Alcune conseguenze delle disuguaglianze

Ho letto con attenzione il bel post di LibertarianMind, qui su Hic Rhodus, intitolato E se le disuguaglianze non fossero un problema?. In sintesi l’autore, con abbondanza di dati, dice:

  • nel corso della storia, specie più recente, la percentuale di poveri è drasticamente diminuita in tutto il mondo;
  • il principale fattore di ciò è l’economia liberista (anche qui l’autore porta esempi);
  • è vero che esiste una forbice enorme fra le poche persone ricchissime e le tante povere o in condizioni modeste, ma i ricchi pagano una quantità proporzionale di tasse, contribuiscono allo sviluppo economico generale e rendono generalmente migliore la vita a moltitudini di individui;
  • le principali disuguaglianze sono non già il prodotto della ricchezza di taluni, ma di politiche sbagliate dei governi, e qui LibertarianMind vince facilmente l’argomentazione citando, per tutte, la scuola e il suo fallito compito di fungere da ascensore sociale.

L’articolo, poi, conclude con indicazioni sul sostegno ai poveri e come metterle in pratica, sulla necessità italiana di formare una classe di lavoratori qualificati, etc.

Vi invito a leggere il testo originale perché ricco di spunti.

Adesso comunque provo a dire come, pur ritenendo giusta ogni argomentazione proposta da LibertarianMind, trovo che il punto di vista complessivo del suo articolo sia valido solo da alcuni punti di vista, e carente da altri. Il focus dell’autore considera diseguaglianze sostanzialmente solo la povertà economica:

Su scala globale, di per sé non è la diseguaglianza, bensì la povertà il problema n°1 da affrontare.

Questa prospettiva non è certamente secondaria, ma non consente di affrontare il problema secondo altri due filoni concettuali, che invece a me paiono oggi dirimenti: il primo riguarda le conseguenze sociali della disuguaglianza e il secondo il fatto, di natura strategica, che i ricchi non sono semplicemente gente che ha più soldi, ma gente che ha più potere, ed è l’uso di quel potere a dover essere osservato con timore.

Il primo punto è presto detto: i super ricchi, i privilegiati, non vivono nello stesso mondo dei “normali”; non dico dei poveri, ma anche della classe operaia, della piccola e media borghesia, degli artigiani e piccoli imprenditori, vale a dire del 99% della società. Senza tirare in ballo Zuckerberg, Soros o Gates, una persona come Chiara Ferragni, per dire, che non è neppure ricchissima, appartiene a un mondo che viene percepito come altro da sé. Non importa se migliaia di ragazzine, signorini e gente di scolarità medio-bassa la “seguono” sui social e l’ammirano; anzi: la seguono e l’ammirano perché lei è un’aliena, rappresenta un mondo inaccessibile, inarrivabile, per il raggiungimento del quale non esiste scuola o percorso possibile. I VIP, i membri della Jet Society, i divi creati oggi dai social, dalle tecnologie dell’informazione, dalla comunicazione, ai diversi livelli e con ogni considerazioni alle differenze di ruolo, di immagine e di potere, sono alieni. Per costoro le persone sono semplicemente masse, numeri che portano fama e ricchezza; ma di Giovanni Santambrogio disoccupato o di Ciro Esposito ammalato non importa nulla, non sono alla portata della loro conoscenza; e viceversa se qualcuno svaligia la casa della Ferragni importerebbe pochissimo a Santambrogio o a Esposito, ma chi se ne frega, con tutti i soldi che ha bisogna pure compatirla?

