Sono vagamente consapevole di essere irrimediabilmente vecchio. Non parlo dell’età anagrafica ma dell’assetto valoriale, dei costrutti mentali che mi hanno plasmato nel Novecento (dal quale ritengo bisogni fuggire a gambe levate, ma noi che siamo nati là abbiamo questo fardello addosso…). Ho attraversato l’ultimo terzo del secolo scorso, e il primo ventennio di questo, con alcune certezze: i) la politica è una cosa seria, e richiede preparazione per chi la fa, ovvero per tutti gli eletti e i cittadini elettori; ii) la politica è principalmente un confronto di visioni della storia, società, cultura: essere riformisti o conservatori, liberali o socialdemocratici, cattolici o comunisti, è prima di tutto una questione antropologica difficilmente riducibile. Ci sono ottime ragioni in campo socialdemocratico come in quello liberale – per semplificare – assumendo per buoni alcuni principi di base che informano poi tutto il costrutto dell’uno o dell’altro “modo di intendere le cose”; iii) da quelle visioni, costrutti antropologici, sistemi di valori, discendono dei programmi politici specifici; fare o non fare determinare cose ritenutili utili per tutta la nazione, all’insegna dei precedenti costrutti valoriali; iv) i programmi sono di lunga visione, di esteso effetto, e cercano di costruire vie di sviluppo per la nazione; si va verso una certa parte, ci si incammina lungo certi sentieri, costellati poi di politiche specifiche, interventi puntuali, provvedimenti ad hoc su molteplici questioni; ma – poiché si insegue una visione complessiva della società – le politiche e gli interventi stanno dentro, con sufficiente coerenza, a un disegno più generale; v) poiché anche la politica è un’azione umana, e quindi fallibile, e alla luce evidente del fatto che il mondo è complesso e cambia in fretta, l’operato politico viene valutato, prima ancora che politicamente (dagli elettori), tecnicamente (efficacia delle politiche) e, se ci si è sbagliati, si torna indietro di due passi e si imbocca un’altra strada.
Ora: può darsi che questi cinque punti siano solo nella mia testa e non siano mai esistiti nella realtà. Forse sono sempre stato un allocco e mi sono lasciato menare per il naso, assieme a un bel mucchio di altri stupidi come me. Vallo a capire, ormai… Ma credo di ricordare (o è un’illusione, una deformazione post hoc) che negli anni dei furori giovanili, quando ero barbuto, capelluto, agitato e politicizzato, avevo – nel modo confuso che hanno i giovani – contezza di quei cinque punti; avevo un quadro culturale di riferimento, una prospettiva verso cui dirigermi, idee sulle politiche da praticare per andare verso dove volevo andare. E – mi pare – ero in buona compagnia, con tanti giovani sciocchi quanto me che si agitavano come me e ragionavano pressappoco come me. E ricordo (credo) che la politica nazionale, incarnata da vituperati leader della mai sufficientemente rimpianta Prima Repubblica, provava a indicare delle strade, provava a praticarle con delle politiche, si affannava sui programmi che erano discussi anche al bar (ho un meraviglioso ricordo di mio padre, intellettuale di paese, che discuteva animatamente al Bar Citi, circondato da capannelli di ascoltatori). L’atlantismo e la moderazione democristiana, la pulsione ugualitaria dei comunisti, il riformismo socialista, il rigore economico-finanziario dei repubblicani… Non erano slogan momentanei, tatticismi per raccattare due voti all’ultimo momento, ma manifestazioni di un pensiero, cui seguivano azioni, spiegate bene o male al popolo con argomentazioni, assai prima che Twitter e Facebook riducessero la politica a battuta fulminante, sberleffo e slogan.
