In Svezia un cittadino di origini siriane ha bruciato un Corano in pubblico, ampliando le distanze fra la Svezia – che vuole entrare nella NATO – e l’islamica Turchia che pone un veto per ragioni politiche, pretendendo l’estradizione di un rifugiato politico curdo. Per capire la faccenda del Corano dobbiamo partire da qui: perché la Svezia non consegna ai turchi il giornalista Bülent Kenes? Perché non ritiene il PKK (Partito dei Lavoratori Curdi) una formazione terroristica (come invece l’etichettano sia l’Unione Europea che gli USA), e quindi Kenes è – per gli svedesi – colpevole di reati d’opinione, e quindi non perseguibile (QUI per capire la vicenda).
Torniamo al Corano bruciato. L’autore è stato autorizzato a tenere una manifestazione pubblica, di fronte a una moschea, in un giorno di festa musulmana, e in seguito è stato denunciato per istigazione all’odio e per il piccolo rogo (una legge proibisce di accendere fuochi in pubblico); ma non ci sono, in Svezia, leggi per impedirti di distruggere libri da taluni ritenuti sacri (fonte). Anzi, a febbraio scorso la Suprema Corte svedese aveva annullato una decisione della polizia volta a impedire un gesto analogo, perché l’estrema laicità della Svezia non contempla come reato il bruciare Corani o Bibbie. Peccato, poi, che si è scoperto che il mandante di quel gesto (quello di febbraio) era un collaboratore del canale di propaganda russa, Russia Today (fonte), e il sospetto di una provocazione pianificata è lecito, visto che la Russia non può che essere contraria all’allargamento della NATO ai Paesi Scandinavi.
Riepiloghiamo: in Svezia si consente ai cittadini di esprimere liberamente il proprio pensiero (anche anti religioso) e di comportarsi conseguentemente (bruciare libri religiosi). Questa libertà si paga in termini diplomatici (tensioni Svezia-Turchia) e lasciando spazi a provocatori stranieri.
Cosa impariamo dal caso svedese (e altri che provengono dalle liberali, democratiche e laiche repubbliche del Nord Europa)? Che su un piatto della bilancia abbiamo inclusione, tolleranza e libertà, pagando lo scotto di chi, di tali libertà, si approfitta. Sull’altro piatto abbiamo maggiori restrizioni della libertà, controllo preventivo e sanzioni a posteriori, fino alla repressione delle libertà di opinione nei casi più gravi. Se queste ultime (repressione delle opinioni) sono tipiche dei regimi autoritari (Russia, Cina, Turchia…), il progressivo giro di vite delle libertà individuali è proprio, invece, anche delle nostre comunità occidentali, Europa e USA. Al momento l’Europa sta resistendo alla sorveglianza più estrema (mi riferisco all’AI Act sul riconoscimento facciale – fonte), ma vuoi per il terrorismo, vuoi per necessità di polizia e controspionaggio, per prevenzione o repressione, ognuno di noi è tracciato, sorvegliato, monitorato. Le tecnologie, comunque, ci sono ed evolvono in fretta; è solo questione di volontà. In Cina, come è noto, il governo stanzia cifre colossali per il riconoscimento facciale e il controllo dei suoi cittadini:
la spesa cinese per la sicurezza pubblica nell’ultimo decennio è più che raddoppiata raggiungendo i 210 miliardi di dollari nel 2020: un esborso superiore del 7% alla spesa dichiarata per la difesa. (fonte)
Il paradosso della democrazia è quindi questo: più concedi libertà più si alza la possibilità del matto, del provocatore, del sobillatore, che nel mondo globalizzato provoca danni, e danni ulteriori conseguenti ai danni. Più cerchi di contenere le conseguenze perverse dell’azione dei matti e dei provocatori, più sei costretto a imboccare la strada della riduzione delle libertà individuali.
In realtà non c’è alcun paradosso, se intendiamo ‘democrazia’ non solo come forma di governo (tutti i cittadini hanno diritti politici attivi e passivi, etc.) ma come cultura, valori, visioni del mondo e del vivere collettivo. Il punto è che la democrazia è innanzitutto educazione (educazione civica, comprensione del senso della democrazia), esempio, coltivazione del senso di responsabilità, persuasione. Se non si investe in queste dimensioni educative e culturali, il popolo cresce abbrutito, i bruti dilagano, le vittime reclamano protezione e repressione, e chi governa non trova di meglio che approvare ulteriori leggi, per lo più inutili. I liberali protestano (vedi Magi al convegno sulle droghe, contro Meloni risoluta su posizioni stupidamente repressive – fonte) ma una grande parte dell’elettorato, con la sciocca convinzione di non avere nulla da nascondere poiché onesta, applaude alla galera, alla sanzione, al giustizialismo.
Certo, il presunto paradosso della democrazia ha un ulteriore nemico nella globalizzazione, che anziché essere una succulenta promessa di prosperità si sta dimostrando un’ingrovigliata matassa di problemi, accumulatori di complessità e ulteriore ingarbugliamento. Ammesso che uno svedese degli anni ’50 avesse voluto bruciare un Corano, probabilmente la cosa sarebbe morta con un trafiletto sul Dagens Nyheter; oggi diventa virale in tempo reale; sull’incendiario abbiamo video YouTube, meme, articoli, commenti, e proprio in tale diffusione rapida sta il senso della provocazione, che non può che avere le ripercussioni internazionali già dette. Essere quindi un popolo felice, tollerante, liberale, laico e inclusivo (ammesso e non concesso che quello svedese lo sia) non basta più; anzi, diventa una debolezza al cospetto dei bulli internazionali.
La democrazia è quindi più debole? Dipende. Una piccola democrazia ai margini del pianeta probabilmente sì (la Svezia è tale: piccola e ai margini); un’unione di democrazie che si rende centrale strategicamente, economicamente, diplomaticamente, indubbiamente no, anzi il contrario. E questo sarebbe stato il ruolo dell’Unione Europea, se non avesse perso per strada il proprio senso.
