Pericolo Biden

La notizia più spaventosa della settimana è l’annuncio del trattato Aukus fra USA, Gran Bretagna e Australia; in pratica si tratta di dotare l’Australia di sottomarini nucleari – tecnologia USA – per pattugliare l’oceano Pacifico, fino ovviamente al mar Cinese Meridionale, in funzione anti cinese. Non armati con missili nucleari – al momento – ma in grado di fare pattugliamenti intrusivi prima impensabili (fonte). Di spaventoso, a mia opinione ci sono almeno due fattori: i) la replica dei medesimi meccanismi che sessant’anni fa condussero il mondo sull’orlo della guerra nucleare nel confronto fra USA e URSS. Allora le due superpotenze si affrontavano coll’esibizione di un numero sempre maggiore di testate nucleari, piazzate più vicino possibile ai confini nemici, esattamente come oggi lo sfoggio di imminente potenza bellica nel cortile cinese serve a mostrare i muscoli a Xi Jinping; ii) il fatto che il trattato sia stato tenuto all’oscuro degli “alleati” europei, informati a cose fatte, esattamente come all’oscuro sono stati tenuti delle modalità e tempi della ritirata dall’Afghanistan; se l’Europa ha ancora bisogno di un qualche altro segnale, per capire che viene considerata degna di informazione solo quando è strettamente utile agli interessi immediati americani, vuole dire che gli europei sono deficienti.

Vorrei fosse chiaro che è assolutamente evidente che la Cina è il nuovo bullo orientale, che ha egemonizzato il mar Cinese calpestando i diritti dei vicini e in spregio delle regole internazionali, che è un pericolo serio e reale per l’autonomia di Taiwan, etc. Ma è altrettanto evidente che il confronto muscolare è pericolosamente fallimentare e porta, nelle sue estreme conseguenze, alla sconfitta di tutti, salvo delle imprese che lucrano sull’industria militare (che è un aspetto di questo accordo di cui non tratterò qui). La mossa americana ignora completamente la cultura del popolo cinese, esattamente come ha ignorato quella dei talebani e degli afghani, e non tiene conto delle reazioni cinesi che sono meno scontate e lineari di quelle ipersemplificatrici americane. Non tiene conto dell’autentica volontà australiana di fare i cani da guardia degli yankee costi quel che costi (in casi estremi, l’Australia diverrà uno dei primi bersagli militari cinesi), di quella russa che è già da tempo schierata a fianco della cinese, e infine di quella europea, che proprio in risposta all’esasperante atteggiamento di Washington sta timidamente iniziando a valutare risposte continentali autonome, sul piano della difesa come su quello commerciale.

Un commento sintetico a questa vicenda, dal punto di vista europeo, riguarda il nuovo (mai sopito) isolazionismo americano, dedito a difendere i propri interessi volgendo lo sguardo ora a un alleato, ora a un altro partner, a seconda della convenienza immediata, per poi abbandonarlo al mutare del vento; gli australiani avranno tempo per sperimentare questa delusione che noi europei – impantanati nella NATO – abbiamo già avuto modo di assaporare. Per quanto riguarda Biden: certo qualunque Presidente sarebbe stato meglio di Trump, ma l’America First di quest’ultimo è più di uno slogan, è un sentimento primitivo e popolare che premia nei sondaggi anche un uomo di mediocri capacità come l’attuale leader americano, che ha mostrato da subito il suo disprezzo per ogni paese straniero, che fosse competitore, avversario o alleato; dall’improvvida dichiarazione che “Putin è un assassino” (marzo 2021) fino ai rapporti militai della NATO. 

Nell’epoca globale che stiamo vivendo, non solo l’isolazionismo è perdente, ma anche l’incomprensione sistemica che, laddove compresa, dovrebbe indurre a tessere relazioni, cercare soluzioni concilianti e inclusive, coinvolgere, persuadere.

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