Adattarsi o resistere (era meglio, sì, ma volevo mettere ‘resilienza’ nel titolo, così è più figo; se ce la faccio, più avanti, metterò anche ‘inclusione’)? Lavorare ventre a terra per ottenere risultati, piccoli piccoli ma certi, o volare alto, quasi sicuri dell’insuccesso ma, cavoli, che grande risultato se ce la facciamo? Piegarsi al vento e sopravvivere o schiena diritta, fierezza nel guardarsi allo specchio la mattina, rischiando ogni momento di essere schiantati dal turbine?
Ne parlavo pochi giorni fa, con alcuni cari amici. Dopo una vita di schiena diritta, a un giro di boa anagrafico piuttosto significativo, mi guardo indietro e faccio un mesto bilancio. Ah, sì, certo: mai chiesti favori e certamente mai ricevuti; fendo la folla con la fronte alta, sostengo le mie idee a viso scoperto, un viso che a ben guardare mostra bene i segni dei ceffoni ricevuti… Mi voglio far capire, vi farò un esempio. Nella mia vita spesa fra scienza e professione, studio e lavoro, sapere e saper (qualcosa) fare (non parlo di meriti, che giudicheranno altri; parlo di pulsione, desiderio, prassi) ho avuto ruoli importanti in associazioni che riflettevano questo binomio: associazioni scientifico-professionali che hanno avuto, o avrebbero potuto avere, un certo significato nelle relative comunità di pratiche. In quelle associazioni (questa è la mia interpretazione, mia, soggettiva, non necessariamente veritiera, almeno non per molti) ho affrontato battaglie culturali importanti, e alla fine ho perso e, da sconfitto, me ne sono dovuto andare, per coerenza, per quella storia del guardarsi allo specchio, per quella attitudine adolescenziale a non accettare compromessi, o miserie, o adattamenti inaccettabili.
Con i miei amici raccontavo come, oggi, non sia così sicuro di avere fatto bene. Se mi fossi piegato, se avessi sorriso, se avessi fatto spallucce, ora sarei ancora in quelle comunità, dove non avrei un etto di guadagno personale – deve essere chiaro – ma avrei un ruolo, un ascendente, forse forse un po’ di carisma verso qualcuno e, con quel ruolo, da quella posizione, potrei contribuire a indirizzare i programmi, le azioni, le culture che in quella associazione sono state così meschinamente lasciate cadere. Andandomene, insomma, mi pare di avere disertato. Se restavo (da sconfitto, forse da umiliato, ma con un patrimonio personale di competenze comunque riconosciute) avrei agito quantomeno come pungolo; forse sarei stato in minoranza, forse le cose sarebbero cambiate, ma il mio agire concreto, continuo, avrebbe avuto il suo peso. Andandomene, ho lasciato quel gruppo in mano a individui che disistimo profondamente e hanno completamente lasciato quella comunità a un piccolo cabotaggio di acclarata inutilità. Io non avrei avuto nulla da guadagnare con loro, ma andandomene con gran fracasso, sbattendo tutte le porte che ho potuto sbattere, cos’ho ottenuto? Non per me, ripeto, ma per la comunità alla quale appartenevo. Detto questo, uno dei due amici ai quali raccontavo queste cose mi ha chiesto: “Ma tu, oggi, torneresti a far parte di quel gruppo?”. La mia risposta è stata immediata: “Neanche morto!”. Il mio amico ha sorriso.
Come l’apologo esopeo della rana e dello scorpione, io mi trovo a dire, come l’aracnide, “Questa è la mia natura”, ed è troppo tardi per cambiarla.
So bene che ai frequentatori di Hic Rhodus non può importare un accidenti delle mie turbolenze emotive, ma la cosa mi si è riaffacciata alla memoria nelle cronache di questi giorni, dal Covid alla guerra in Ucraina, fino all’idraulico che ha lavorato male e mi ha lasciato un lavoro a metà, e che vorrei mandare sapete dove.