Che tutto ciò che precede sia vero o no, che sia ricordo o illusione, è piuttosto chiaro che da un bel po’ di tempo tutto ciò è scomparso. Ci sono diverse ragioni, già ampiamente studiate e presentate, anche su questo blog. Una perversa eterogenesi dei fini che ha velocizzato i tempi della politica, abbassato la comprensione media degli elettori, facilitato la rapida diffusione dei sentimenti e delle appartenenze, contro le ragioni e le visioni, il suicidio della Prima Repubblica e l’avvento della politica manettara di Mani Pulite con il trionfo di Berlusconi, la rapidissima evoluzione di una complessità economica, sociale, geopolitica inattesa, rispetto alla quale nessuno era preparato, e molto altro ancora. Analisi già fatte, non ripetiamole. Il fatto è che la conclusione è desolante. Sia guardando la destra politica italiana, che la sinistra, credo di poter dire in coscienza che non si vede uno straccio di visione, non esiste un vero programma, non c’è un leader capace di indicare la strada (forse Meloni, capite l’assurdità?), non si intravede una prospettiva. Non ho voglia di fare un’analisi minuta e puntuale, che comunque ogni lettore è assolutamente in grado di fare da sé.
Solo per rimanere in un ambito di Centro e Sinistra (probabilmente più affine alla maggioranza dei nostri lettori, certamente più affine a chi scrive in questo blog) io vedo solo il deserto. L’inseguimento dei 5 Stelle ad opera del PD rivela – a mio avviso – la totale scomparsa della politica in questo partito a favore del tatticismo, del posizionamento elettorale; e comunque provate a cercare “il programma” del PD da qualche parte (io l’ho fatto), se riuscite a trovarlo leggetelo, poi sappiatemi dire. E per i 5 Stelle: continuare a raccontarli come forza di centrosinistra è folle. No, scusate: non è folle, è proprio stupido e insensato. Cosa resterebbe a sinistra? Articolo Uno, Rifondazione, i comunisti di Ferrero? Auguri!
L’area chiamata, semplificando, “centrista”, ha poi più leader che elettori; Calenda ha buone idee ma è insignificante; i radicali, dopo Pannella, sono morti che camminano; Renzi ha bruciato così velocemente ogni credibilità personale che non ha neppur più importanza se ha idee buone o cattive.
Risparmio la disamina della destra, imprigionata da leader da film comico, superegotici, narcisi, miopi.
Capisco che nell’epoca dei tweet, immaginare di fare politica a partire da programmi sia lunare. Chi dovrebbe scriverli? Chi dovrebbe leggerli? Ma fare politica leggendo i giornali la mattina e decidendo, di conseguenza, quale spernacchiamento fare per posizionarsi sui trend dei social, è la morte del vivere politico. E questa morte la celebriamo quotidianamente nella scarsa capacità a risollevare le sorti del Paese, migliorarne le performance economiche, costruire socialità positiva, aumentare la conoscenza e la consapevolezza, guadagnarsi un posto stabile nello scacchiere geopolitico che conta, sostenere le imprese, adeguare il sistema formativo, aiutare i più deboli, premiare il merito, regolare i flussi migratori, dare una prospettiva ai giovani, sanare le periferie, contrastare con efficacia le mafie, riqualificare territori devastati, rafforzare il sistema previdenziale, semplificare il sistema normativo e amministrativo, contenere la presunzione giudiziaria e riformare la giustizia, pensare davvero alla transizione ambientale ed energetica, guardare con intelligenza ai problemi dell’infanzia, colmare il gap tecnologico, e non so se ho rammentato almeno i problemi più rilevanti.
Con questi politici, di questi tempi, credo che votare non sia inutile ma semplicemente dannoso. Avere altri grillini in parlamento, leghisti, postfascisti, comunisti d’antan, pseudo-riformisti dal piccolo cabotaggio, cacacazzi della domenica pronti ad alzare il ditino, voltagabbana di professione, populisti imbecilli, portatori di miserie intellettuali e morali contrabbandate per certezze granitiche, ecco, perché mai farlo?
P.S. Ogni tanto qualcuno risponde che sì, ha capito, potrebbe anche essere d’accordo, ma “allora tu (io) cosa proponi?”. Ecco la risposta: e che ne so? Credete che sia arrivato io con le risposte? Io mi faccio, e vi faccio, le domande scomode. Per le risposte, ognuno si trovi le sue.