Expo sì, Expo no

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I deficienti neri di Milano hanno fatto un gigantesco piacere a quel potere capitalistico che dicono di voler combattere oscurando completamente le ragioni dei No Expo. Alla luce delle mie ultime conclusioni sul diritto di tribuna delle minoranze antagoniste propongo qui le ragioni del No Expo per indicare poi quelle del Sì Expo. È bene chiarire che entrambe queste categorie di ragioni le traggo da siti e documenti altrui (che come al solito citerò) mentre le sole conclusioni finali sono mie opinioni.

Il sito di riferimento per iniziare è NoExpo.org dal quale traggo questa sintesi che cerco di proporre nella maniera più neutrale possibile eliminando elementi dogmatici che potrebbero essere oggetto di facili critiche. Per la rete di animatori del comitato No Expo le ragioni contrarie sono così riassumibili:

  • Expo 2015 non contesta in alcun modo le politiche mondiali su cibo e acqua, politiche che impoveriscono i contadini del Sud del mondo, impongono modelli di coltivazione dannosi, OGM, monocolture etc.;
  • queste manifestazioni sono disastri economico-ambientali per i territori che le ospitano;
  • Expo 2015 ha favorito la speculazione edilizia, premiato i proprietari dei terreni sui quali si sono costruiti i padiglioni, trasferito in maniera non democratica ingenti capitali pubblici nelle tasche di privati;
  • nessun reale incremento di posti di lavoro se non quello nero, precario e sottopagato;
  • Expo lascerà un debito pubblico ingente in epoca di crisi.

Segnalo la profonda differenza fra il primo di questi punti, a valenza generale, di critica della politica economica globale, da tutti gli altri che riguardano elementi – pur gravi – di cattiva politica locale ed eventuale malaffare. Una buona parte di critici No Expo, per come da me rintracciati in Rete, pur segnalando l’insieme di questi punti pongono molto l’accento sugli ultimi, mentre il primo resta per lo più sullo sfondo; evito la carrellata di citazioni (un giro su Internet vi farà trovare quello che cercate) salvo quella di Luca Franceschini, politicamente interessante e ben argomentata, che trovate su YouTube e vi ripropongo qui di seguito; dura una ventina di minuti ma vale la pena ascoltarlo.

L’estrema sintesi di Franceschini (dal minuto 19.00 del video) è questa:

stiamo generando debito pubblico per profitti privati con l’obiettivo di costruire cemento e col risultato, sui territori, di avere devastazioni, nocività e una rinnovata precarietà in termini di opportunità occupazionali e, nella casse comunali, tutte le condizioni per mettere a rischio di default la macchina comunale milanese.

A favore dell’Expo diversi commentatori controbattono ai punti visti sopra sostanzialmente in questo modo:

  • lavoro precario: sì, vero, ma data la crisi e la temporaneità dell’evento non poteva essere molto diverso;
  • malaffare negli appalti: molta vigilanza è stata fatta, molte interdittive sono state emesse dalla Prefettura e comunque non si può evitare un’opera perché si teme l’infiltrazione mafiosa, questo sarebbe una resa;
  • il debito lo si vedrà a suo tempo; tra sponsorizzazioni e partnership sono stati comunque già raccolti 370 milioni (50 a Shanghai 2010 e 180 preventivati per Dubai 2020. Fonte);
  • la lotta alle politiche agricole mondiali affamatrici sono state, in minima parte e per alcuni ipocritamente, bilanciate dalla presenza in Expo di Fondazione Triulza o dall’azione del Comitato per l’Expo dei Popoli che avrà un importante appuntamento a Milano fra un mese.

Fino qui sembrano, onestamente, più pannicelli caldi che vere e proprie argomentazioni contrarie. Fermi restando alcuni importanti argomenti sui quali tornerò, un argomento dirimente, quello economico, può essere analizzato alla luce di uno studio abbastanza recente della Camera di Commercio Lombarda dal titolo L’indotto di Expo 2015.

L’impatto economico di Expo 2015 sull’economia lombarda e nazionale nello studio della Camera di Commercio Lombarda è piuttosto rigoroso sul piano metodologico e include molteplici fattori solo in parte considerati dai detrattori, come per esempio il beneficio turistico complessivo, la permanenza di imprenditoria anche nuova sul territorio, i benefici immobiliari differiti, gli investimenti esteri e molto altro, fattori di cui si sono stimati gli impatti a partire da fonti solide. La conclusione è la seguente:

La produzione aggiuntiva che l’evento Expo potrà generare tra il 2012 e il 2020 è stimata pari a €23,6 Miliardi. Tale valore corrisponde allo 0,8% della produzione totale nazionale (stimata pari, nel 2012, a circa €3.100 Miliardi). Di questi €23,6 Miliardi, €3,2 Miliardi saranno dovuti all’impatto diretto, €14,2 Miliardi all’impatto indiretto e indotto (che comprende tutti gli effetti dei flussi turistici determinati da Expo) ed €6,2 Miliardi saranno determinati dalla legacy dell’evento […]. L’incremento di valore aggiunto è stimato pari a circa €10 Miliardi (con una percentuale sul PIL pari allo 0,7%, la cui distribuzione per tipo di impatto è abbastanza simile a quella vista per la produzione).

