A metà dicembre ’22 Ottonieri ha scritto un post in cui raccontava delle meraviglie di ChatGPT, un’intelligenza artificiale (IA) capace di fare meraviglie, che dialoga con voi come un essere umano, compone poesie e sa fare un sacco di altre belle cose. In quel post Ottonieri ricordava che qui su HR sono anni che raccontiamo come l’evoluzione dell’IA sia notoriamente destinata ad assumere ruoli sempre più importanti nella società contemporanea, mettendo in serissimo pericolo una notevole quantità di occupazioni intellettuali. Non già, non solo, lavori routinari come quelli del vecchio “impiegato di concetto” destinato a passare la vita a mettere timbri su documenti cartacei; non già, non solo, attività di media specializzazione ma routinarie, come la medicina di base; e non già, non solo, attività che noi umani abbiamo la presunzione di definire “creative”, e quindi per definizione umane, e che ci illudiamo di sapere fare solo noi, mica una stupida macchina!
Il fatto è che – al netto del dibattito attuale – il destino della nostra società è segnato. Non vi metto neppure una bibliografia del “dibattito attuale”; è già vecchio. Già le nuove generazioni di robot, le nuove IA, le nuovi soluzioni, o sono già pronte e noi non lo sappiamo, o saranno pronte domani. A cosa servirà fare i giornalisti se l’IA lo farà semplicemente meglio, in tempi incommensurabilmente più veloci e a costi prossimi allo zero? O l’avvocato?
Io mi sono occupato per una vita di ricerca sociale applicata, in particolare di analisi delle politiche pubbliche. Sono andato in giro per tutta Italia, e un pochino all’estero, per studiare gli effetti delle politiche pubbliche, allo scopo di aiutare i decisori a meglio progettarle e implementarle, capire gli effetti inattesi, rimediare e correggere, riprogettare meglio. Questo lavoro si basa su molteplici elementi: capire il problema del decisore, adattarlo al contesto, immaginare strumenti operativi di indagine (questionari, focus group…), somministrarli, analizzare i risultati, inferirne delle sintesi che aiutassero a capire cosa quella data politica avesse generato, quali conseguenze prodotte e così via.
Bene: l’ho fatto con ChatGPT.
L’ho fatto velocemente, per capire come funzionasse questa meraviglia, senza perderci troppo tempo. La Bestia è stata in grado di:
- capire il tema (definito da me in maniera ipotetica, per fare la simulazione);
- analizzare il contesto;
- definire quindi un questionario da somministrare a un campione di individui.
Qui, adesso, immaginatevi che io abbia le capacità tecnologiche per “agganciare” ChatGPT a una linea telefonica e fare quello che fanno le agenzie di sondaggi, e che le interviste le faccia in automatico l’IA con una voce artificiale (tutte cose possibilissime). Da qui ricomincia la mia simulazione, e Chat GPT è stata in grado di:
- analizzare i dati;
- farne una sintesi;
- proporre raccomandazioni finali.
Queste cose sono tutte state fatte da bene a benino. In parte io non sono stato abbastanza accurato, né avevo voglia di perderci troppo tempo. D’altra parte ChatGPT sarà presto preistoria, e lascerà il passo a sistemi di IA ben più sofisticati. Quindi… il lavoro di analista di politiche pubbliche, ma più in generale quello di ricercatore sociale, diverrà obsoleto?
Alla fine dell’esperimento ho chiesto alla Bestia quale sarà il futuro della mia professione fra pochi anni, vista la potenzialità delle sue prestazioni. Lei mi ha risposto con questa GIF:
Pure stronza.
Confrontandomi con alcuni colleghi, loro hanno cercato di immaginare il valore aggiunto umano: l’essere presenti, avere un contatto fisico, visivo, più empatico. Mi sembrano speranze autoconsolatorie. L’evoluzione evidente in questi ultimi anni mostra come il contatto umano vada costantemente diminuendo fra le relazioni sociali. Chiamiamo “amici” centinaia di individui mai visti e mai conosciuti che sputano sentenze su Facebook; ci isoliamo per paura dei virus; guardiamo film in streaming; la nostra socialità sta diminuendo, se la intendiamo come un tempo, come legami forti. L’empatia che offrirebbe un intervistatore umano, poi, può anche essere causa di imbarazzo e reticenze; l’intervistatore umano può essere inadeguato e commettere errori; i millennial sono abituati alle tecnologie e, sia chiaro, le tecnologie sono già presenti fra noi in maniera devastante. Tornando alla mia professione: da anni sono presenti software per gestire interviste via web (anche focus group e altro), e da decenni ne esistono per l’elaborazione dei dati; il risultato è che già oggi vedo una leva di ricercatori e professionisti che sono bravissimi a schiacciare tasti sul computer, e produrre risultati mediocri di cui non capiscono nulla. ChatGPT, e i suoi prossimi discendenti, perfezioneranno semplicemente una realtà già presente; ci porteranno in un luogo sulla cui strada siamo già avviati (con un risultato positivo: scompariranno i ricercatori mediocri, schiacciatori inconsapevoli di pulsanti, e avremo delle ricerche ben fatte da un robot).
