È una Casamicciola

Frase desueta (ma la trovate su un buon dizionario) per significare rovina, devastazione; deriva dal grande terremoto del 1883 che distrusse completamente il paesino ischitano, che ha avuto il discutibile merito di trasformarsi da nome proprio di città a sostantivo spaventoso. Ah, ma poi l’hanno ricostruita Casamicciola, eh? Hanno costruito, ricostruito, e ri-ricostruito dappertutto su quell’isoletta sismica e franosa. Un luogo meraviglioso (potenzialmente) con  terme favolose, in un mare splendido, e lo dico da frequentatore. Se non siete mai stati a Ischia ve la descrivo brevemente: scendete dal traghetto in un porticciolo caotico e super affollato e arrivate al vostro albergo in automobile; giunti sul luogo scoprite che ogni centimetro quadrato delle strettissime e contorte stradine è occupato da automobili, a destra e a sinistra, e non sapete dove parcheggiare. Non potete starci tanto a pensare perché il traffico è continuo, fra auto, apini, autobus, commercianti etc. Salvo in poche località, come appunto Casamicciola, Sant’Angelo, Ischia ponte, non c’è modo di fare passeggiate se avete un albergo fuori dai centri abitati, perché è tutto un continuo paesaggio di alberghi e pensioni e trattorie e negozietti, sempre affacciati su strade impraticabili, dove i rari marciapiedi dissestati sono invasi da moto e auto parcheggiate come si può. Il disordine regna sovrano. Dopo molti anni di visitazione ischitana ho imparato che 1) ci si va senza automobile (la rete degli autobus, devo dire, funziona egregiamente); 2) se avete disponibilità economica vi ficcate in un bell’albergo con sette, otto, dodici piscine termali all’interno e non uscite affatto; 3) se non ne avete, allora pensioncina senza pretese vicino a uno dei completi (e costosi) stabilimenti termali e quotidianamente li raggiungete a piedi, che camminare vi fa bene.

Dopo la frana di qualche giorno fa, con un’insopportabile e ipocrita liturgia che accompagna ogni e qualunque evento luttuoso in Italia, ci si strappano i capelli, si dice “Basta!”, si minacciano sfracelli, in galera i sindaci – dice Pichetto Fratin – sequestriamo gli immobili abusivi, e altre scemenze che vanno bene dal disastro ai funerali. Vi dico io come finirà: non si farà assolutamente nulla. Se va di lusso, ci sarà qualche provvedimento eclatante di natura puntuale, simbolica, non risolutiva.

Il problema non è Ischia, naturalmente, ma tutta Italia, che è più o meno tutta sismica, franosa… Ma il problema, se insistiamo un pochino, non è l’ambiente matrigno, o il destino cinico e baro, ma con tutta evidenza l’intervento dissennato e idiota dell’uomo, che costruisce dove non deve e con criteri incerti, con torrenti e fiumi tombati a valle e non puliti a monte, dove lo spopolamento delle montagne ha privato il territorio di presidi ambientali importanti, con abusi devastanti e mai sanati (questo è stato il principale problema di Casamicciola), con perizie partigiane e manutenzioni scadenti. Il fatto è che quegli abusi, quel consumo dissennato di territorio, quella fragilità insediativa evitabilissima, non è il frutto di sindaci criminali che vogliono il male della loro popolazione, o che intascano mazzette, ma è esattamente ciò che vuole la gente. Il caso di Ischia è emblematico: una piccola isola che attrae centinaia di migliaia di turisti, che da qualche parte bisogna pure mettere (oltre 3 milioni di presenze nel 2021 – fonte – su una popolazione di circa 60.000 abitanti per l’intera isola – fonte). È come se nei due, tre mesi estivi, l’intera Roma più cittadine limitrofe, distribuita su 1.300 Kmq, si trasferisse armi e bagagli (e automobili) in uno scoglio di 47 Kmq, peraltro separata dal continente e raggiungibile solo col traghetto. È chiaro che da qualche parte bisogna ficcare tutta quella gente, che porta soldi, molti soldi, fra ospitalità, ristorazione e indotto.

Il problema non è che qualche mascalzone si è costruito la casa abusiva e nessuno se n’è accorto, ma che un’intera comunità vive della ricchezza che anche quell’abusivismo consente (27.000 abusi – tanti erano pochi anni fa – su poco più di 60.000 abitanti significa 2 o 3 per nucleo familiare, in media). Perché l’idea dell’isola termale bella e ordinata, rispettosa del paesaggio, senza scempi edilizi, avrebbe consentito l’ospitalità per un quarto delle presenze attuali; con costi, evidentemente, assai più alti e una presenza più elitaria (modello Capri, per capirsi). La gente del luogo avrebbe lavorato ugualmente, certo, ma vuoi mettere la pensioncina per chi ha meno disponibilità di reddito? E la pizzeria, che nel napoletano l’equivalenza con la pizza è d’obbligo, e la pasticceria coi babà, e l’albergo vista mare che ai turisti piace tanto, e le casette per le migliaia di camerieri, pulitori, autisti, baristi, venditori di paccottiglie, guide, gigolò? 

Il punto di rottura, quindi, è fra la pressione verso un maggiore consumo (dissennato) di territorio, per aumentare il benessere personale, familiare, locale, e una cultura del rispetto delle norme che, in Italia, è assolutamente labile. Lo è dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, sia chiaro, ma a livello popolare, spiace dirlo, è man mano più diffuso scendendo lo Stivale. Il mio piccolo abuso pare poca cosa a me medesimo: la vedo come un’occasione di miglioramento e riscatto, un mio giusto desiderio di compartecipare al grande banchetto dove tu, tu e anche tu state già ingozzandovi… E quindi: perché io no? E se devo infrangere una norma rigida, scritta da politici che stanno a Roma e non sanno nulla della fatica di vivere, chi siete voi per giudicarmi? Questa idea delle norme, leggi, regolamenti come vincoli ostili, furbizie del potere per impedire a me, proprio a me, a Claudio Bezzi, di godere qualche cosa nella mia breve vita, non è un maldestro pensiero individuale, ché se lo fosse non esisterebbe abusivismo. Diventa pensiero collettivo, cultura di massa, e i miei paesani, vicini, amici, diventano sodali e correi, perché mai al mondo penserebbero di denunciare e impedire il mio abuso, perché ciò che spinge me all’imbroglio è la medesima molla che spinge i miei vicini a fare lo stesso. Anzi: fesso chi non lo fa, fesso chi antepone le leggi astratte e inique al benessere della famiglia, dei figli.

Questo accade dovunque. Ogni anno, puntuale, frana un pezzo di Liguria, si alluviona un pezzo di Calabria, crolla per terremoto qualche cittadina del Centro Italia, e ogni volta, puntualmente, si piange e si recrimina. Ma di cosa piangiamo? Quelle case alluvionate, franate, crollate, erano abitate da gente che ha costruito dove glie lo si è fatto fare, perché così siamo fatti in Italia, a chi tocca non s’ingrugna, e quindi dai, anche questa volta è toccato a qualcun altro, noi pensiamo agli affari nostri.