sarò capace.

Prima parte – L’insopportabile inaffidabilità americana

Chiariamoci subito: qui non si tratta di essere o non essere “amici” degli americani anziché di Putin, ché chi scrive non ha bisogno né di etichette né di permessi per dire, in assoluta libertà di coscienza, che dal secondo dopoguerra ad oggi la politica estera americana è stata uno schifo e un fallimento dopo l’altro. Sì ci hanno liberato dai nazifascisti con grande sacrificio e li ringrazio, ma questo debito ritengo che ormai sia stato ampiamente ripagato e non più esigibile; sì ci hanno aiutato col piano Marshall a risollevarci dalle macerie belliche, ma per ogni dollaro speso ne hanno ricevuti in cambio un bel mucchio, in termini di penetrazione e controllo nelle culture europee, nelle loro popolazioni e governi; sì hanno garantito la libertà europea dal tirannico giogo sovietico per una ventina d’anni dopo la guerra, e già qui ci sarebbe non poco da dire, quindi diciamo che fra quanto ci hanno dato e quanto si sono presi siamo pari. 

Ciò rammentato, ricordiamoci anche della Corea, del Vietnam, della Cambogia, delle infiltrazioni antidemocratiche in America latina, dell’embargo di Cuba e del disastro mediorientale avviato dai Bush che trova, oggi, il suo epilogo. Queste tre righe, incomplete e fredde, rappresentano centinaia di migliaia di morti, feriti, sfollati; risorse immani bruciate; destini di intere nazioni cambiate. Che valore ha tutto questo? 

In una corrispondenza per Nikkei Asia, il giornalista Denis D. Grey inizia rammentando le lacrime dell’ambasciatore a Phnom Penh, John Gunther Dean, il 12 aprile 1975, quando la popolazione assediata dai Khmer rossi applaudì i 12 elicotteri da guerra americani che credevano fossero intervenuti per salvarli; invece erano lì per evacuare l’ambasciata e lasciare gli abitanti della capitale alla macelleria di Pol Pot. Una guerra, quella in Cambogia, dentro un’altra guerra, quella in Vietnam, altro sforzo bellico massiccio, altra fuga lasciando i sud vietnamiti a fare i conti con la Storia. Scrive ancora Grey, citando il collega Eiland:

Succede ogni volta. Seduciamo e abbandoniamo. Le persone che costringiamo, assoldiamo o attiriamo in altro modo nella nostra rete hanno una scelta, ovviamente, ma in realtà non è così. Se è una scelta è una scelta crudele e obbligata.

Così in Corea, con un epilogo meno disastroso, così in Somalia (ci siamo dimenticati la Somalia? Ilaria Alpi, Black Hawk, le violenze imputate al contingente italiano, la disastrosa battaglia di Mogadiscio in seguito alla quale le forze americane – era presidente Clinton – semplicemente fuggirono, e chi se ne frega dei somali?), così in Libia (dove fecero il loro bel bombardamentino, contribuirono ad abbattere Gheddafi, e da allora sono affari nostri, di noi italiani in particolare) e, ovviamente, così in Afghanistan.

Naturalmente gli americani hanno anche ottenuto delle importanti vittorie militari; come a Grenada (1983, presidente Reagan), invasa dagli americani perché si era insediato un regime comunista (e c’era già Cuba in zona a rovinare la pace americana!): 8.000 soldati americani per abbattere il regime di un’isoletta di 100.000 persone, tutti ovviamente feroci agenti del KGB. Oppure Panama (1990, presidente Bush sr.) dove era al potere il bieco Noriega, messo lì dagli stessi americani ma diventato scomodo: 24.000 soldati per riprendersi il controllo del canale. Ah, sì, con i piccolini gli Americani non le mandano a dire.

Lo dico chiarissimamente: a me una nazione-bulla, che manda i marine (o i cospiratori sotto copertura) a ribaltare stati e a “esportare la democrazia”, non solo non mi piace, ma non vedo come possa essere considerata affidabile; e che Noriega e Austin (Grenada) fossero dittatori, non cambia il giudizio; gli USA appoggiano dittature impresentabili (Arabia Saudita, Turchia…) quando interessa a loro, e provano a ribaltare quelle che non servono più: facile a Grenada, impossibile in Vietnam, Cambogia, Afghanistan. Il perno del discorso è “quando interessa loro”; la politica estera USA guarda da almeno 70 anni all’immediato, arrivando a sprazzi al domani, ma non interrogandosi sul dopodomani. E usa la clava della NATO per imporre le sue logiche agli europei. Prendete le inutili e dannose sanzioni alla Russia, la stupida apertura dell’Europa ai Paesi dell’Est (una scelta europea comandata dall’America), l’imbarazzante ruolo della Turchia in seno all’Alleanza atlantica, l’ambiguissimo rapporto con i sauditi (un regime, questo, intollerabile e sanguinario, ma nessuno pensa ad esportare da loro la democrazia, sia per il petrolio sia per la loro utilità geopolitica in funzione anti-russa).

