La sinistra ha perso perché è più stupida

Analisi storica dei dati elettorali

Riflessione più meditata sui risultati elettorali, dopo quella precedente, con la promessa che la chiudiamo qui. Ché non c’è poi troppo da dire e semmai, più avanti, avremo da riflettere su singoli provvedimenti, scelte, esternazioni. 

Prima un riepilogo (incredibile: siamo a martedì sera ma manca ancora una manciata di sezioni; possiamo dare comunque i risultati come definitivi; fonte per i dati):

  • Centro destra insieme: 43,79%;
  • Centro sinistra + M5S + Calenda: 49,35.

Oops, c’è forse qualcosa che non va? Se consideriamo le frattaglie, attribuendo Paragone alla destra e Unione Popolare alla sinistra (Italia Sovrana e popolare, onestamente, non saprei a chi assegnarla; tutti gli altri non vale la pena perdere tempo a conteggiarli), arriviamo a 45,69 per la destra e 50,78 per la sinistra (sì, lo so, mettere i 5 Stelle con la sinistra fa un po’ senso, ma al momento sono loro che si sono collocati lì, e a me viene comodo per imbastire un ragionamento).

Anche attribuendo tutte le altre listarelle alla destra (c’è quella di Mastella, quella di Adinolfi, ci metterei anche quella di Cateno De Luca…) vedete come, sostanzialmente, siamo vicini al 50/50.

Mentre riflettete su questo, prendiamoci la briga di vedere cosa è successo nelle elezioni precedenti, partendo dal 2018. Qui la faccenda è più complicata dal fatto che il M5S, che nell’attuale giravolta di Conte si è posizionato a sinistra, all’epoca era una formazione tumultuosa ed eversiva a mia consolidata opinione di destra, anche se l’elettorato era misto, di protestatari di destra e di sinistra. Le cose, nel 2018, andarono così (risultati Camera):

  • Centro destra + Casapound: 37,95%;
  • Centro sinistra + Liberi e Uguali + Potere al Popolo: 27,38%;
  • M5S: 32,68%.

Sì, qui lo sbilanciamento a destra è più evidente, ma si vede una tripartizione piuttosto omogenea. Per togliere dagli occhi l’abbaglio dei 5 Stelle, andiamo un po’ più indietro, alle politiche del 2013 (sempre dati Camera):

  • Centro sinistra + Rivoluzione Civile (Ingroia): 31,80%;
  • Centro destra: 29,18%;
  • M5S: 25,56%;
  • Partiti centristi: Mario Monti e alleati + Fare (Giannino): 11,68.

Portare pazienza e vediamo i risultati delle elezioni politiche 2008:

  • Centro sinistra + Sinistra Arcobaleno (Bertinotti) + Unione di Centro (Casini): 46,25;
  • Centro destra + La Destra Fiamma Tricolore: 48,24.

Infine arriviamo finalmente a Prodi: elezioni politiche del 2006:

  • Grande ammucchiata prodiana: 49,81;
  • Grande ammucchiata berlusconiana: 49,74.

Bingo! Siamo arrivati al punto.

Quello che ho cercato di mostrare è questo: L’opinione politica degli italiani è più o meno, e con lievi slittamenti, divisa a metà fra destra e sinistra (genericamente intese). Negli anni cambia pochissimo, come si vede comparando le elezioni 2006 (dove le due ammucchiate avevano messo dentro proprio tutto), con quelle di questi giorni (dove il terzo incomodo, il M5S, si è chiaramente schierato e l’ho potuto facilmente collocare in uno dei due poli). Le differenze più importanti sono entro le coalizioni (come abbiamo appena visto con la Meloni che si è mangiata gran parte di Lega e Forza Italia).

Non è facile, per le elezioni intermedie, stabilire quanta parte del M5S fosse da imputare a destra o a sinistra; se Monti, al dunque, avrebbe con più favore appoggiato la destra o la  sinistra, etc., quindi vorrei stabilire una sorta di postulato utile per il nostro ragionare. Come in ogni buona distribuzione statistica su grandi numeri, anche la propensione al voto è grosso modo divisa a metà: metà italiani sono di destra (da fascistoni a moderati) e metà di sinistra (da comunisti duri e puri a liberal-riformisti).

