Nello scorso giugno, il nostro Primo Ministro Matteo Renzi è stato in visita ufficiale in Cina, e in quell’occasione è stata definita una serie di accordi bilaterali soprattutto relativamente a collaborazioni industriali e commerciali, ed è stato adottato un “Piano d’azione triennale per il rafforzamento della cooperazione economica tra Italia e Cina”. A ottobre, il Primo Ministro cinese Li Keqiang ha restituito la visita, confermando i buoni rapporti tra Cina e Italia, e va detto che il 2014 ha visto un’impennata degli investimenti cinesi in Italia. Tutto bene quindi? Vediamo.
Innanzitutto, partiamo dai dati che evidenziano quest’impennata: secondo il Financial Times, nella prima parte del 2014 l’Italia è stata la prima destinazione di investimenti cinesi in Europa, raccogliendo quasi quanto il totale di tutti gli anni precedenti (v. il grafico qui sotto, ricavato dal sito della Heritage Foundation):

Questo andamento inverte decisamente la situazione che vedeva, fino al 2012, l’Italia come una delle destinazioni meno rilevanti degli investimenti esteri della Cina: il dettagliato rapporto Chinese Investment in Europe della KPMG, che pur pubblicato nel 2014 utilizza dati aggiornati appunto fino al 2012, vedeva l’Italia molto lontana rispetto a Francia, UK e Germania (un caso a parte era costituito dal Lussemburgo, per ovvie ragioni). Quindi, il 2013 e ancor più il 2014 hanno segnato una svolta, ponendo l’Italia al centro delle strategie di investimento dei cinesi.
Molto bene, verrebbe da dire: nonostante la crisi, l’Italia è dunque riuscita ad attrarre capitali da uno dei paesi che in questo momento hanno la maggiore capacità di investimento. Un risultato positivo anche della politica, dunque, perché negli ultimi anni gli sforzi dei nostri governi per incentivare gli investimenti cinesi sono stati notevoli; ma siamo proprio certi che sia tutto oro lo Yuan che luccica? Proviamo a guardare un po’ più da vicino.
In primo luogo: qual è la strategia in base alla quale la Cina investe in Italia? Quali asset sono stati acquisiti dai cinesi nel 2014?
Un settore privilegiato dalle attenzioni cinesi è sicuramente l’Energia: la Banca Popolare Cinese ha acquistato circa il 2% di Eni ed Enel, mentre lo Shanghai Electric Group ha acquistato il 40% di Ansaldo Energia. L’operazione più rilevante, comunque, è sicuramente stata l’acquisto per 2,1 miliardi di Euro da parte di China State Grid del 35% di CdP Reti, che controlla Terna e Snam, in pratica le reti energetiche del nostro paese.
Altri investimenti, molto più modesti ma non insignificanti, sono stati destinati al settore del lusso: Krizia è stata comprata dalla Shenzhen Marisfrolg Fashion, mentre altri operatori cinesi hanno acquistato partecipazioni in Salvatore Ferragamo e in Ferretti Yacht.
Infine, i cinesi hanno fatto shopping anche nelle nostre aziende di maggiori dimensioni quotate in Borsa. Sempre la Banca Popolare Cinese ha acquistato il 2% di Generali, Fiat-Chrysler, Mediobanca, Telecom Italia. Grossi calibri, come vedete.
A questo punto possiamo tornare alla domanda iniziale: questi investimenti sono una buona notizia per l’Italia?
Io ne dubito. Certo, chi ha venduto ha fatto “cassa”, in un periodo in cui trovare acquirenti non è facile; peraltro, spesso a vendere è lo Stato italiano, e quasi sempre a comprare è un soggetto pubblico cinese come la Banca Popolare. Insomma, qui non si tratta di imprenditori cinesi che puntano sull’Italia per sviluppare i loro affari: è la Cina che compra pezzi di infrastrutture o di imprese strategiche italiane. Dato che ad acquistare è un soggetto pubblico, mi pare difficile che si creino sinergie industriali: i cinesi trovano modo di comprare asset strategici a prezzi resi decisamente convenienti dalla crisi, ma questi investimenti non generano sviluppo e ricchezza, semmai permettono al nostro Governo di finanziare un altro po’ di spesa pubblica corrente, visto che di diminuire lo stock del debito non se ne parla proprio. D’altronde, alcuni analisti prevedono che nell’arco dei prossimi dieci anni l’Europa attirerà mille miliardi di dollari di investimenti dal resto del mondo destinati alle proprie infrastrutture, provocando inevitabilmente una crescita dei prezzi: i cinesi stanno anticipando questo trend.
Insomma, se proprio vogliamo leggere ottimisticamente questi movimenti, possiamo dire che sono indicativi del fatto che i cinesi, tradizionalmente abili strateghi, trovano interessante puntare qualche sostanziosa fiche sull’Italia; ma non me la sento di considerare questi investimenti alla stregua, poniamo, di aziende straniere che aprissero delle filiali o finanziassero delle startup in Italia. Quello sarebbe un investimento produttivo, queste operazioni invece sono una mezza svendita di beni non replicabili in settori strategici, ceduti a un paese che non possiamo certo considerare al di sopra di ogni rischio.
Infine, un’ultima annotazione: se siete osservatori, avrete notato che molte partecipazioni azionarie acquisite dai cinesi sono del 2% (in realtà appena più del 2%). Non è un caso: il 2% è la soglia sopra la quale la partecipazione deve essere dichiarata alla Consob: i cinesi hanno volutamente fatto in modo da essere obbligati a rendere pubblici questi acquisti. Anche qui, se vogliamo essere ottimisti, possiamo dire che si tratta di un modo per chiarire che queste operazioni non sono ostili e sono volutamente fatte alla luce del sole. Oppure, possiamo pensare che i cinesi vogliano che noi sappiamo…