Io immagino che molti lettori moderati, liberali, “atlantisti”, leggano con disagio questa mia perorazione; li invito per prima cosa a liberarsi dalle etichette. Lasciate stare il sentimento “atlantista” perché avete sempre avuto in odio i comunisti e gli americani erano garanti della libertà. Non è stato così ai bei tempi, figuratevi se lo è stato dalla caduta del blocco sovietico in poi. Se gli americani guardano sempre e solo ai loro interessi immediati, perché mai noi europei dovremmo assecondarli sempre e comunque, e non guardare ai nostri interessi? I nostri interessi non sono di avere l’Ungheria e la Polonia nell’Unione; non sono di sottostare ai diktat di Erdogan, non sono di inimicarci Putin, non sono di chiudere le porte all’economia cinese (ovviamente: neppure di inchinarci a Putin o a Xi Jinping). Quelli sono gli interessi USA, non i nostri.

Seconda parte – Cosa accadrà, forse

Se non lo sanno quelli del Pentagono e della Casa Bianca, figuratevi se lo so io. Però uno legge la Storia, vede cosa spinge e motiva leader e popoli, osserva dove va l’economia e, insomma, due conti se li fa. Poi, è evidente che nessuno sa cosa mangerà a cena, figuriamoci conoscere in anticipo le sorti di metà del pianeta. Io personalmente credo che questi saranno i principali filoni di sviluppo della faccenda afghana, non in ordine di priorità.

Dai e dai, come nella fiaba del lupo, il capitale di credibilità americano viene meno; ma davvero popoli infelici, sotto il giogo di un qualche dittatore, oppressi da qualche avversità, invasi da vicini predatori, vorranno ancora invocare il soccorso degli eroici americani? Ma davvero, dai e dai, questa situazione imbarazzante non finirà col conflagrare nella Nato? Contrariamente a quanto potrei avere lasciato intendere fin qui, a me questa cosa dispiace anche sotto il profilo logico e pragmatico: avrei preferito un’America modello di virtù e difensore dei deboli, monito e sprone per l’intera umanità, anziché constatare la realtà di un’America non poi migliore dei paesi da lei giudicati, e a volte minacciati. Perché questa perdita di credibilità è un problema concreto anche per noi? Perché abbiamo ereditato un sistema di alleanze geopolitiche che attorno a tale credibilità trovava un baricentro, la risoluzione delle divergenze, un orizzonte verso il quale dirigersi; ora quel baricentro non è credibile ma le alleanze continuano a sussistere come se lo fosse, con programmi di medio termine (militari, ma anche economici) che potrebbero non essere onorati. E quando questo sistema geopolitico mostrerà la realtà della crisi, sia chiaro, c’è già chi ne approfitterà; non saranno gli europei e, onestamente, non sarà neppure la Russia, se non minimamente, bensì la Cina.

La Cina non è poi il grande enigma che qualcuno riteneva; la Cina – proprio perché regime oligarchico totalitarista – ha parecchi vantaggi rispetto alle vecchie democrazie occidentali, per esempio si può permettere obiettivi su tempi lunghi, e la pazienza di aspettarne i frutti. L’abbandono precipitoso degli americani nell’area rappresenta un vuoto che è già in corso di riempimento da parte dei cinesi (questa è una semicitazione da Sunzi, L’arte della guerra, che evidentemente gli americani non conoscono). I colloqui fra governo cinese e talebani sono già in corso ufficialmente da un mese (in realtà da alcuni anni, ma con meno enfasi pubblica). I reciproci interessi sono evidenti: la Cina ha chiesto ai talebani di tenere al guinzaglio gli uiguri nel loro Paese e di non interferire nella questione dello Xinjiang (all’incontro di luglio, alla domanda esplicita di commentare le politiche uigure della Cina, il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha rifiutato di rispondere) in cambio di sostegno economico. Anche se al momento le ricchezze afghane (non indifferenti) sono inaccessibili, e lo saranno per un discreto periodo a causa delle devastazioni belliche, i cinesi hanno già gli occhi puntati per esempio sul petrolio e il rame. Occorre tenere presente che quelle risorse interessano anche l’India, unico competitore credibile con la potenza cinese, e mai e poi mai i cinesi lascerebbero loro l’influenza nell’area e le risorse che, con pazienza, fra qualche anno saranno disponibili (prima o poi anche il regime talebano sarà stabilizzato e avrà bisogno di soldi e investitori). La situazione è comunque ancora più intricata. Non tutti, nell’area, amano i cinesi e il loro avanzante ruolo egemonico. Per esempio in Pakistan ci sono stati sanguinosi attentati ai danni di tecnici cinesi, e per una serie di alleanze e affinità politico-religiose, Pechino confida che un’alleanza coi talebani ammorbidisca le posizioni anti-cinesi in Pakistan e altrove. (Un articolo molto chiaro sui rapporti fra Cina e talebani afghani, con diverse ulteriori osservazioni, QUI).

