Venerdì 31 ottobre l’ISTAT ha emesso un comunicato stampa dal titolo Occupati e disoccupati. Da subito stampa, web e social network rilanciano la notizia con tanto di dichiarazioni da parte dei maggiori protagonisti della vita pubblica italiana. È giusto, perché il lavoro attraversa davvero un gran brutto momento e siamo nel sesto anno di una grave crisi economica che impoverisce il paese e frustra le speranze e i sogni dei più giovani. Va sottolineato tra l’altro che le principali variabili connesse all’attività lavorativa sono state oggetto di rilevazione fin dal Censimento generale della popolazione del 1861.
Il comunicato ci dice che nel mese di settembre gli occupati “sono in aumento dello 0,4% rispetto al mese precedente (+82mila) e dello 0,6% su base annua (+130mila)”. Allo stesso tempo ci viene comunicato che crescono i disoccupati “dell’1.5% rispetto al mese precedente (+48mila) e dell’1,8% su base annua (+58mila)”. Il risultato è che cresce sia il tasso di occupazione che il tasso di disoccupazione (!). E a questo punto uno rischia di stramazzare al suolo oppure di pensare che all’ISTAT non sanno far di conto o non sanno buttar giù un comunicato stampa.
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi prende la palla al balzo ed affida ad un tweet le sue idee affermando che questi dati confortano l’azione del suo governo e si intesta la creazione di 82mila posti di lavoro in un solo mese e più 150 mila da aprile a settembre. Naturalmente la CGIL non ci sta e richiama tutti al realismo dicendo che i disoccupati sono aumentati e ricorda a tutti che è aumentato il tasso di disoccupazione, che ha raggiunto la cifra record del 12,6%. Entrambe hanno le loro ragioni e i loro torti, ma in questo caso ci sembra che a sbagliare di meno sia il Presidente del Consiglio. Il contraddittorio tra Matteo Renzi e la CGIL ci fa comodo perché la “guerra dei mondi”, che ha polarizzato l’opinione pubblica nei giorni passati (soprattutto in occasione della mobilitazione del più grande sindacato italiano a Roma il 25 ottobre), ci viene in soccorso per capire come i pregiudizi e/o la propaganda possano inquinare quasi irrimediabilmente i pozzi del dibattito pubblico.
Tutti naturalmente dimenticano il sottotitolo del comunicato stampa (“dati provvisori”), ma evidentemente questo si deve alla fiducia che il mondo politico ed istituzionale ripone nell’ISTAT (a mio giudizio, tra l’altro, ben riposta). Tutti ignorano che questi dati provengono da una rilevazione campionaria, che come tale è suscettibile di errore (campionario e non). Tutti rifiutano la realtà complessa con cui dobbiamo fare i conti e si abbandonano alla semplificazione necessaria a comunicare ognuno con il proprio “mondo” di riferimento.
La realtà è che sono aumentati sia gli occupati che i disoccupati e questo può accadere perché per rientrare i queste definizioni l’ISTAT ci chiede se noi stiamo realmente cercando un lavoro. Se stiamo a casa e non cerchiamo un’occupazione siamo esclusi dal conto delle forze di lavoro e non saremo conteggiati né tra gli occupati né tra i disoccupati. Facciamo l’esempio di un’economia in cui cento individui siano in età da lavoro (la popolazione attiva, quelli tra i 15 e i 64 anni) e solo una persona è occupata perché agli altri non interessa lavorare (bella schifezza di economia non c’è che dire!); si avrebbe allora un tasso di disoccupazione (disoccupati/forze di lavoro) pari allo 0% (0/1) e un tasso di occupazione (occupati/popolazione attiva) pari all’1% (1/100). Se nella stessa economia uno si alza dalla poltrona e va a cercare lavoro ma non lo trova la disoccupazione passa al 50% (1/2, la metà di chi cerca lavoro non lo trova), mentre il tasso di occupazione resta costante al livello dell’1%.
A settembre l’ISTAT ha quindi registrato un incremento di coloro che cercano lavoro, tra questi alcuni l’hanno trovato ed altri no. Questo ha prodotto un aumento sia del tasso di disoccupazione (male) che del tasso di occupazione (bene). L’aumento del tasso di occupazione è un segnale molto positivo, ricordiamo che la strategia di Lisbona aveva tra i suoi principali obiettivi proprio il tasso di occupazione (un irraggiungibile 70%). È però un errore quello di sottovalutare il tasso di disoccupazione, che è l’indicatore di funzionamento del mercato del lavoro più comunemente utilizzato, perché ad ognuno di noi alla fine interessa sapere qual è la probabilità di trovare lavoro se lo cerca. E davvero è arduo capire quali sono le ragioni che spingono qualcuno che non cercava lavoro a cercarlo di nuovo (il mercato del lavoro è più vivace o la pensione di mamma e papà non basta più?). Inoltre va considerato che una persona è definita come occupata se, nella settimana di riferimento in cui viene effettuata l’intervista dell’ISTAT, ha svolto almeno un’ora di lavoro retribuito. Quindi, sulla qualità dei nuovi posti di lavoro possiamo sapere davvero poco (almeno per il momento).
Quelli che ne sanno più di noi mettono insieme l’aumento degli occupati con i dati negativi del PIL e avvertono che il tutto porta a un quadro di peggioramento della produttività del sistema (produrre la stessa ricchezza con più lavoratori non è proprio il massimo!). Per Sergio de Nardis, Capo Economista di Nomisma, questo è proprio quello che è avvenuto. Per gli economisti la crescita economica senza nuovi posti di lavoro è male, ma la crescita di posti di lavoro senza produzione di nuova ricchezza è peggio.
Ma questo per il dibattito pubblico nostrano sarebbe veramente troppo, e se volete addentrarvi in una specie di Paese delle Meraviglie in cui ogni cosa nasconde all’interno il suo doppio, benvenuti nello studio dell’economia!
Contributo scritto per Hic Rhodus da Paolo Eusebi Statistico, lavora per la Direzione Salute della Regione Umbria e il Dipartimento di Medicina dell’Università di Perugia. Appassionato di scienze della vita, economia e politica.