Qualche giorno fa, una mia conoscenza, molto più giovane di me, ha pubblicato sulla sua bacheca Facebook un post che più o meno diceva: «A Milano alcune classi di studenti insegneranno gratis il Web ai boomer, spero che saranno in molti ad approfittarne». Ho trovato la cosa interessante, anche se non abito a Milano, e ho verificato che effettivamente, citando uno dei parecchi siti che hanno riportato questa notizia, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro «Un gruppo di studenti dell’ISS Falcone Righi di Corsico, situato nella provincia di Milano, ha lanciato un corso gratuito rivolto alle persone di età superiore ai 60 anni che desiderano apprendere l’utilizzo di internet». Usando le parole di un altro sito, «i ragazzi spiegheranno ai nonni cosa sono le App, i social network (Facebook), le chat (Skype), le email, il calendario, le mappe digitali, e li guideranno a prenotare online viaggi, fare pagamenti e ad approfondire temi come i pericoli di internet, la connettività e il portale dell’INPS». L’avvenimento non è di quelli sensazionali, e ci si potrebbe legittimamente chiedere perché mai dovrei occuparmene, se non perché a mia volta sono un ultrasessantenne; eppure, secondo me, vale la pena di rifletterci un po’.
Partiamo dall’ovvio: i ragazzi che frequentano le superiori fanno parte della cosiddetta Generazione Z, e vivono praticamente immersi nelle tecnologie digitali fin dall’infanzia. Al contrario, i boomer (termine blandamente derisorio per indicare chi è irrimediabilmente obsoleto, ma che più propriamente indicherebbe la generazione dei nati tra il 1946 e il 1964, e quindi gli ultrasessantenni a cui è destinato il corso) sono coloro che hanno avuto il primo contatto col digitale da adulti, e spesso non ci si raccapezzano, o almeno questo è implicito nello stesso chiamarli boomer.
In effetti, i dati dicono che in Italia esiste un digital divide generazionale, a danno dei più anziani; tuttavia questo divario non è così omogeneo, perché ormai non esiste (se è mai esistito) un profilo di utilizzo standard di “Internet”, bensì Internet è semplicemente una piattaforma che consente di accedere a contenuti e servizi diversissimi, e con modalità di fruizione altrettanto diverse.
Una prima fotografia dell’utilizzo di Internet è offerta da Audiweb, l’organismo dedicato alla raccolta e pubblicazione dei dati di “audience” Internet in Italia:

Già dai dati di questa infografica è abbastanza chiaro che, se il 91,5% degli italiani tra i 18 e i 74 anni accede a Internet via mobile almeno una volta al mese, il digital divide non può consistere nella conoscenza base dei primissimi rudimenti di Internet. Semmai, una distanza significativa c’è tra chi usa il computer e chi usa solo il cellulare (o il tablet), anche perché ci sono cose che solo col cellulare è difficile fare, soprattutto se si è anziani. Un elemento importante da tener presente è che, per come funziona la rilevazione Audiweb, l’utilizzo di Internet da un dispositivo mobile è rilevato anche se avviene tramite delle app, anziché da browser.
Mi pare quindi chiaro che per capire quale tipo di divario ci sia, e quindi se e come tentare di colmarlo, occorre andare più a fondo, analizzando come le diverse generazioni usino Internet. Qualche elemento lo fornisce ancora Audiweb:

In questo caso, possiamo vedere che in realtà l’utilizzo di Internet, sia come penetrazione che tutto sommato come tempo giornaliero medio è abbastanza omogeneo tra i 18 e i 64 anni (fatta eccezione per il fatto che i ragazzi fino a 24 anni trascorrono parecchio più tempo online), mentre “crolla” dai 65 anni in su.
E “come” usano questo tempo le persone appartenenti a diverse fasce di età? Nel mare magnum delle ricerche sull’argomento, ho preferito rivolgermi all’Istat. Ecco alcuni dati relativi al 2019 (ho preferito evitare quelli del 2020 in quanto potenzialmente alterati dai lockdown):

