Atlantismo vs. Europeismo

Ieri sera a tarda ora, al TG di Sky, il giornalista Mario Sechi, commentando l’aiuto che i leader europei stanno dando in queste ore a Biden per contribuire ad uscire da questo momento di confusione, a un certo ha fatto un inciso: “… perché ovviamente siamo tutti atlantisti [pausa] ed europeisti!”.

Ebbene no. Ciò non è possibile.

Essere atlantisti significa sostenere il Patto Atlantico (la NATO), ovvero un’alleanza militare a trazione americana, con leadership americana, sostenuta da ingenti finanziamenti e mezzi americani, nata sì, in epoca lontana, coll’intento di difendere ogni suo membro (dalle ingerenze sovietiche), ma difenderlo da ciò che gli USA consideravano un nemico per offrirgli ciò che gli USA consideravano il bene maggiore. E tutto ciò può avere avuto un rapporto costi-benefici (diplomatici, militari, economici…) favorevole fino alla caduta del Muro; fino a quel momento i costi, in termini di perdita occulta di sovranità, di pesanti ingerenze, condizionamenti etc., potevano essere considerati accettabili, almeno da una parte dell’opinione pubblica europea. Non lo voglio discutere, quello che è stato è stato.

Da quel novembre 1989 in poi il mondo è cambiato, perché assieme alla fine dei blocchi c’è stato un impulso nuovo verso l’Unione Europea, la Cina è apparsa come nuovo e fondamentale giocatore sulla scena internazionale, c’è stata la rivoluzione informatica e un sacco di altre cose che hanno fatto finire il Secolo Breve e ci hanno proiettato in un mondo nuovo, quello del Terzo Millennio, dove dobbiamo fare i conti con situazioni completamente differenti (ne scrissi tempo fa, di quel magico decennio, trent’anni fa, quando tutto iniziò ad andare a rotoli).

Essere atlantisti, in sostanza, oggi significa difendere e sostenere la visione geopolitica americana; i suoi interessi economici, la sua leadership calante. Essere europeisti – ne converrete – significa difendere e sostenere la visione geopolitica europea e gli interessi economici europei. Che non necessariamente coincidono.

Qui il discorso deve necessariamente dividersi fra ciò che si può auspicare e ciò che è reale. La realtà è che noi europei siamo dentro la Nato e non possiamo semplicemente mandare una raccomandata a Jens Stoltenberg (segretario generale NATO) per dirgli che ci siamo stufati e ce ne andiamo. Non si può perché le alleanze è più o meno facile realizzarle, e difficilissimo disfarle (la Brexit è un esempio) e, soprattutto – e questo è l’elemento dirimente e tragico – oggi gli europei non hanno alcuna alternativa: non esiste una vera “Unione” politica, una diplomazia unica, un esercito unico. Per questo servono gli Stati Uniti d’Europa, o qualunque cosa comunque di più avanzato dell’Unione attuale, assetto burocratico-macchinoso-farraginoso di natura commerciale e poco più. Io non farò in tempo a vedere questa meravigliosa nuova Europa unica, con una sola testa e una diplomazia, e al momento non ne vedo nemmeno un venticello ispiratore che attraversi i grigi corridoi di Bruxelles, quindi l’europeismo affrancato dal gioco americano lo posso solo sognare.

Se però dobbiamo fare di necessità virtù, ciò non significa non incominciare a cogliere la contraddizione chiara, evidente, argomentabile: essere atlantisti non è compatibile coll’essere europeisti.

Il mondo che sta emergendo è fatto da quattro giocatori: Cina, Russia, USA ed Europa: la Cina sta traendo la Russia nella sua orbita, in ciò aiutata dalla politica americana (e di conseguenza europea) che considera Putin ostile, un nemico al quale somministrare sanzioni; assieme, il blocco sino-russo avrà una potenza di fuoco spaventosa, un cortile di casa (l’Asia) sterminato e ricchissimo di risorse (al quale aggiungere l’Africa, sostanzialmente lasciata ai cinesi dalla miopia occidentale); dall’altro lato, oggi, c’è solo la potenza calante e affannata degli USA con gli alleati NATO che vanno notoriamente in ordine sparso ma, sostanzialmente, al seguito: che sia un’alleanza col fiato corto l’ha mostrato platealmente l’epilogo dell’avventura afghana, ma non certo solo questa. L’America ha molteplici motivi per temere la Cina, a partire da colossali interessi economici: interessi americani, non interessi europei. Gli interessi europei – come ho scritto pochi giorni fa – sono altri: sono, per esempio, di acuto e preoccupato sguardo verso il Medio Oriente; di contrapposizione al disegno neo-ottomano di Erdogan; di separazione dei destini dell’Europa occidentale dai fascismi degli europei dell’Est; di dialogo alla pari con Putin, un dialogo che sappia tenerlo a freno ma senza sanzioni, che sappia tendere una mano ma forte e ferma; di capace interlocuzione, infine, con la Cina, che nessuno vuole diventi il nuovo bullo internazionale, ma che è, e può rimanere, un importante partner commerciale. E quindi, in conclusione, gli interessi europei guarderanno certo amichevolmente verso l’America, con la quale condividiamo storia e una buona fetta di interessi e visioni comuni; una fetta, non tutti. E quindi vorrei un’Europa forte, quarto giocatore in campo, capace di trattare alla pare anche con gli USA, senza subalternità.

Quindi, cari lettori, lo dirò chiaro un’altra volta: io sono un convinto europeista, e voglio una grande futuro per l’Europa; per ciò non sono, e non posso essere, atlantista.