Considerazioni sullo Smart Working

Con l’autunno e, contemporaneamente, con l’aumento della diffusione della vaccinazione contro il Covid, per i molti lavoratori italiani attualmente in Smart Working si avvicina il momento del rientro al lavoro in presenza. Anche il ritorno a scuola dei ragazzi farebbe pensare che il tempo della “remotizzazione” di tutte le nostre attività stia per terminare, e che gli uffici ancora vuoti torneranno presto a riempirsi di nuovo.

O forse no? In realtà, molte aziende non hanno ancora un piano “di rientro” ufficiale, e lo stato di emergenza per il Covid (e con esso la disciplina temporanea che autorizza lo Smart Working) scadrà solo a fine anno, se non sarà ulteriormente prorogato, visto che è probabile che con i primi freddi la situazione epidemiologica tenderà a peggiorare. I datori di lavoro, insomma, non sembrano avere esattamente fretta di chiudere la parentesi dello Smart Working, e i motivi sono molti.

Uno, che vale certamente per le aziende private, è che lo Smart Working per esse ha rappresentato un ottimo affare. Non è facile ovviamente fare i conti, anche se c’è chi ci ha provato, come riportano Repubblica e Il Sole 24 Ore, che parlano di diverse migliaia di Euro per lavoratore all’anno; non è quindi sorprendente che le imprese, soprattutto quelle grandi, sempre a caccia di modi di tagliare i costi, abbiano preso volentieri atto di questo inatteso “regalo”. E se, con modalità improvvisate e senza preparazione, i risparmi sono stati cospicui e la produttività spesso è stata non inferiore, cosa succederà se lo Smart Working diventerà un sistema di lavoro stabile, organizzato e pianificato? Se oltre ai risparmi relativi, che so, all’energia o ai servizi generali, si aggiungessero quelli relativi alle spese fisse di affitto, tasse, eccetera?
Naturalmente, anche per i dipendenti lavorare “da casa” ha consentito di risparmiare soldi (quelli degli spostamenti, ma anche probabilmente quelli per mangiare il classico panino al bar o quelli per il vestiario) e tempo, guadagnando flessibilità. Alla fine, insomma, lo Smart Working conviene troppo a tutti: necessariamente, aziende e lavoratori finiranno per trovare un accordo per una modalità di lavoro “ibrida”, che preveda magari la metà dei giorni in ufficio e la metà a lavorare da casa. La possibilità generalizzata di adottare questa forma di lavoro “agile” richiederà un completamento delle norme che oggi esistono in materia, ma vedrete che succederà rapidamente anche questo. Lo Smart Working è possibile, e se è possibile è necessario, come hanno scoperto negli USA le aziende che hanno pensato di poter continuare a imporre ai dipendenti ritmi e regole di lavoro “ante-Covid”, e che si sono trovate ad affrontare dimissioni di massa da parte di coloro ai quali la pandemia aveva ricordato che il lavoro deve lasciare anche spazio alla vita personale, con flessibilità e riconoscendo il valore del tempo personale dei dipendenti.

E la Pubblica Amministrazione? Sebbene i manager di Stato abbiano meno incentivi a risparmiare rispetto ai loro colleghi privati, lo Smart Working sembra destinato a diventare una realtà stabile anche nel pubblico impiego: l’Aran (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, in sostanza la controparte pubblica dei sindacati) ha predisposto una bozza di accordo per regolamentare una forma “ibrida” di Smart Working per i dipendenti pubblici. D’altra parte, però, c’è da registrare la posizione assunta dal ministro Brunetta, in una sua Lettera ai difensori (ipocriti) dello smart working nella Pa apertamente critica almeno della modalità con cui la P.A. lo ha dovuto adottare in questo periodo di pandemia, e che il ministro definisce «una forma di lavoro domiciliare forzato»; non a caso, si prevede che presto i dipendenti pubblici siano richiamati al lavoro «ordinario». In realtà, Brunetta alla “narrazione” sui benefici dello Smart working oppone una serie di obiezioni anche fondate, ma il punto centrale è la sua osservazione secondo cui in questo periodo la P.A. sia stata costretta a ricorrere allo Smart Working «senza che nel frattempo sia intervenuta alcuna reingegnerizzazione dei processi e alcuna digitalizzazione dei servizi». Esatto.
Ma, caro Ministro, la reingegnerizzazione dei processi e la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione non sono qualcosa da fare per permettere ai dipendenti pubblici di lavorare da casa: sono un obbligo di qualsiasi Stato moderno, una cosa che avremmo dovuto fare, a tappeto, da almeno dieci anni, e che è essenziale per offrire ai cittadini dei servizi pubblici decenti e a costi ragionevoli. Un Ministro che prenda atto che questo obiettivo è ancora lontano, anziché perdere tempo a scrivere lettere pubbliche, dovrebbe semplicemente dedicare ogni sforzo suo e della sua organizzazione a realizzarlo. Punto e basta. Noi di Hic Rhodus, che pure non siamo nessuno, diciamo cosa si dovrebbe fare in questo campo da quando siamo nati, nel 2014, e se fossimo nati dieci anni prima avremmo potuto dire esattamente le stesse cose.

Anziché concludere che «Non sarà un percorso rapido, né semplice, ma dobbiamo procedere in questa direzione», una frase che in Italia sa tanto di procrastinazione alle calende greche, il Ministro Brunetta deve affermare e garantire nei fatti che il percorso su cui siamo tanto in ritardo sarà rapido e semplice, o andarsene a casa, e anche in fretta. Perché la digitalizzazione della P.A. non riguarda solo la P.A., come sembra pensare lui: è condizione indispensabile per la digitalizzazione e l’efficienza dei processi di tutte le imprese, che con la P.A. devono necessariamente interagire, e in definitiva contribuisce a determinare la qualità della vita di tutti noi.

Se c’è una cosa che noi cittadini, tutti, dovremmo aver imparato in questi durissimi anni di pandemia, è che risolvere i problemi è possibile, e che abbiamo il diritto che si risolvano, perché il nostro tempo vale quanto e più di quello di Renato Brunetta. Che noi siamo dipendenti pubblici o lavoratori privati, non possiamo e non dobbiamo più accettare che la nostra vita dipenda da una Pubblica Amministrazione pletorica e ottocentesca, né da ministri che tale la vorrebbero conservare. Abbiamo il diritto di vivere in un paese dove si possa fare tutto da casa propria, con pochi click, che si tratti di servizi offerti da aziende private o da Stato, Regioni e Comuni. E chi non la pensa così, dentro e fuori la Pubblica Amministrazione, deve andare in pensione, possibilmente non d’oro, caro Ministro Brunetta.