La vicenda, come si dice, è di quelle che sarebbero potute accadere ovunque, ma è accaduta in Italia: il noto fisico teorico Carlo Rovelli, precedentemente invitato ad tenere una lectio magistralis in occasione dell’inaugurazione della Buchmesse di Francoforte del 2024, la fiera del libro più importante d’Europa e forse del mondo, riceve una lettera da parte di Ricardo Franco Levi, nominato Commissario straordinario del Governo «per il coordinamento delle attività connesse alla partecipazione dell’Italia, quale paese d’onore». La lettera, con circonvoluzioni verbali degne del miglior Aldo Moro, informa Rovelli che il suo invito è annullato a causa del suo controverso discorso tenuto al Concerto del Primo Maggio.
Come sicuramente sapete, infatti, sul palco del concertone Rovelli ha tenuto un intervento a tema “pacifista”, all’interno del quale ha genericamente condannato la politica guerrafondaia di tanti paesi, e ha attaccato specificamente quella degli USA, del nostro Governo e del Ministro della Difesa Crosetto, di cui ha detto «è stato vicinissimo a una delle più grandi fabbriche di armi del mondo, la Leonardo, è stato presidente della federazione costruttori di armi. Il Ministero della Difesa deve servire per difenderci dalla guerra, non per fare i piazzisti di strumenti di morte». La reazione di Crosetto non si è fatta attendere: «Rovelli non sa di che parla, gli mando un abbraccio pacifico e lo invito a pranzo per fargli conoscere la persona. Io lavoro per la pace, non faccio il pacifista ma faccio il ministro. Lui faccia il fisico. Quando cambia settore compie qualche scivolone». Questa diatriba, e la prospettiva che alla Buchmesse il programmato intervento di Rovelli si incrociasse con rappresentanti politici italiani «del massimo livello istituzionale», come ipotizza la lettera di Levi, ha indotto evidentemente quest’ultimo a fare marcia indietro per cercare un rappresentante della nostra cultura meno «imbarazzante».
La questione, ovviamente (e per fortuna), non si è chiusa qui. Molti esponenti della nostra cultura e della nostra politica hanno espresso opinioni anche forti sulla decisione di Levi, e alla fine anche l’Associazione Italiana Editori, pur esprimendo «comprensione per le ragioni di prudenza istituzionale» dimostrata da Levi, gli ha espresso «l’auspicio che si possa confermare la presenza del professor Carlo Rovelli a Francoforte». Levi, confermando l’adamantina fermezza dei suoi propositi, ha accolto il suggerimento e ha informato Rovelli che poteva nuovamente considerarsi invitato alla Buchmesse, re-invito signorilmente ri-accettato dal fisico. Tutto finito con un dessert di tarallucci e vino? Forse no, perché c’è ovviamente chi chiede le dimissioni di Levi, chi comunque critica Rovelli, eccetera; ma non è di questo che vorrei ragionare.
Tornerei invece alle parole di Crosetto: «lui faccia il fisico». In effetti, non posso nascondere che quando i nostri giornali intervistano attori, cantanti, sportivi, su questioni che non hanno niente a che vedere col cinema, la musica o lo sport, io non posso fare a meno di pensare che la loro opinione sia irrilevante, e che la semplice notorietà, o anche l’eccellere in un campo specifico, non renda il pensiero di qualcuno più qualificato o interessante di quello di un qualsiasi avventore del proverbiale Bar Sport. Questo vale anche per Carlo Rovelli?
Prima di provare a rispondere, penso sia giusto chiarire due premesse, che possono o no influenzare quello che dirò:
1) da appassionato di fisica, ho una grande ammirazione per il lavoro di Rovelli in quel campo;
2) le opinioni recentemente espresse da Rovelli, in particolare sulla guerra in Ucraina, sono distantissime dalle mie.
Detto quindi quali siano i miei potenziali preconcetti, positivi o negativi, proviamo a dare una risposta sul valore e sul significato delle opinioni di Rovelli.
