Il razionalismo politico spiegato con le prossime elezioni

Siamo razionalisti. L’abbiamo scritto in numerosi post e anche in un libro sulla concezione della politica nel terzo millennio che, noi pensiamo, deve essere razionalista e rifuggire l’ideologismo (e il populismo, che ne è una corruzione), pena il disastro.

Per noi il razionalismo è il faro che deve guidare una concezione della democrazia compatibile con la complessità dell’epoca contemporanea e il continuo, gravoso, angoscioso stratificarsi di crisi inimmaginate e inimmaginabili pochi decenni fa (pandemie, guerre alle porte di casa, catastrofe climatica…). Masturbarsi con le identità e le appartenenze e le bandierine (la fiamma della Meloni, per dire) quando abbiamo delle prospettive economiche, e quindi sociali, gravi, è da sciocchi; affermare continuamente, sterilmente, demagogicamente delle “verità” immutate e immutabili, mentre la situazione geopolitica globale sembra impazzire (il possibile attacco della Cina a Taiwan, Trump che potrebbe diventare nuovamente Presidente…) è da fanatici ottusi, e per ciò stesso pericolosi; accasarsi a questa o quella parte politica perché gli altri sono antipatici, sono inaffidabili, sono brutti e cattivi, aderendo a narrazioni politiche di parte, non considerando un insieme di cause, effetti, vincoli e condizioni, e buttando la scelta politica all’alea della “simpatia”, del rancore, della telegenicità, è la demenza senile della democrazia.

Noi siamo razionalisti. Vogliamo scegliere – anche in queste prossime elezioni politiche – non il più simpatico ma il più acuto e intelligente, non quello “della nostra parte” ma chi è dalla parte delle cose utili e fattibili per il bene del Paese. È qui che troviamo il primo dilemma: chi stabilisce cosa sia utile per il Paese? “Chi” sarebbe, poi, il Paese? Il Paese – potrebbe obiettare qualcuno – è quello dei ricchi e dei padroni, dei paperoni e dei Berlusconi, o è quello dei poveri e deboli, di quelli che non hanno voce, del popolo sfruttato…

Ebbene, il problema, posto così, è ideologico. Ovviamente. È un pensiero che parte da una scelta etica e la declina in possibili soluzioni pratiche, favorevoli a quella ideologia. Il Reddito di Cittadinanza è un esempio perfetto di scelta ideologica. E’ chiaro che bisogna aiutare i meno abbienti e i bisognosi; ma – per noi – è altrettanto chiaro che occorre farlo impiegando bene i soldi, facendoli arrivare a chi ne ha realmente bisogno, con adeguati strumenti di controllo e verifica per evitare abusi, con valutazioni periodiche per stabilire se la misura è stata realmente efficace, e così via. Riprendiamo un asserto qui sopra e saggiamone l’eventuale impronta ideologica: “è chiaro che bisogna aiutare i meno abbienti e i bisognosi”. Perché non è ideologico, in questa formulazione astratta? Perché è facile dimostrare, con argomenti e dati, che una società senza poveri è complessivamente più utile e confortevole per tutti; che le ingiustizie sociali hanno dei costi che si riverberano su tutti. Un esempio: anche chi non ha bambini piccoli deve essere favorevole agli asili nido diffusi e gratuiti, pur non usufruendone personalmente. Perché? Perché consentire alle giovani coppie di avere servizi per l’infanzia libera le loro energie a beneficio della collettività; possono lavorare, per esempio, contribuendo alla formazione del PIL; possono essere incentivati a fare figli, contribuendo al contrasto della crisi demografica. Avere periferie più vivibili e confortevoli serve anche a chi vive al centro, perché una buona periferia significa gente più felice che lavora contenta, meno microcriminalità, meno costi sociali (si spendono milioni per tamponare i guasti sociali provocati dalle pessime periferie che producono abbandono scolastico, degrado, lavoro nero, sfruttamento…). Eccetera.

Il razionalista non è privo di valori etici, variamente declinati. Perché ogni problema ha comunque molteplici risposte razionali e scegliere quella “giusta” è un non senso; ci sono molte risposte tutte diversamente giuste, e la scelta è del politico che può avere propensioni di vario genere (per esemplificare, in breve: tendenzialmente liberali o tendenzialmente socialiste). Questo va bene, ed il confronto elettorale esprime quelle preferenze, quelle diverse visioni, e l’elettore sceglie.