Come si vede dal grafico (specie se non siete boomer e avete ancora gli occhi buoni, altrimenti vi conviene cliccarci sopra per ingrandirlo), e come è abbastanza ovvio, la frequenza dei diversi utilizzi di Internet è molto variabile a seconda del tipo di utilizzo e della fascia di età. Per facilitare un po’ la lettura, nel grafico ho inserito i valori per le barre relative alla fascia 18-19 anni (quella dell’ultimo anno delle superiori) e 60-64 anni (i più “giovani” tra i destinatari del corso che ha ispirato questa riflessione); come si vede, tra quelli rappresentati (ne ho escluso qualcuno troppo “generazionale”, come giocare o cercare informazioni sanitarie) ci sono solo due impieghi di Internet per i quali c’è un abisso tra i ragazzi e gli “anziani”: l’uso dei Social e la pubblicazione di contenuti autoprodotti. In alcuni casi, anzi, i sessantenni non sembrano avere granché da imparare dai loro “nipotini”.
Sto quindi cercando di dimostrare che noi anzianotti conosciamo Internet come e meglio dei ragazzi? No, perché evidentemente non è vero (anche se sarebbe utile ricordare che Internet è stata creata dai boomer, e che Tim Berners-Lee è del 1955); sto cercando di dimostrare che non c’è una cosa chiamata Internet. Chi ha la mia età o qualche anno di più tende a commettere un enorme errore, ossia, appunto, pensare che Internet sia quello che era negli anni Novanta, con in più i Social Network, e che imparare a usare Internet sia imparare a usare quei servizi. Amazon è stato fondato nel 1994, eBay nel 1995, Hotmail nel 1996, PayPal nel 1999, Skype nel 2003, Facebook nel 2004, ossia quasi vent’anni fa. I ragazzi che oggi frequentano il liceo non erano ancora neanche nati. Noi ultrasessantenni, che abbiamo menti poco elastiche, rischiamo di credere che Internet sia stata una sostanziale innovazione una tantum, e che chi riesce a “salire il gradino” che consiste nell’imparare l’Internet di vent’anni fa sappia usare Internet. “Noi” poi, che negli anni Novanta eravamo già in qualche modo “a bordo”, che usiamo da sempre Facebook, Amazon, Booking, ci sentiamo già aggiornatissimi.
E invece no. L’innovazione digitale non è un evento isolato, ma un processo, e un processo che dagli anni Novanta ha subito un’enorme accelerazione, costellato anche di parziali fallimenti (vedremo come se la caverà il Metaverso di Zuck), ma inarrestabile. Ecco perché la notizia di quel corso mi ha fatto squillare un campanello: il programma del corso è sostanzialmente costituito dall’Internet di 20-30 anni fa. E, come abbiamo visto, i ragazzi di oggi quell’Internet la conoscono non particolarmente meglio dei miei coetanei; sono ad esempio disposto a scommettere che per insegnare a usare Skype come applicazione per chattare dovranno prima studiarselo, perché dubito che ci siano ragazzi che oggi usino Skype per i messaggi… e non parliamo della lezione sull’utilizzo del portale dell’INPS!
Naturalmente si può dire che i ragazzi insegneranno agli ultrasessantenni come usare i servizi adatti a loro (ammesso che sia così), e non quelli che usano i ragazzi stessi; e che chi deciderà di seguire quei corsi farà certamente parte di quella minoranza di “anziani” che quei servizi non li ha mai usati. Insomma, quel corso non è poi inutile, e comunque non era questa la conclusione a cui volevo arrivare.
La mia conclusione, invece, è che siamo collettivamente vittime di un digital divide. Anche i giovani, che caricano video su TikTok anziché scrivere su Facebook, o che usano messaggi vocali al posto delle email, o che creano sondaggi online per raccogliere dati per le loro tesi di laurea, sono imprigionati dietro una parete di cristallo. La mia generazione è quella del Web 1.0, ma anche il Web 2.0, con le sue varie ondate, è solo la punta dell’iceberg di quello che davvero è Internet oggi, ossia un universo abitato prevalentemente da dispositivi e agenti automatici più o meno intelligenti, che raccolgono e si scambiano incalcolabilmente più informazioni di quante siano visibili a noi utenti umani. Oltre a utilizzare esplicitamente e consapevolmente (alcune applicazioni di) Internet, noi interagiamo costantemente e per lo più inconsapevolmente con sistemi digitali interconnessi, che, utilizzando l’Intelligenza Artificiale di cui ormai parlo fin troppo spesso, elaborano quantità di dati per noi inconcepibili e pilotano migliaia di dispositivi che influenzano la nostra vita (in genere, per fortuna, con “buone intenzioni”) reagendo agli input in tempi per noi infinitesimali e con logiche imperscrutabili. Internet è una piattaforma pervasiva che è “dietro” praticamente a qualsiasi cosa vediamo, e anche a quelle che non vediamo, e mentre noi “studiamo” l’Internet di vent’anni fa il mondo corre velocissimo…