La politica come gioco di ruolo

Guardate che non lo dico come paradosso: la politica è interpretabile in maniera migliore se la leggete come un gioco di ruolo. Non solo la politica, secondo me, ma anche il lavoro, anche l’amore, insomma grandi pezzi della vita; ma qui mi occuperò solo di politica. Per capire l’analogia dovete ovviamente conoscere l’abc dei giochi di ruolo. Sulla Wikipedia trovate le spiegazioni di base che riassumo a beneficio dei pigri:

  1. in un contesto fittizio (poliziesco, fantascientifico, bellico…) i vari giocatori interpretano i diversi personaggi, ognuno con caratteristiche specifiche (buono/cattivo, con determinate abilità etc.);
  2. in generale c’è un obiettivo esplicito (salvarsi, arricchirsi, compiere una determinata missione) ma in una narrazione non definita dove i vari giocatori, con le scelte che man mano fanno, contribuiscono a definirne lo sviluppo;
  3. le regole sono stringenti per quanto attiene i risultati specifici delle varie azioni (per esempio per determinare l’esito di un combattimento) ma assolutamente lasche per il resto (per esempio decidere di combattere o fuggire).

La cosa divertente nei giochi di ruolo è l’invenzione progressiva del da farsi, la capacità di adesione a un determinato ruolo, per cui il tuo amico Peppe gioca per esempio a essere feroce e spietato e ti aspetti da lui quel dato comportamento di gioco, mentre Rosetta fa la sadica e Gigi l’altruista mentre, nella realtà della vita quotidiana, potrebbero essere assai diversi.

La vera regola del gioco di ruolo è la costruzione della strategia (possibilmente vincente) basata su due fattori: 1) la comprensione del contesto (suoi limiti e vincoli, ma anche opportunità che offre; per esempio, in un gioco fantasy, l’uso della magia); 2) la comprensione del comportamento altrui e quindi la sua previsione (per elaborare strategie di cooperazione, oppure per attaccare o fuggire…). Una bella sessione di gioco di ruolo è una sorta di recita collettiva, dove si applicano pensiero strategico, capacità opportunistica, estrema flessibilità (per esempio accettare di cooperare con chi si è combattuto fino a poco tempo prima, o viceversa) e improvvisazione. E adesso credo che molti di voi già vedano il perché dell’analogia ai comportamenti sociali, in particolare alla politica.

Erving Goffman

Nella politica ci sono persone esattamente come me e come voi (due occhi, due gambe…) che interpretano il ruolo di parlamentari e si relazionano fra loro sulla base di regole specifiche note (per esempio i regolamenti di Camera e Senato) e implicite (il linguaggio della politica, la formazione di consorterie varie…), con un mix di cooperazione e antagonismo, alla luce di strategie variabili e con finalità chiare (vincere, cos’altro?). Tutto ciò è noto ai sociologi che, col contributo essenziale di Erving Goffman e poi di molti altri, hanno da tempo analizzato la società come rappresentazione simbolica. La cosa divertente è che tutti siamo dentro tali rappresentazioni simboliche, tutti giochiamo i nostri giochi di ruolo accettando quello giocato da altri (per esempio quello dei politici) ma – se appena vi sforzate di uscire dalla rappresentazione e vedete le cose come stanno – tutto vi apparirà ridicolo. Le “mosse” del gioco di Civati, quelle di Renzi, quelle di Grillo o quelle di Giovanardi, se uscite dall’incanto del gioco, non riuscirete più a vederle come reali contrapposizioni ideali, scontri titanici di ideologie contrapposte, ma appunto come semplici mosse di una partita: per esempio il politico A dice una boiata straordinaria che prelude a scelte eclatanti; i giornali le rimbalzano e il politico B prende una posizione, il politico C s’indigna e così via… Poi il giorno dopo il politico A ritratta e dice essere tutto un equivoco (sì, vi ricorda qualcuno, lo so…); non è follia, non è confusione; è una “mossa”, utile per saggiare il terreno, far venire allo scoperto altri giocatori che non possono completamente sottrarsi perché devono aderire al proprio copione. Oppure il politico X dopo avere detto peste e corna di Y per mesi a un certo punto gli fa una proposta, costringendo Y a reagire in qualche modo (accettando o rifiutando); è un altro tipo di mossa, come quando agli scacchi si costringe l’avversario ad arroccare perché gli si minaccia il re.