Ogni vittoria spinge in alto i cuori, rinforza la fiducia in se stessi e dà adito a nuovi successi. È così nello sport perché è così nella vita. La sconfitta americana (ma, genericamente, occidentale, degli infedeli) in Afghanistan aiuterà a dare slancio all’islamismo radicale in tutta l’area mediorientale; che, sia chiaro, ha molte facce, spesso antagoniste o addirittura nemiche, elemento questo che non va a nostro vantaggio ma, semplicemente, a favore di un maggiore caos difficilmente districabile (tanti leader, tante fazioni, alleanze variabili, interessi intrecciati…). Già il Pakistan è una polveriera, già l’area araba è in ribollimento, la Siria un buco nero, la Turchia quello che è e l’Isis non è affatto morta; si registrano fra i 100 e i 200 attacchi militari ISIS al mese, solo in Iraq e Siria. Secondo il sito Military.com

Attualmente, le filiali dell’IS hanno vari gradi di controllo territoriale in Afghanistan, Nigeria, Somalia, Mozambico e Repubblica Democratica del Congo. Anche le filiali in Libia, Egitto (Sinai), Filippine e Yemen possono controllare alcuni territori, ma il grado di controllo è più diffuso.

Non è certamente la strepitosa macchina da guerra di qualche anno fa, ma – come si dice – il fuoco cova sotto la cenere, e ogni vittoria genera l’afflusso di nuovi fanatici aderenti, e combattenti. Se l’epoca dei tragici attentati in Europa è al momento terminata, con la sconfitta militare dell’ISIS e la morte di al-Baghdadi, non è detto che il fuoco non torni a divampare. 

Infine gli immigrati e richiedenti asilo. Già migliaia, in fuga, hanno raggiunto la Turchia, e diversi stati europei si sono già affrettati a dire che non li vogliono e li respingeranno; per mandarli dove? Quando anche Kabul sarà caduta, le donne imprigionate nella schiavitù di una interpretazione religiosa inaccettabile, quando saranno state tagliate centinaia di teste di ex collaboratori degli americani (forze di polizia, interpreti…) e masse di disperati cercheranno di fuggire, noi europei ci volteremo da un’altra parte, come sempre.

Conclusioni

Nessuna di queste conseguenze è nei nostri interessi, di noi europei e di noi italiani. Non è nostro interesse la perdita di credibilità della nazione-guida (volenti o nolenti) dell’Occidente, perché quella perdita di credibilità viene letta, in medio oriente, come la sconfitta di tutti gli occidentali; e l’impatto negativo sulla NATO potrebbe travolgerci. Non è nei nostri interessi la rapida ascesa della Cina a nuova superpotenza mondiale; io ritengo e ho sempre ritenuto che la Cina non sia da demonizzare, e che sia un’importante occasione di scambio culturale, commerciale, economico, ma non da nuovo bullo planetario. Non è per niente nel nostro interesse tutto l’enorme buco nero medio orientale perché gli americani del Delaware (di cui Biden è stato senatore) stanno a molte migliaia di chilometri da Kabul e c’è in mezzo un confortante oceano, ma noi abbiamo, a un tiro di schioppo, Libia, Libano, Siria, e da lì, e poco oltre, Iran, Afghanistan eccetera, comodamente (si fa per dire) raggiungibili via Turchia.

L’unica soluzione, unica, indefettibile e assolutamente fantascientifica, che quindi menziono solo per completezza, è una solida e univoca politica estera europea, che non avremo mai finché ci sarà questa Unione abborracciata e involuta; per un’univoca e forte politica estera europea servono gli Stati Uniti d’Europa, ma questi non verranno mai perseguiti, almeno non finché io sarò vivo. Allora, e solo allora, potremmo chiudere il capitolo NATO, potremo interloquire alla pari con Russia, Cina (e USA), difendere i nostri interessi e i nostri confini. Ma è inutile parlarne, no?

Oltre ai testi citati sopra, ho trovato interessanti questi:

Concludo dicendo che la crisi sviluppa rapidamente e le notizie si accavallano. Se volete essere aggiornati vi raccomando di affidarvi a testate anglosassoni, o internazionali, assai più attente alle questioni geopolitiche di quanto lo siano quelle italiane, e con commentatori di prim’ordine, spesso corrispondenti dalle zone di crisi di cui parlano.