Il fatto è che Carlo Rovelli ha evidentemente fatto la scelta di rivestire nella nostra società il ruolo di intellettuale. Sul ruolo, oggi, dell’intellettuale abbiamo già scritto qui su Hic Rhodus, e vi inviterei a rileggere in particolare questo articolo di Claudio Bezzi, in cui si mette a confronto l’abbondanza e il valore degli intellettuali del Novecento con la penuria che ci propone il secolo in corso. Quanto a me, in un altro articolo, tentavo di definire l’intellettuale come «qualcuno che partendo da un suo patrimonio culturale è in grado di leggere e interpretare una realtà complessa e di trasmettere questa interpretazione agli altri. L’intellettuale non è uno studioso, o non semplicemente uno studioso», e constatavo la difficoltà, in Italia, di accreditare come intellettuale uno scienziato, nonostante l’importanza crescente che la cultura scientifica ha assunto. Dicevo che un umanista puro non è più in grado di capire i fatti, e lo scienziato puro ha difficoltà a capire le persone e comunicare con esse.
Carlo Rovelli ha dimostrato la volontà, e almeno teoricamente la capacità, di colmare questo divario. Non è solo un valente scienziato, ma è un apprezzatissimo divulgatore scientifico e un appassionato di cultura umanistica, in particolare di filosofia. Tornando alla domanda che ponevo prima: qual è la ragione per cui l’opinione di un Carlo Rovelli su argomenti che esulano dal suo ambito specialistico può essere rilevante?
La risposta è che un intellettuale, e Rovelli in particolare, dispone di strumenti culturali non comuni, adatti a interpretare una realtà complessa come una persona “normale” non è in grado di fare. Questo “terzo occhio”, più o meno acuto e sviluppato, è il motivo per cui un intellettuale vero e di valore è in grado di indicare ai suoi concittadini una chiave di lettura della realtà non ovvia e non stereotipata, insomma di fare giustizia alla complessità della realtà senza per questo essere elitario o incomprensibile. In nome di questo, è importante ascoltare gli intellettuali, anche quando dicono qualcosa che non ci piace; e, nello svolgere questa funzione, l’intellettuale dovrà necessariamente occuparsi di ciò che non rientra nel suo campo di specializzazione. Quella che nei confronti dell’avventore del Bar Sport è un’obiezione sacrosanta (tu di questa cosa non sai niente, occupati del tuo mestiere), rivolta a un intellettuale è irricevibile. Su questo, Crosetto ha torto. Quando Pier Paolo Pasolini pubblicò sul Corriere della Sera il famoso articolo intitolato Cos’è questo golpe? Io so, rivendicò con parole chiarissime questo “privilegio dell’intellettuale”: «Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero». A ben pensarci, poco sopra sono stato sciocco ad aver cercato di definire con parole mie quel ruolo che così orgogliosamente avocò a sé uno dei maggiori esponenti del suo tempo.
Ma c’è un ma: il privilegio dell’intellettuale ha un costo. L’intellettuale che pretenda di essere tale non può essere superficiale, sommario, populista. Non può parlare per slogan, o sfuggire all’onere di analizzare davvero le questioni su cui si esprime. Quando Carlo Rovelli definisce la Leonardo (ex Finmeccanica) una “fabbrica di armi”, abdica al suo ruolo e rinuncia a offrire a chi lo ascolta i frutti di una riflessione qualitativamente diversa da quella di un qualsiasi politico populista. La Leonardo è una delle prime aziende (non fabbriche) d’Italia, uno dei primi poli di ricerca italiani, e, anche, un’azienda strategica per la Difesa. Soprattutto, è un’azienda il cui maggiore azionista è lo Stato, e quindi averci avuto a che fare (come Senior Advisor) è per Crosetto, nella sua veste di ministro, una credenziale, non una ragione di conflitto di interessi. E, senza far qui un’esegesi del pensiero di Rovelli, non è questo l’unico caso in cui non dedica ai suoi interventi su temi civili la stessa qualità e profondità di pensiero che riserva allo studio della Fisica.
In conclusione, penso che sia utilissimo e anche eticamente apprezzabile che Carlo Rovelli voglia dedicare le sue capacità anche a svolgere un ruolo civile di intellettuale, e che tutto si debba fare tranne che cercare di ricacciarlo nel suo ambito di lavoro scientifico. Anzi, dobbiamo tutelarne il diritto alla parola, semmai esortandolo a “fare l’intellettuale” sul serio, senza sensazionalismi ma senza conformismi, e a farlo approfondendo la complessità, anziché banalizzandola. Ad arrovellarsi un po’ di più, insomma.