Viva Elsa Fornero

Ci sono cose che neanche una pandemia riesce a cambiare. Mentre la diatriba sul Green Pass continua ad alimentare conflitti sociali, e si cominciano a tessere le tele politiche che condurranno alla nomina del prossimo Presidente della Repubblica, c’è una cosa che non cambia mai: il proliferare di idee brillanti per buttare altro denaro pubblico nella fornace del nostro sistema pensionistico.

Da quando infatti il Governo Monti e in particolare il Ministro Elsa Fornero compirono l’incredibile gesto politico di stabilire delle condizioni minime di sostenibilità delle pensioni, ossia, in pratica, che chi ha versato X contributi non può ricevere 2X da pensionato, il terreno preferito da politici, sindacalisti, rappresentanti delle mille italiche categorie di lavoratori per esercitare il proprio ingegno è costituito dall’ideazione di metodi per sopprimere quella parvenza di sostenibilità. Se la Lega di Salvini ha messo a segno un bel risultato con Quota 100, ha però avuto il torto di non rendere permanente quella disgraziata misura, e in questi mesi che ne precedono la scadenza stiamo assistendo a un fiorire di balzane idee per prepensionare tutti, oppure singole categorie, o tutte le donne, o i lavoratori “precoci”, e così via. Tutto, pur di non tornare ad applicare integralmente la Legge Fornero, secondo la quale, semplicemente, si va in pensione a 67 anni.

Questo limite di 67 anni è tra i più alti in Europa, dato che secondo Wikipedia solo Grecia, Islanda e Norvegia lo eguagliano. Dobbiamo quindi ritenere che la legge italiana sia effettivamente troppo rigida? Piano: sappiamo come funzionano le cose nel nostro paese. Se infatti andiamo a vedere l’età media a cui effettivamente gli italiani e gli altri europei vanno in pensione, la classifica cambia parecchio: qui sotto, riporto una mappa che evidenzia quanto la media dell’età pensionabile effettiva nei diversi paesi si distacchi da quella prevista dalla legge.

Dati 2017, uomini. Fonte: http://www.europeandatajournalism.eu

In sostanza, i limiti della Legge Fornero sono ampiamente inapplicati; d’altronde, la stessa legge contemplava già dei possibili meccanismi di prepensionamento, e ovviamente molti altri ne sono stati creati da allora, incluse i vari APE, le “opzioni donna”, eccetera. Tra le conseguenze, il nostro tasso di occupazione è ancora ampiamente inferiore a quello di altri paesi europei e, in generale, il rapporto tra popolazione attiva e pensionati è uno dei più sfavorevoli del mondo.

Chi avesse dei residui dubbi sulla precarietà della nostra Previdenza può leggere l’interessante rapporto pubblicato da Mercer e CFA Institute dal titolo Global Pension Index 2020, nel quale i sistemi pensionistici di 39 paesi sono valutati in tre diversi ambiti: adeguatezza (del valore delle pensioni rispetto al precedente reddito da lavoro), sostenibilità, integrità (ossia affidabilità dei soggetti e delle norme coinvolti nelle pensioni pubbliche e private).
Ebbene, su trentanove paesi l’Italia quanto a sostenibilità si colloca al trentanovesimo posto. Qui sotto riporto una sintesi della scheda di valutazione del nostro paese, che credo non richieda particolari commenti, salvo osservare che questa situazione è quella in cui ci troviamo dopo la “famigerata” Legge Fornero. Figuriamoci se non ci fosse stata.