Non so se è una forzatura, giudicate voi: ma quelli della pace subito, no armi all’Ucraina, Putin ha le sue ragioni, sono esemplari chiari dell’attitudine a piegarsi, cercare il male minore, adattarsi, sopravvivere, perché se si sopravvive si potrà sperare in un’occasione, in una insperata futura soluzione. Lo dico con distacco, perché li capisco. Ma dagliela quella Crimea a Putin, ma lascialo il Donbass a quegli idioti filo-russi eversori di merda! Avrai un Ucraina umiliata e più piccola, ma intanto sopravvivi, costruisci le giuste alleanze, che cavolo! Prima o poi Putin creperà, le situazioni storiche svoltano repentinamente…
Invece, quelli che stanno con Zelensky, con la resistenza degli ucraini, con “morte al bastardo del Cremlino!”, non sono disposti al compromesso, segnano continuamente delle linee sulla sabbia e guai oltrepassarle (oddio: se siete ucraini potete tracciare le linee che vi pare, tutto il dibattito abbastanza idiota che produciamo noi nel talk show è un’altra cosa, certo).
Potete adattare questa sorta di paragone a moltissime altre cose, anche meno drammatiche; ragionando ieri con l’amico Ottonieri siamo arrivati alla tristissima conclusione che tutta la materia del lavoro e della previdenza, in Italia, è avviluppata in una spirale negativa che avrà, certamente, un epilogo infausto, drammatico, col lavoro incerto e la previdenza collassata, e questo nel giro di mica tanti anni. Tutte le analisi razionali lo possono confermare, cifre alla mano, ed è una cosa che si sa da qualche decennio, non da ieri. Eppure nessuno, ma proprio nessuno, può proporre una politica, sia pure gradualissima, di riforma del lavoro e di sostanziale e netto riordino della previdenza. Chi a suo tempo lo proponeva era tacciato di bieco iper-liberismo infame e alle elezioni ha preso una manciata di voti; i partiti che – senza essere espliciti su questi temi per non suicidarsi – propongono una cultura riformista capace di comprendere queste cose (no, non sto proprio parlando del PD, né dei sedicenti finti liberali della destra), possono aspirare, tutti assieme, di sfiorare forse il 10%, roba che non si va da nessuna parte. Il problema è noto; la cura insopportabile. La stragrande maggioranza degli italiani preferisce piegarsi, seguire il vento, aspettare, come quello famoso che cadendo dal decimo piano diceva, piano dopo piano, “fin qui tutto bene…”. Tanto i problemi verranno dopo, chissà, ma forse no, boh, intanto vediamo cosa danno stasera in TV. E’ la democrazia, bellezza! Se tutti vogliono l’aria condizionata è inutile che Draghi s’incazzi.
Così, ciascuno di noi, io con le mie paturnie e tu, caro lettore, con le tue, scegliamo ogni giorno se adattarci, sopravvivere, perché vivendo resta la speranza, oppure combattere, sapendo che per la vittoria ci vuole un miracolo. Gli ucraini ci credono, chissà, per ora non hanno avuto torto del tutto. Ma anche i No Vax ci hanno provato; dal loro punto di vista erano loro a tenere la schiena diritta contro la dittatura sanitaria… Oddio! Non abbiamo un metro per misurare le ragioni e i torti; ciascuno traccia le proprie righe sulla sabbia, ciascuno pensando di avere una straordinaria ragione, un’etica adamantina, una logica a prova di stupido. E i No Tav, e i No Tap…
Vuoi vedere che gli intransigenti hanno solitamente torto? Ma anche Amendola e Gramsci erano intransigenti, e l’hanno pagata cara, ma credo avessero ragione. Anche Saddam e Gheddafi sono stati intransigenti e l’hanno pagata cara, ma credo che avessero torto.
A questo punto, caro lettore, sono davvero molto confuso.
Si vive e si sbaglia, non credendolo possibile. Il fatto è che se sbagli nella tua vita, diciamolo, è peggio solo per te. Se sbagli per il tuo popolo fai danni che si riverbereranno per anni, o decenni. Chi sbaglia, davvero, fra Zelensky e Putin? Forse entrambi? Chi sbaglia, davvero, fra i nazionalisti, statalisti, fancazzisti del pasto gratis (parlo degli italiani) e i rigorosi che vorrebbero una bella stretta di cinghia pensando ai nipoti (i figli, ormai, li abbiamo fregati tutti)?
Boh…?
P.S. Ho dimenticato di essere inclusivo, mi scuso; sarà per la prossima volta.