Ma non è mai la morale – confusa con l’etica – o peggio il moralismo, l’ideologismo, il populismo che deve guidare il politico.

Procedendo con una ulteriore semplificazione, gli oggetti di interesse politico sono classificabili in due macro-categorie che chiameremo materiali e morali:

  • le questioni materiali riguardano lo sviluppo e il benessere fisico, pratico, economico e sociale degli individui; ovviamente lo sviluppo industriale, l’agenda digitale, il mercato del lavoro, la sanità, eccetera; a occhio e croce si tratta del 90% delle questioni rilevanti di cui si deve occupare la politica;
  • le questioni morali riguardano la libertà di espressione e di religione e poche altre cose che generalmente indichiamo come “giuste” e “ingiuste”, relative al Bene e al Male. Questa categoria è sbrigata dal razionalista in modo estremamente semplice ed efficace: ognuno fa quello che vuole; prega il dio che vuoi, ama l’essere umano (consenziente e maggiorenne) che ti pare, punto. E adesso passiamo alle cose serie (punto precedente). 

Sarebbe bello se fosse così semplice ma, ancora una volta, le sovrastrutture morali e ideologiche tracimano dal reparto (residuale) delle questioni morali, per entrare con prepotenza nell’agenda delle questioni materiali. Un esempio facile facile: i migranti. Accogliere i migranti, porti aperti, e il bla bla retorico di una certa sinistra (il “bene” che si vuole imporre), esattamente come “aiutiamoli a casa loro”, “blocco dei porti” etc. (il “male” che vi si contrappone) è un coacervo di sciocchezze che tendono a imporre un punto di vista morale (moralistico, ideologico) su un problema pratico, materiale. I migranti vanno accolti per quanti possiamo accoglierne, devono integrarsi e contribuire allo sviluppo del Paese che li ospita; salvo i rifugiati e chiedenti asilo, è comprensibile anche da un bambino che non è possibile “accoglierli tutti”. Il fatto che la miseria costringa decine di migliaia di africani a cercare la fortuna altrove è a sua volta un problema da affrontare senza moralismi. Non “poveretti è nostro dovere aiutarli” ma programmi concreti, internazionali e non di facciata per sostenere le economie deboli dell’Africa. Non perché siamo buoni, ma perché ci conviene. E se tale convenienza coincide anche con una propensione morale, cattolica, egualitaristica che vi fa felici bene, siamo contenti per voi, ma non è quella la ragione principale. Attenzione, che questo non è cinismo; il razionalismo tende all’utilitarismo semplicemente perché, evitando pastoie ideologiche, troviamo una soluzione che ci soddisfa tutti, mentre se rimaniamo ancorati alle morali (e quindi alle ideologie) qualunque soluzione apparirà di parte (e probabilmente lo sarà davvero).

Il razionalista sceglie in base a ragioni argomentabili, sostenute da dati, da esperienze pregresse, dal parere degli specialisti nel settore, sentite le parti interessate e i loro portavoce. Tutto questo non basta per fare bene per ragioni che mi paiono ovvie: il mondo è troppo complesso, e non è riducibile a una serie di dati, un pugno di pareri, determinate esperienze. Quindi il razionalista sa per certo che, dopo avere ragionato al meglio delle possibilità, comunque sbaglierà, almeno nel senso di una risposta che è meno efficace di quanto sperava; meno sostenibile; affetta da obsolescenza rispetto al divenire dei bisogni; mille altre ragioni, tipo che Putin all’improvviso fa una guerra e chiude i rubinetti del gas, o che arriva una pandemia e impone il lockdown, o c’è la siccità del secolo e i danni sono incalcolabili… Ecco perché il razionalista verifica, valuta, monitora costantemente e corregge le politiche e i programmi. Perché il politico non è un mago che fa i trucchetti che gli devono venire per forza bene; è un uomo con delle responsabilità che agisce al meglio nel decidere, ma specialmente nel valutare l’efficacia della sua decisione. Se non è efficace, il politico razionalista cambia, modifica, corregge, e questo è un merito, un politico di questo genere merita applausi (tornando all’esempio facile del Reddito di Cittadinanza: poiché è ampiamente dimostrato che ha operato male, solo un imbecille insiste che non va modificato).