Fonte: Mercer CFA Institute Global Pension Index 2020

In una simile situazione, l’ultima cosa che dovrebbe venire in mente ai nostri politici è favorire ulteriori prepensionamenti, giusto? Sbagliato. L’imminente scadenza dell’infausta Quota 100 sta stimolando l’immaginazione dei nostri politici, che hanno presentato un sorprendente numero di proposte di legge che hanno in comune l’obiettivo di rubare ancora altri soldi ai nostri piuttosto poveri giovani per darli a noi più ricchi quasi-anziani, un’idea che sarebbe appropriata per un Robin Hood con l’Alzheimer ma non per dei parlamentari che dovrebbero avere come scopo lasciare alle giovani generazioni delle finanze pubbliche non troppo devastate. Chi volesse farsi un po’ del male potrebbe assistere alle audizioni di alcuni esperti dinanzi alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, per esprimere pareri appunto su questi disegni di legge, visibili sulla web TV della Camera. Con infinita pazienza gli esperti tentano di spiegare ai deputati che le loro idee sono semplicemente assurde (certo, non si esprimono in questi termini) e che è profondamente iniquo voler introdurre facilitazioni per singole categorie o fasce di “aspiranti prepensionati” caricando ulteriormente le generazioni più giovani di un sistema pensionistico che prima o poi finirebbe per collassare. Come dice uno dei partecipanti alle audizioni, forse spazientito dalla sordità dei deputati alle argomentazioni più elementari, «Quando si vuol risolvere un problema facendo ricorso al sistema pensionistico, vuol dire che non si è disposti a pagare per quella soluzione ma la si vuol far pagare alle generazioni future.» Più chiaro di così si muore: quello che veramente volete è ancora una volta favorire le categorie che vi votano a danno dei giovani e delle generazioni future, ma non aspettatevi che noi tecnici vi diamo ragione. Più tardi, nella stessa audizione, il Presidente dell’INPS Tridico ha presentato una relazione in cui stimava i costi di alcune tra le brillanti idee dei parlamentari, costi ovviamente tutti computabili in diversi miliardi di Euro ogni anno; Tridico ha poi esposto una sua proposta che consisterebbe nel permettere di andare in pensione a 63 o 64 anni con la sola parte contributiva della pensione maturata fino a quel momento, ricevendo poi l’eventuale parte retributiva a partire dai 67 anni. Questa proposta però non piace né ai politici né ai sindacalisti, essenzialmente perché non regala soldi a nessuno.

Dunque non si può fare nulla? La legge Fornero è davvero la migliore possibile? Noi circa-sessantenni dobbiamo per forza lavorare fino a 67 o 68 anni? Premesso che io ringrazio pubblicamente Elsa Fornero per essere stata l’unica ad accettare l’impopolarità per garantire la sostenibilità delle pensioni future, forse qualcosa si potrebbe in realtà fare, paradossalmente portando alle estreme conseguenze la logica del sistema contributivo, introdotta dalla riforma Dini del 1995 e rafforzata appunto dalla Legge Fornero. Questa logica infatti si basa sulla restituzione al lavoratore, sotto forma di pensione, di un capitale equivalente a quello da lui versato sotto forma di contributi; proprio per questo, in teoria il coefficiente per calcolare l’importo della pensione a partire dai contributi versati varia in base all’aspettativa di vita.

E qui arriviamo alla mia personale ipotesi di “superamento” della Legge Fornero, portando all’estremo quanto proposto dal Presidente dell’INPS Tridico durante la stessa audizione di cui parlavo: aboliamo del tutto l’età pensionabile, e permettiamo a tutti di andare in pensione quando vogliono: a 63, 62, anche 60 anni. A patto che per tutti valga il principio che non si riceve un Euro in più del dovuto: se si vuole andare in pensione cinque anni prima, il capitale contributivo accumulato fino a quel momento dal lavoratore si “spalma” non più, poniamo, su 15 anni di vita residua, ma su 20.
Ovviamente, il risultato sarebbe una pensione molto più bassa di quella che il lavoratore riceverebbe se andasse in pensione a 67 anni, con cinque anni di contributi in più e altrettanti di vita residua in meno; forse, mettendo ciascuno di fronte al fatto che nessuno magicamente gli regalerà decine di migliaia di Euro, cominceremo a capire che il tempo delle pensioni allegre è inesorabilmente finito.