Sì, certo, essere fascistoni è una cosa, essere moderati un’altra; essere comunisti duri e puri è una cosa, essere liberali un’altra, accontentatevi di un ragionamento grossolano.

Dalle elezioni ai governi

(Questo paragrafo è noioso, potete arrivare subito alle sue conclusioni).

Con quelle quattro elezioni, dal 2008 a oggi, abbiamo avuto la bellezza di nove governi.

Il Prodi vincitore del 2008 durò meno di due anni perché Mastella (Udeur), Turigliatto (Rifondazione Comunista), Dini (gruppo misto, ex Margherita) e altri di quei partiti, votarono contro dopo mesi di logoramento del povero Prodi. Le ragioni del voto contrario le tralascio perché sto scrivendo un trattato di psicopatologia politica e ne parlerò lì. Prodi cade perché non riesce a tenere a bada le spinte centrifughe della sua ammucchiatona, ma non si riesce a fare un nuovo governo e si torna a votare. 

Si rivota e – se ricordate i risultati elettorali – non furono poi molto diversi ma meno “ammucchiati”. Il governo lo fa Berlusconi, che durerà tre anni e mezzo. La caduta di Berlusconi ha avuto molteplici cause ricostruite in modi diversi, dal complottismo internazionale all’incapacità di governare una situazione economica divenuta drammatica con la crisi del debito; aggiungete le manifestazioni piazza, l’ostilità del Presidente Napolitano, fatto è che Berlusconi si dimette e arriva Monti che mette una pezza finché può, poi è costretto a sua volta a dimettersi in anticipo a causa della sfiducia del popolo delle Libertà (anche qui c’era l’ammucchiatona tipica dei governi tecnici).

Nuove elezioni, 2013, la coalizione di centro sinistra ottenne più voti ma, specialmente, un numero cospicuo di seggi alla Camera (sempre a causa delle pessime leggi elettorali con le quali si vota) ma non al Senato. Per uscire dallo stallo (dovuto alla sorpresa 5 Stelle) Napolitano si inventa il governo di larghe intese di Enrico Letta, con dentro tutti, in un’ennesima ammucchiatona. Poiché vedo che vi state annoiando la faccio breve. Arriva “Enrico stai sereno”, cade Letta, arriva Renzi con un’altra ammucchiatina (senza Berlusconi ma con Angelino Alfano), che governa anche abbastanza ma va a sbattere nel referendum costituzionale del 2016, si dimette, arriva Gentiloni (sempre PD) che resiste arrivando, senza particolari slanci, a fine legislatura.

Infine, 2018, arriva il super risultato M5S che scompagina tutto, crea un tipico stallo messicano, si pesca uno sconosciuto professore e lo mette a Palazzo Chigi a dire sì prima a Salvini, che fa disastri, poi col PD, che fa disastri, e infine via, nuovo governo tecnico con Draghi e ammucchiatona fino al calcio nel sedere che ci hanno portato diritti alle ultime elezioni.

LEZIONE APPRESA: con l’ammucchiatona puoi vincere le elezioni, ma poi non governi.
SECONDA LEZIONE APPRESA: con leggi elettorali demenziali sei costretto alle ammucchiatone.
TERZA LEZIONE APPRESA: se fai disastri per decenni senza riuscire a governare, e continui a proporre leggi elettorali costruite apposta per questo, poi sorgono i populismi di massa e allora davvero non riesci a governare.

Perché questa volta hanno stravinto le destre e ci tocca un governo post fascista?