Questa distanza, in realtà, è una lacerazione del tessuto sociale che ha dei costi, in termini simbolici, culturali, psicologici, di comportamenti, di opinioni espresse, di disagio per la mancata appartenenza. Il qualunquismo populista, il sovranismo salvinista e il neo-fascismo, sono risposte emotive e ignoranti a tale distanza, sono una forma acerba, prepolitica, sterile (ma pericolosa!) di risposta di massa “ai privilegi”, anche se mal compresi. Direi che già questa non è una conseguenza da poco per una ragione precisa; anche se – come sto per dire – molti di questi potenti sono davvero “potenti”, pure siamo inseriti in sistemi di governo parlamentari che, pur deboli e sfibrati, funzionano sulla base del voto popolare. Una massa enorme di persone spinte al voto di protesta da un sentimento di spaesamento, di frustrazione, di lacerazione sociale, porta a conseguenze che stiamo vedendo in Italia e un po’ ovunque nel mondo. Non sto dicendo che il populismo grillino e il sovranismo salviniano siano colpa di Ferragni, ma che Ferragni, e molti altri, sono funzionali a un sistema perversamente disuguale che conduce a perdita di senso, caduta di relazioni sociali forti, individualismo, e tante altre cose molte volte trattate su questo blog.

Ma il secondo punto, quello del potere, è probabilmente più studiato e più semplice da esporre. I ricconi, i VIP, non sono solo “più ricchi”; sono potenti, e la ricchezza è solo una conseguenza, un indicatore visibile del fatto che hanno un potere (industriale, informativo…) che viene esercitato con sempre maggiore spregiudicatezza. Ci sono moltissimi studi che descrivono la cosciente capacità manipolatoria di Facebook, per esempio. Non è solo questione di ragazzini indotti a seguire determinate mode, ma di masse di persone persuase o dissuase in merito a verità sociali e politiche, che poi votano, si mobilitano, contribuiscono a determinare indirizzi culturali, sociali. I fatti americani di Capitol Hill ne sono stati un esito evidente, ma ciò che cova sottotraccia è un rischio democratico enorme, ben chiaro ai commentatori americani di idee più progressiste. Parimenti l’uso di questi mezzi per manipolare le elezioni occidentali, per favorire la Brexit etc. è ormai ben noto. I Big Data e il loro utilizzo per il controllo sociale. L’interlocuzione diretta che i principali leader di queste aziende hanno con molti governi, col potere di indirizzarne le politiche (in Italia basti pensare alle vicende delle acciaierie di Taranto negli ultimi anni). Amazon che dirige sapientemente il commercio di determinati beni di consumo. 

Come ci hanno ormai spiegato molti sociologi, da un lato questo (informe, incerto, variegato) gruppo di persone attua scientemente strategie di manipolazione e controllo di massa, mentre dall’altro riescono a imporre, almeno entro certi limiti, il loro volere ai governi.

La questione del reddito – concordo con LibertarianMind – se non viene trattata sotto un profilo morale (che ritengo anch’io sbagliato) non può essere oggetto di rivalsa; al netto della premessa sull’onestà del guadagno, e la sua equa tassazione, bene chi è ricco, ciascuno di noi “normali” goda, se e quanto può, dei posti di lavoro creati, dei servizi offerti, della vita sempre più sana, più lunga, più confortevole che oggi riusciamo a fare, rispetto ai nostri avi.

Resta il problema del potere. Quando, nell’800, Karl Marx si scagliava contro la classe imprenditoriale, non lo faceva per invidia della loro ricchezza, ma in quanto questa era detentrice dei mezzi di produzione, e in quanto tale aveva potere. Potere sugli operai e potere sui governi, e la storia dell’industrializzazione e del capitalismo, dalla fine del ‘700 in poi, è piuttosto chiara, come chiare sono le ricadute culturali, sulle masse, di questo potere. Oggi ci sono analoghe e documentate analisi e critiche (non ideologiche), al potere enorme che poche persone hanno a disposizione. Questo non è più un problema sociale, ma di democrazia. La concentrazione del potere vero in poche mani, finalizzato alla conservazione di quel potere, è un enorme pericolo democratico.

Riassumendo: ‘disuguaglianza’ è certamente una eccessiva disparità di reddito; ma è soprattutto una disparità di potere; è un meccanismo che impedisce salita e discesa sociale (salita ai meritevoli, discesa per i reprobi), che ci porta a crederci liberi mentre, giorno dopo giorno, lo siamo sempre di meno.