Anche il profilo occupazionale risulterebbe positivo:

Sotto l’aspetto occupazionale, si stima un volume totale di occupazione attivata pari a 191 mila unità di lavoro annue. […] per unità di lavoro si intende l’impiego di un lavoratore a tempo pieno per un anno, pertanto non è assimilabile al concetto di “posto di lavoro”, che, pur non essendo precisamente definito, rende l’idea di una posizione lavorativa stabile. In questa ottica, un lavoratore che trovasse impiego all’inizio del 2013 e continuasse a lavorare stabilmente e a tempo pieno (anche se in differenti imprese) fino al 2020 corrisponderebbe a 8 unità di lavoro annue. L’impatto diretto contribuirà per 30mila unità di lavoro, di cui 12.300 dagli investimenti di Expo 2015 S.p.A., 8.200 dai costi di gestione e 9.400 dagli investimenti dei paesi partecipanti. L’impatto indiretto determinerà un volume di lavoro di 114mila unità, di cui 73.700 dai flussi turistici e circa 40mila dagli effetti indiretti e indotti degli investimenti e dei costi di gestione. Dalla legacy deriverà un’attivazione pari a 47mila unità di lavoro, tra cui l’incremento degli IDE porterà 16.300 unità, le nuove imprese 12.400, l’accresciuto flusso di turisti e congressisti 10.200 e la valorizzazione del patrimonio immobiliare altri 8.300.

Lo studio prosegue con molte analisi interessanti sui periodi di ricaduta di questi benefici (solo in parte prima e durante l’Expo), sui territori (non solo Lombardia) e così via.

Anche se uno studio d’impatto economico come questo si basa su modelli e dati privi di assoluta certezza, e i conti si potranno fare solo fra diversi anni, non c’è motivo per non partire da qui per qualunque vera analisi, critica o positiva. È un ovvio fondamento di qualunque previsione sociale ed economica utilizzare fonti verificate, applicare metodi e modelli ritenuti metodologicamente solidi dalle rispettive comunità scientifiche e quindi sottoporsi a successiva revisione critica; in ogni caso questo approccio è il contrario del mero parere ideologico, del sospetto un po’ nichilista, del luogo comune. Potremmo quindi sperare, con una qualche ragione, che i benefici economici dell’Expo siano interessanti e valevoli. Resta però un’ampia gamma di problematiche, sottolineate a volte ingenuamente dai No Expo, che non trovano risposta nell’eventuale successo economico della manifestazione.

Alcune ragioni No Expo che non hanno una risposta soddisfacente:

  • tutti gli elementi sociali, morali e politici che possiamo ritenere disdicevoli se non dannosi; attorno al lavoro nero o precario nei cantieri prima e nei padiglioni ora non ce la si può cavare con battute sui giovani che non hanno voglia di lavorare; sugli affari non sempre leciti attorno a Expo è già dovuta intervenire la Magistratura e che ci siano aree di poca trasparenza che potrebbero avere favorito in maniera non limpida alcuni “amici” appare più di una mera ipotesi, e non fosse altro che per decennali storie di furbetti e capitani coraggiosi almeno uno sguardo democraticamente attento io lo manterrei;
  • le esternalizzazioni dei problemi, dagli attori degli affari alla collettività circostante è sostanzialmente una costante ormai inaccettabile; la massiccia cementificazione causata da Expo era inevitabile? A chi è andata a favore? Chi danneggia? In questo caso il danneggiato potrebbe essere un’astratta collettività intangibile (insomma: né io né i miei lettori abbiamo perso un Euro per questa cementificazione) ma il livello di consumo di suolo nel nostro paese è arrivato a livelli di guardia e occorre velocemente pensare a nuovi modelli di sviluppo;
  • i soldi pubblici spesi – come sostengono i No Expo – potrebbero essere un problema considerevole ma non nel senso da loro indicato. In generale va benissimo che il pubblico spenda in infrastrutture e servizi per la collettività; si chiama investimento, sviluppo, anche se i primi beneficiari fossero imprenditori che, sulla base di tali opportunità, investono a loro volta, creano occupazione e reddito. Il problema nasce se l’investimento, per di più massiccio, fosse finalizzato a speculazioni improduttive, al beneficio di individui e lobby in grado di ripagare politicamente.

L’azione democratica come cittadini è quella di vigilare. Senza il pregiudizio positivo instillato (ovviamente) dagli organi preposti, che qualunque cosa pensino e sappiano devono sostenere lo spot promozionale, e senza il pregiudizio negativo derivato da deficienti di Milano e da “antagonisti” dal corto pensiero che rischiano – diciamo così – di farci parteggiare forzosamente per Expo (non parlerò dei fatti di Milano del 1° Maggio; chi fosse interessato può leggere l’interessante riflessione di Christian Raimo, Non elogiate la depressione. Riflessioni a margine della manifestazione No Expo, “Minima & Moralia”).

Un’ultima cosa per concludere; bene o male, con attenzione alle politiche agricole eque oppure no, tenendosi anche la Coca Cola e McDonald’s come sponsor, tutto quello che volete: l’Expo c’è. È lì e deve funzionare. Devono venire i 20 milioni di turisti attesi; deve dare sviluppo economico; deve rilanciare l’economia e l’occupazione; qualcosa, deve fare qualcosa di buono! Fare il tifo perché vada male e poter poi scrivere su Facebook “Lo dicevamo noi che era uno schifo!” è da stupidi e vili. Approfittiamo invece dell’occasione per ragionare sui meccanismi degli appalti pubblici; sul format di questi eventi e il consumo di suolo; sulla realtà pesantissima delle politiche agricole nel mondo, perché non occorre essere “antagonisti” per sapere che così non funzionano, creano diseguaglianze e fame. Insomma: non lasciamoci scivolare l’Expo sulle spalle parteggiando per i Sì Expo, per i No Expo o più probabilmente per i Boh Expo, senza avere cercato di comprendere qualcosa di più.