Alla luce dell’analisi e della realtà storica dell’ultimo quindicennio, credo che abbiamo le idee abbastanza chiare, almeno in ordine ad alcune questioni che riassumo:

  1. con le ammucchiate si vincono le elezioni grazie alle criminali leggi elettorali con le quali ci hanno fatto votare; ma non si governa a lungo perché le contraddizioni prima o poi (generalmente prima) scoppiano. Lo stesso succederà al governo Meloni;
  2. senza ammucchiate – è la legge del contrappasso – non si vincono le elezioni, e specialmente – sempre grazie alle criminali leggi elettorali – si prendono pochissimi seggi. Il PD, principale sconfitto di questa tornata elettorale, non ha di che lamentarsi, visto che la legge l’ha voluta e votata, e poi non ha fatto nulla per cambiarla malgrado avesse giurato di farlo su quanto è per loro più sacro (ecco perché il giuramento è stato disatteso);
  3. chi è fuori dalle ammucchiate vince, semplicemente non facendo nulla, alla successiva tornata elettorale. Per meccanismi ben noti, una parte di elettorato che vive nella dimensione prepolitica si stanca di chi governa, critica pregiudizialmente qualunque cosa faccia chi governa, e cerca alternative fra chi viene riconosciuto come “estraneo” al Palazzo. Pensate ai successi del primo Berlusconi, Renzi al 40% alle europee (Renzi il rottamatore, e quindi la novità del personaggio), il M5S e oggi la Meloni. Il parziale ma non disprezzabile successo di Calenda va inquadrato in questa riflessione: sono nuovi, sono in qualche modo diversi, non correi dei precedenti malcalzoni (almeno Calenda, Renzi è giustamente rimasto in seconda fila). Adesso nell’ammucchiata (parziale, solo di destra) c’è la Meloni e non può in alcun modo credere di confermare il suo successo nelle prossime elezioni;
  4. il PD non ha saputo scegliere fra una grande ammucchiata per battere il fascismo incombente (diceva Letta) e l’idea di andare da solo. Ha fatto un piccolo ibrido pasticciando e rendendosi poco credibile. Ha rifiutato l’alleanza coi 5 Stelle dopo avere fatto tutto e di più per governare con loro, ritenendoli stupidamente “di sinistra”, e continuando ora, mentre scrivo, a fare gli occhi dolci a Conte; ma per le elezioni no. Ha imbrogliato Calenda costringendolo a sfilarsi dall’alleanza (so che molti lettori hanno un’idea diversa su come sono andate le cose, ma secondo me sbagliano per motivi pregiudiziali) per poi lamentarsi che non c’era Calenda. Poca chiarezza e scarsa linearità di messaggi che hanno irritato gli elettori. Finale: il PD, partito stanco, ondivago, poco chiaro, gestito da tribù in lotta e con una sequela di segretari dimenticabili, vale quello, il 19-20%, che non è neppure poco per un partito così insipido. Senza la legge (da loro voluta) avrebbe avuto più seggi in Parlamento; con questa legge vale poco e va bene così. Senza linea, incerta nelle alleanze, col tira e molla verso i populisti, con la loro bella legge elettorale, con un segretario lasciato solo a fare incerti proclami, cosa si aspettavano?

La soluzione

Al di là di come andrà questa legislatura (faccio una previsione: male), il tema rimarrà sempre il medesimo: qualcuno, aggregato, vince ma non governa; cade il governo ma ci sono mille problemi e si fanno governi emergenziali o tecnici; la gente si stufa e si affida a forze millenaristiche, magiche, populiste, postfasciste che aggiungono confusione alla complessità, e si va alle elezioni anticipate. Altro gettone, altro giro.

Poiché:

  1. il popolo è grosso modo diviso a metà fra destra e sinistra, con piccole fluttuazioni;
  2. le maggiori ragioni del voto sono prepolitiche (appartenenza, stanchezza e disagio, protesta…),

l’unica soluzione – ma proprio unica, U-NI-CA – sarebbe un sistema elettorale decente, veramente democratico, che non imponga le ammucchiate acchiappa-voti e consenta la formazione di maggioranze stabili, che siano di destra o di sinistra.

