Comma 22, ovvero: come non si possa più decidere su nulla, e si riducano gli spazi di libertà

Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo. (Joseph Heller, Comma 22)

Adesso sappiamo un po’ meglio perché i tre principali referendum sono stati bocciati dalla Consulta: erano scritti male (secondo la Consulta). Quello sul fine vita non rendeva chiare le modalità dell’omicidio consenziente aprendo (secondo la Consulta) a minori garanzie personali per gli individui dei quali lo Stato deve tutelare il diritto alla vita (maggiori spiegazioni QUI); quello sulla cannabis apriva (sempre secondo la Consulta) ad altre droghe (maggiori spiegazioni QUI) e infine quello sulla responsabilità dei magistrati, per un meccanismo tecnico, si sarebbe configurato come referendum innovativo (non previsto dal nostro ordinamento) e non semplicemente abrogativo.

I promotori hanno ben spiegato perché avessero scritto i quesiti in tale modo; per quello sulla cannabis, per esempio, c’è stato un problema a monte di farraginosità della norma, tale che un referendum puramente abrogativo (che, cioè, deve intervenire chirurgicamente tagliando un comma qui e una parola là) si è trovato, giocoforza, entro spazi ristretti.

Il punto è il seguente: i referendum abrogativi, che hanno avuto storiche ragioni e stagioni in anni lontani, dove si voleva cancellare semmai un’intera legge (divorzio, aborto…) non sono più attuali. Oggi i referendum diventano strumenti retorici, di propaganda e sensibilizzazione delle coscienze su certi problemi, ma non sono gli strumenti adatti all’intervento sui diritti e sul sistema democratico.

Il groviglio legislativo italiano, specie su temi “sensibili” rende complicato proporre un cambiamento normativo toccando il lessico qui e là, come se l’espunzione di un comma e la ricombinazione sintattica della norma potesse avere la coerenza d’insieme che (auspicabilmente) aveva il testo originario. I promotori dei referendum, quindi, non avevano torto, ma avevano strumenti limitati. Limitati, certo, ma inevitabili; gli unici disponibili, perché lo strumento referendario, sempre di più, è l’ultima ratio nei confronti di un Parlamento che ormai non decide più su nulla. La cospicua quantità di firme raccolte mostra che su questi temi la sensibilità sociale è piuttosto avanzata; in Italia, restando sul piano dei diritti civili, c’è ampia disponibilità verso i diritti omosessuali, unioni civili, eutanasia, adozione, fecondazione eterologa e molti altri temi, ma la disponibilità “ampia” non è una disponibilità universale, e i gruppi di cittadini contrari a questo o quel diritto (cattolici in merito all’eutanasia, per esempio, cittadini orientati a destra sui diritti gay…) sono sufficientemente in grado di condizionare i rispettivi partiti di riferimento. Mentre sul tema della giustizia, notoriamente, fra la destra giustizialista (la Lega ha sostenuto i referendum) e la sinistra garantista, corre una teoria variegata di posizioni, sfumature e distinzione.

La conclusione è che nessun Parlamento della mai troppo biasimata Seconda Repubblica metterà mai mano (mai, mai, MAI) a qualunque tema sensibile, divisivo, complesso, che veda alzare barricate a una parte dell’opinione pubblica.

Facciamo il punto: l’opinione pubblica sarebbe pronta (come maggioranza, non unanimemente) a molte riforme, che il Parlamento si guarda bene dal proporre; una parte più piccola di opinione pubblica, quella organizzata in associazioni (come la Luca Coscioni) o forze politiche con una storica sensibilità a questi temi (come i radicali) cercano di fare quello che possono per mantenere temi di libertà fondamentali nell’agenda dei cittadini; per sollecitare il Parlamento; proporre quesiti alla Consulta e creare in ciò dibattito. Ma è uno sforzo immane. Di più: è uno sforzo inutile. Questioni complicate, in tempi complessi, con un’organizzazione della decisione pubblica che non funziona assolutamente più come quando era stata immaginata quasi ottant’anni fa, e che ormai è banalmente incapace di decidere (mi riferisco al Parlamento, all’organizzazione dei partiti…) semplicemente si incastrano in una specie di Comma 22: si parla, si parla, ma non si può decidere più nulla.

Le decisioni, ormai, si prendono altrove, e a noi non resta che subire sempre più pesantemente quella che Marcello Veneziani, nel suo recente saggio, chiama “la Cappa”:

Oggi il sistema si chiama establishment, è un assetto «neutro» ma imperante, e il potere si chiama governance; è una cupola, priva di un vertice. Dominio acefalo. Il suo brodo di coltura si chiama mainstream. Ha una valenza «politica» perché attiene comunque al comando, alla direzione di una società tramite i poteri e le idee che la dominano. La Cappa, invece, è qualcosa di più anonimo e climatico, tocca la sfera esistenziale e pervade le menti, le anime, permea lo Spirito del tempo (Zeitgeist); intacca la visione del mondo, della realtà, i rapporti tra gli uomini e con le cose. Si insinua nel nostro organismo e minaccia la nostra salute, messa a dura prova dalla lunga pandemia; si fa questione sanitaria, ricerca d’immunità e terrore di contagio, prossimità e assembramenti. È forte la sensazione di vivere dentro o sotto una Cappa d’aria infetta e sospetta. (Marcello Veneziani, La Cappa, Marsilio, p.11)

Ancora una volta la risposta è desolata. Noi non possiamo fare nulla. Non esistono più modi efficaci per un’azione decisionale democratica. L’incrocio di realtà, sensibilità (e inciviltà), culture (e ignoranze), vincoli crescenti e opportunità sempre più limitate, relazioni e intrecci e interrelazioni e geopolitiche e interessi, mai ben chiari, mai ben definibili, sempre cangianti e ridiscussi, ecco: tutto questo sta sempre più drasticamente riducendo le libertà individuali e collettive. E siamo sempre più sorvegliati, sempre più indirizzati verso il pensiero unico, sempre più ricattati. E semmai ne siamo pure contenti.

Chi vuole, chi può, chi ritiene (chissà se con ragione?) di possedere una specifica sensibilità, si adoperi come può, agisca nel piccolo, semmai sostenendo quelle forze che mantengono viva una fiammella di pensiero, di progresso, di autentica libertà.

Io, intanto, sono andato subito a rinnovare l’iscrizione all’Associazione Luca Coscioni, l’unica che da anni si batte sui temi dell’eutanasia.