Ora faccio un piccolo passo avanti e vi parlo del “dilemma del prigioniero”, che nasce come problema specifico nell’ambito della teoria dei giochi che, malgrado il nome, riguarda la costruzione di modelli matematici capaci di rappresentare situazioni sociali di conflitto e cooperazione. Il dilemma del prigioniero è molto interessante e rivelatore (una completa e accessibile spiegazione la trovate QUI). Intanto il problema, che potete trovate con diverse varianti non significative, si presenta così:

Due sospettati, A e B, sono arrestati dalla polizia. La polizia non ha prove sufficienti per trovare il colpevole e, dopo aver rinchiuso i due prigionieri in due celle diverse, interroga entrambi offrendo loro le seguenti prospettive: se uno confessa (C) e l’altro non confessa (NC) chi non ha confessato sconterà 10 anni di detenzione mentre l’altro sarà libero; se entrambi non confesseranno, allora la polizia li condannerà ad un solo anno di carcere; se, invece, confesseranno entrambi la pena da scontare sarà pari a 5 anni di carcere. Ogni prigioniero può riflettere sulla strategia da scegliere tra, appunto, confessare o non confessare. In ogni caso, nessuno dei due prigionieri potrà conoscere la scelta fatta dall’altro prigioniero.

Per varie ragioni che salto, e che voi potete approfondire seguendo il link precedente, accade questo: se il numero di interazioni – diversamente dal classico dilemma del prigioniero – è molto ampio, la strategia che si è dimostrata migliore è quella chiamata Tit for Tat (colpo su colpo), per cui io coopero con te finché non mi tradisci, ma se ci provi lo farò subito anch’io, per tornare a cooperare quando lo farai tu. Questa strategia funziona solo per infinite interazioni, o comunque in numero alto, perché se uno dei giocatori sa che la partita sta terminando, e che sta giocando le ultime interazioni, può cercare di tradire (massimizzando i profitti) senza incorrere nelle vendette degli altri.

C’è bisogno di trasferire esplicitamente tutto questo nell’area politica reale? I nostri giocatori sono in numero assai più elevato di quelli del dilemma del prigioniero (tanti partiti, con le loro componenti e individualità), e le condizioni di gioco sono incerte (per capirci: Renzi durerà altri quattro anni o cadrà fra pochi mesi?). Tutto questo complessifica il gioco e lo rende meno modellizzabile; intendo dire che assomiglia più ai giochi di ruolo visti all’inizio (più aperti negli sviluppi). Ma alla fine di questo si tratta: di un gioco. Il fatto che molta parte delle nostre vite dipenda da questo “gioco” non deve sconvolgerci più di tanto, visto che anche noi ne siamo parte, sia pure con ruoli più modesti.

Il fatto di comprendere la natura di gioco delle interazioni sociali, come la politica, consente un enorme vantaggio: quello della razionalizzazione disillusa, della comprensione (o del suo tentativo) privo di coinvolgimento emotivo, ideologico. E quindi con maggiore probabilità di concorrere alla vittoria (visto che è un gioco); la vittoria, per un cittadino, riguarda semplicemente il fatto che si concorre a far vincere una parte politica con un programma sociale ed economico più efficace, leggendo la situazione al netto delle scorie tattiche, degli involucri narrativi orpellosi “recitati” in quanto parti essenziali dei personaggi in campo. Leggere la carriera politica ventennale di Berlusconi come una lucida e assai adattabile strategia per massimizzare i suoi vantaggi ci aiuta a prevederne le prossime mosse; leggere il pirotecnico funambolismo di Grillo come una lucida strategia e non come idealismo romantico ci aiuta a capire le trappole insite in alcune sue mosse; e così via.

La prossima volta che vi sentirete sorpresi da Renzi, abbagliati da Vendola o arrabbiati da Salvini, provate a pensare a ciò che hanno fatto, o detto, come a mosse di un gioco; ragionate quindi su quale sia il gioco; estraniatevi dagli aspetti umorali, passionali e da altre scorie analoghe; preparatevi quindi a fare la vostra mossa.

Nei giochi di ruolo, come sa bene chi li pratica, vince sempre chi è più lucido, chi ha più capacità psicologica nello studiare i caratteri degli avversari sfruttandone le debolezze, chi è più opportunista. Non facciamo i polli, non lasciamoci fregare.