rifondare la giustizia

Si è aperto un ennesimo dibattito sul giustizialismo, a partire dal discusso tema delle intercettazioni (e altri collegati) aperto dal ministro Nordio, ovviamente contestato dai manettari a 5 stelle e da settori rilevanti sia a sinistra che a destra, ovvero fra suoi colleghi di maggioranza. Se l’aspetto politico del momento sarebbe noioso da riepilogare, il tema in sé è di straordinaria importanza, direi sostanziale per la democrazia. Si levano voci estremamente critiche verso la magistratura, ma temo che il perverso intreccio fra magistrati e politici, che in questi anni – a partire dall’inchiesta di Mani pulite – ci hanno portati a questo punto, sia difficilmente scalfibile. 

Restando alle intercettazioni (che è uno dei punti rilevanti per tutto ciò che trascina), Mattia Feltri ha fatto per me la fatica di leggersi un po’ di dati, che vi trascrivo:

Secondo l’ultimo report del ministero della Giustizia, nel 2020 sono stati intercettati 106 mila bersagli, cioè 106 mila persone. La media dal 2003 al 2020 è di 120 mila all’anno, in discesa dal 2013, ma dobbiamo ricordare l’eccezionalità del 2020 per il lockdown: nel 2019 il numero di bersagli era ancora appena sopra i 120 mila. Purtroppo, nel report citato, non si fa un raffronto con altri paesi europei. L’ultimo raffronto è del 2017, quando in Italia erano stati intercettati 114 mila bersagli, in Francia 40 mila, in Germania 23 mila e in Inghilterra 3 mila. Quindi in Italia si intercetta un numero di persone quasi doppio della somma delle persone intercettate in Francia, Germania e Inghilterra messe assieme. (fonte)

Il fatto che queste intercettazioni, quindi, non siano necessarie, è piuttosto facile da sostenere in molteplici modi: la stragrande parte degli intercettati, ancorché sovente dati in pasto al pubblico con ignominia (per il solo fatto di essere incappati in un’intercettazione in qualche vago modo associabile a un reato), risulta innocente, dopo danni reputazionali consistenti; i reati di sangue, ma anche quelli finanziari (che potrebbero giustificare, a monte, l’uso delle intercettazioni a strascico) sono fra i minori in Europa, etc.

Prima di tornare alla Magistratura, devo fare un inciso di tipo etico (in realtà non è etico ma moralistico, come al solito). I “benpensanti” (solitamente gente poco raccomandabile) obiettano che se uno non ha nulla da nascondere, non ha fatto nulla di male, ha la coscienza pulita, non dovrebbe opporsi alle intercettazioni. Solo i mascalzoni devono temerle. Questa è un’argomentazione falsa in pratica (ho già segnalato i tantissimi innocenti sputtanati da magistrati indegni che passano informazioni a giornalisti ipocriti; legge infranta, scoop garantito, innocente rovinato), ma specialmente speciosa nell’argomentazione. La mia identità, la mia vita, le mie scelte quotidiane, i miei valori, con chi parlo, con chi mi vedo, quali giudizi esprimo e così via, sono fatti privati miei; il diritto alla privacy è un principio democratico fondamentale, che abbiamo perso di vista riducendolo agli stupidi consensi farlocchi quando navighiamo il web, che abbiamo svenduto sui social e nei big data, che pensiamo si riferisca alla nostra cartella clinica e poco altro, ma è – al contrario – un principio di garanzia, identità, libertà. Io devo poter vivere libero, ma la prima privazione di libertà è la sorveglianza, come ci ha doviziosamente spiegato Shoshana Zuboff (fra gli altri, in realtà il tema è antico ma, curiosamente, sempre patrimonio di minoranze).

Torniamo al tema principale. Ho letto, con piacere e stupore, la fermissima e chiara denuncia di Giuliano Cazzola, una persona che per storia personale, cultura e libertà di pensiero, solitamente esprime posizioni intelligenti. Lo stupore nasce dall’estrema crudezza, chiara ed esplicita, con la quale dice cose che anche io penso e scrivo da tempo (e che ho sommarizzato anche nel libro scritto assieme a Stefano Machera). Ve ne riporto i passi salienti:

quella della giustizia è una questione squisitamente politica: c’è un settore deviato della magistratura inquirente, che si è arrogato il diritto non di applicare le leggi, ma di abusare di un’autonomia irresponsabile e che è rivolta a riscrivere la storia del Paese secondo una narrazione ideologica. […] Oggi è sotto tiro Carlo Nordio per una certa disinvoltura espositiva nelle aule parlamentari. Nessuno però reagisce quando una persona al di sopra di ogni sospetto come Sabino Cassese, studioso, già ministro e giudice emerito della Consulta denuncia che le procure «oggi sono diventate il quarto potere dello Stato». E quindi: «La separazione delle carriere è necessaria». Nel libro ‘’Il governo dei giudici’’ Cassese scrive che la politica, ovvero governo e Parlamento, hanno aggravato la situazione con leggi che hanno ampliato all’eccesso le competenze del sistema giudiziario aumentandone non solo il carico di lavoro ma anche, di fatto, la discrezionalità. La conclusione, secondo Cassese, sta nello squilibrio del sistema. E non sarà facile rimetterlo a posto. Ma c’è molto altro: il giurista Filippo Sgubbi ne ‘’Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa. Venti tesi’’ (edito da Il Mulino), mette in evidenza la trasformazione intervenuta nel diritto e nella procedura penale, tanto da alterare le funzioni che non solo la Costituzione, ma prima ancora gli ordinamenti liberali, ripartiscono tra i diversi poteri dello Stato’’. In sostanza (si legga ‘’L’inganno’’ di Alessandro Barbano sui professionisti dell’antimafia) vi sono settori della magistratura, che, mediante uno sviamento di potere, si propongono – sono concetti espressi pubblicamente – di smontare la società e rimontarla come una costruzione di Lego. Questa è la dottrina degli ayatollah non la linea di condotta di magistrati chiamati a tutelare e preservare lo Stato di diritto. Rimuovere quest’anomalia è divenuta una questione essenziale di libertà. (grassetti miei – NdR)

Non so se Nordio avrà la capacità di andare fino in fondo; se nella sua maggioranza, o vista la natura dell’opposizione (dove i manettari non mancano, secondo la cultura repressiva tipica della destra e dei populisti), glie lo lasceranno fare; se i magistrati, qualora si vedessero in pericolo, non tenteranno reazioni anche gravi; se l’opinione pubblica comprenderà e sosterrà una riforma in tal senso.

Quello che so, quello che vedo e sento, è che la Magistratura italiana ha assunto le caratteristiche di un corpo che, come insieme, e per spinta di una sua parte, costituisce un potente e crescente pericolo per l’idea di democrazia liberale alla quale io aspiro.