Ci sono solo DUE scelte (quindi, dai, non è difficile, dalla scuola media in su sono facilmente comprensibili):

  1. Il proporzionale puro, semmai con un ragionevole sbarramento, come si faceva nella mai troppo rimpianta Prima Repubblica: ogni partito partecipa per sé, col proprio programma; ognuno prende voti in base alla percentuale nazionale raccolta; in Parlamento le forze affini (qualora nessuna abbia ottenuto la maggioranza assoluta) si accordano su un programma e governano;
  2. il maggioritario a doppio turno di collegio, che ho spiegato e commentato QUI.

Senza perdere tempo a spiegare il lungo e in largo, preciso che ciascuno di questi due sistemi ha delle pecche. Il proporzionale non ci ha evitato, nella Prima Repubblica, una lunga sequela di governi e governicchi, incluso l’iconico “governo balneare”; il voltagabbanismo, l’opportunismo e l’inciucismo regnano sovrani col proporzionale ma – e sarebbe già un vantaggio straordinario per gli elettori – senza prese in giro per gli italiani; non più accrocchi di partiti che si giurano eterno amore per carpire voti e seggi, per poi pugnalarsi con tranquillità più tardi; ogni partito ha i seggi che merita in base al libero giudizio elettorale, e fin qui c’è onestà. Poi, si sa come son fatti, dopo accade di tutto, ma alla luce del Sole.

Col maggioritario a doppio turno di collegio, invece, gli elettori hanno la possibilità di votare chi pare a loro al primo turno, e quindi di contarsi e di far valere il diritto di tribuna (dipende da come viene impostata la legge elettorale, ovvio che serve un diritto di tribuna per i partiti oltre una certa soglia di sbarramento); i due partiti maggiori, al secondo turno, si contendono la vittoria con candidati uninominali. È il questo secondo turno che agisce la riflessione politica dell’elettore (al primo turno può giocare un ruolo la prepolitica, l’appartenenza, l’indolenza o qualunque altro sentimento). Puoi scegliere il candidato A di destra o il candidato B di sinistra; scelta secca: sei un moderato di Forza Italia ma al ballottaggio sono arrivati i post fascisti della Meloni? Puoi votarla, ma puoi considerare anche il candidato moderato della sinistra… Sei un comunista duro e puro ma al ballottaggio sono arrivati i “rinnegati Kautsky” del PD? Pensaci su: è meglio votare un disprezzato riformista socialdemocratico o lasciare il campo ai post fascisti? Insomma, in questo modo l’elettore è posto davanti a scelte complesse che meritano dei ragionamenti più raffinati. Dopodiché, scontati eventuali diritti di tribuna e premi di maggioranza, chi vince governa sperabilmente per 5 anni, senza dovere fare i conti coi capricci dei Mastella e dei Turigliatto, o dei Salvini e dei Conte.

Non avremo forse un Parlamento di uomini e donne migliori; la politica dal pensiero veloce continuerà ad ammorbare i social; le formazioni politiche avranno comunque beghe interne, scissioni e altre piacevoli fonti di intrattenimento; insomma: non risolviamo i problemi. Ma un bel passo avanti si sarebbe fatto.

La legge elettorale (tutte quelle degli ultimi lustri) sono un imbroglio sistematico del sistema politico nei confronti del cittadino, e dispiace dire che il merito va alla “sinistra”, come altre terribili pensate che ha promosso o sostenuto (come la pessima riforma del titolo V del 2001, voluta e approvata a colpi di maggioranza dal governo Amato; come la recente riduzione dei parlamentari, vetta dell’imbecillità politica, voluta dai pentastellati e approvata col voto del PD, che voleva compiacere Conte definito un alleato strategico – ma pensa tu che teste!).

Lo so che per fare buona politica servono buoni cittadini, informati, consapevoli… Quindi? 

In attesa dei buoni cittadini chiediamo a gran voce un sistema di elezione di (sperabilmente) bravi rappresentanti, messi in gradi di governare senza intrighi di palazzo che allontanano gli elettori e alimentano i populismi.