Il razionalista è umano, non è una macchina. E quindi può essere più o meno simpatico, avere storielle piccanti da nascondere, avere detto una stupidaggine una volta, essere stato poco gentile una sera, avere bevuto troppo in vacanza e così via. Finché questi “incidenti” sono isolati e scollegati alla sua vita pubblica, i razionalisti suoi pari se ne infischiano. Diverso è se l’oggetto delle sue piccantezze viene promosso a cariche pubbliche rilevanti e immeritate, se i fumi dell’alcol annebbiano la sua capacità di giudizio, se la sua ruvidezza esaspera negativamente la capacità di mediazione e dialogo. Vale a dire che il razionalista che ricopre cariche pubbliche deve essere onesto, probo, giudizioso, altrimenti la sua presunta “razionalità” non è credibile; promuovere leggi ad personam, per essere chiari, può venire giustificato in qualche modo, con artifici retorici e mezze bugie, ma è razionale solo dal punto di vista degli interessi personali del proponente. Quindi: il razionalismo di cui parliamo è collettivo; si tratta di un razionalismo che guarda al Paese, al popolo, ai migliori interessi pubblici (per quanto possibile), alla collettività (o un’ampia parte di essa), e non all’individuo e alla sua tribù.

Adesso continuate voi. Prendete i programmi elettorali dei principali partiti e fate questo gioco:

  • lasciate perdere chi vi è simpatico e antipatico (ce la farete?);
  • lasciate perdere il nonno repubblichino o partigiano; immagino che quei nonni siano passati a miglior vita e anche se potete essere orgogliosi dei vostri avi qui non parliamo della vostra genealogia ma di programmi politici;
  • lasciate stare le olgettine di Berlusconi, il principe saudita di Renzi, il Papeete di Salvini e ogni altra questione che si intromette nel vostro giudizio (qui, in realtà, sarebbe giusto tenere conto anche di tutto questo, ma andiamo per gradi);
  • leggete qualunque programma politico e osservate, punto per punto, se e come:
    • si spiega chi ne beneficerà e perché quella proposta è considerata utile;
    • si spiega dove si trovano i soldi per farlo;
    • si spiega in che modo si farà quella cosa (esempio: il famoso “milione di posti di lavoro” di berlusconiana memoria era una sparata della quale mai si spiegò in quale miracoloso modo si sarebbe raggiunto il risultato);
    • si spiega cosa e come si fa nel frattempo (in epoca di crisi energetica e desiderata transizione ecologica: benissimo dire energia rinnovabile per tutti, ma mentre si piantano pale eoliche – e ci vorranno decenni – cosa facciamo nel frattempo?).

Ciò fatto, passate a comparare i programmi. Per esempio sulla transizione ecologica tutti dicono qualche cosa, come sulla collocazione europea o sul lavoro… Chi dice baggianate? Chi promette cose irrealizzabili, senza copertura finanziaria, rese impossibili dalle crisi, dai trattati, dalle congiunture economiche? Non basta volere, desiderare, auspicare una certa soluzione (atteggiamento prepolitico) ma bisogna vederne la reale possibilità operativa, pratica, concreta.

Non possiamo uscire dall’Europa, o starci col cipiglio chiedendo di fare come ci pare col bilancio pubblico super indebitato che abbiamo. Non possiamo rinunciare al gas domani, in attesa di un futuro verde che vedranno i nostri figli (forse). Non possiamo andare in pensione presto, semmai con pensioni più ricche, con scuse fantomatiche e irreali (per esempio che andando in pensione prima liberiamo posti per i giovani, che è una fanfaluca). 

Invece possiamo migliorare la scuola e la sanità. Possiamo iniziare il faraonico progetto di transizione energetica e di sistemazione idrogeologica. Possiamo fare una legge decente per l’immigrazione. Possiamo perfino ridurre un po’ le tasse se lo facciamo in modo non  demagogico, e sostenere meglio le famiglie bisognose. Le cose da fare sono innumerevoli, e sarebbe fantastico iniziarne qualcuna davvero, qualcuna di quelle strutturali, che cambierebbero il Paese e la vita di tutti, e non bischerate mondiali realizzate per dispetto degli avversari, per accontentare il loggione becero dei peggiori elettori, per ideologia, per populismo, che sono forme di schiavitù del pensiero.