A questo punto vorrei trarre una morale, o una riflessione filosofica, una sintesi umana, la mia.
Credo che le alternative siano solo due:
- in una visione fisicista e atea, l’essere umano è alla fin fine una macchina; il nostro cervello è una sorta di computer biologico, che elabora algoritmi che chiamiamo adattamenti, risposte, idee e invenzioni. La nostra specie – niente più che una macchina biologica – ha sviluppato le capacità per costruire una macchina presto più potente: una nuova specie, figlia nostra, di macchine senzienti più elaborate, più capaci. Loro saranno medici più bravi, giornalisti più bravi e analisti di politiche pubbliche più bravi. Noi, obsolete macchine biologiche, mettiamoci comodi e godiamone il frutto (Ottonieri, nell’articolo menzionato all’inizio, e in altri precedenti io assieme a lui, spiega perché invece non succederà nulla di “comodo”, e il passaggio dal dominio della specie umana a quello della nuova specie tecnologica sarà traumatico);
- in una visione diversa, religiosa (l’Uomo è immagine di Dio) o umanista, o comunque che intende rigettare la visione integrata del punto precedente, si apre una bellissima sfida. In che modo un qualunque valore intellettuale “umano” sopravviverà all’assalto del macchinismo, perché ineludibile, ineliminabile, unico? Una domanda difficilissima. Non si può rispondere “la creatività” per le ragioni già accennate. Non ha una gran forza l’argomento della compresenza umana, del calore umano, della necessità del senso fisico della relazione perché ce lo chiede l’Amigdala o quel che è. Ormai sappiamo costruire manichini che sembrano esseri umani; li sappiamo far muovere con movimenti sorprendentemente umani; e ora li sappiamo far discutere con noi con l’IA… Come in certi famosi film di fantascienza, forse io non li vedrò, ma mio nipote certamente sì, robot in tutto simili a esseri umani non sono poi più così “fantascientifici”. Quindi?
Per concludere. Noi ci stiamo stupendo per le sorprendenti capacità di un’IA che rappresenta la preistoria di quello che un’IA sarò in grado di fare da qui a un decennio. L’evoluzione è questa, la storia tecnologica è tracciata ed è una strada che abbiamo imboccato da innumerevoli anni. Lì andremo: verso un’IA con abilità sorprendenti, che staranno al passo, e supereranno, quelle umane: sapranno “pensare” (o simulare un pensiero; non è in fondo la stessa cosa?), “creare” arte, svolgere funzioni complesse, risolvere problemi, indicare soluzioni… Attenzione ora: sapranno decidere.
Il primo enorme problema è quello già da noi segnalato, di ordine economico e sociale: quando non sarà più conveniente pagare avvocati, medici, giornalisti, sociologi, ingegneri, perché l’IA farà tutto, meglio, subito e quasi gratis, cosa succederà a tutta questa gente?
Ma c’è un secondo problema, meno evidente, dalle conseguenze pratiche meno devastanti, forse, ma che è IL problema, ovvero quello del destino che assegniamo alla nostra specie. L’intelligenza artificiale che verrà, i robot che verranno, il mondo iper-tecnologico che verrà, saranno al nostro servizio? Lo saranno se avremo contezza del problema e avremo risolto l’aporia indicata sopra, ovvero se avremo capito quale sia l’elemento imprescindibile della nostra unicità umana (qui i cristiani sono ovviamente avvantaggiati, noi atei siamo più in difficoltà). In caso non ci riuscissimo, poco male: stiamo assistendo alla nascita della nuova specie dominante sul pianeta.
(Ringrazio Fabrizio e Walter per la discussione e i suggerimenti. Io sono vecchio e ormai fuori gioco, ma loro devono assolutamente rispondere a quella domanda)