di Lee Smith
Hic Rhodus offre ai lettori un punto di vista particolare, quello degli ebrei americani più critici verso l’Amministrazione Obama, sui rapporti fra Stati Uniti e Turchia nell’ambito della crisi mediorientale. La proposta di questa, come di altre future traduzioni, non significa una necessaria condivisione della redazione di Hic Rhodus sulle molteplici questioni trattate e sui giudizi espressi dall’autore.
Questo articolo è riprodotto da Tablet Magazine, “Tablemag.com”, la rivista online di notizie ebraiche, idee e cultura, col permesso dell’editore. Traduzione, note e suggerimenti finali per ulteriori letture sono a cura di Hic Rhodus.
E passato il Giorno del Ringraziamento (1), e quindi vale la pena di ricordare che la Turchia, sotto la direzione di Recep Tayyip Erdogan, ex primo ministro di questo paese e ora suo presidente, ha apparentemente perso la testa. Erdogan, un demagogo orgogliosamente islamista, pensa che i musulmani abbiano scoperto l’America secoli prima dell’arrivo di Colombo. Inoltre, ha costruito un palazzo presidenziale quattro volte le dimensioni di Versailles e 30 volte quelle della Casa Bianca.
In Erdogan l’eccessivo e irruento senso della propria importanza sottolinea sia l’entità che l’origine del problema turco per l’America: l’amministrazione Obama, così come quella di Bush prima, non è riuscita a ridimensionarlo. Gli effetti dell’aver trattato Erdogan come una persona ragionevole mentre è chiaramente irresponsabile sono ricaduti sul popolo turco, che ha visto la sua democrazia ridotta in autocrazia e il suo miracolo economico trasformarsi in una prigione oligarchica costruita su enormi montagne di debiti.
Un tipico obiettivo delle forzature politiche di Erdogan è Israele. E per come vanno le cose a sud della Turchia non sorprende che il leader turco si sia spostato dalle parole ai fatti. La scorsa settimana le autorità israeliane hanno catturato in Cisgiordania una cellula di Hamas che stava tramando diverse importanti operazioni, tra cui un attacco contro il Teddy Kollek Stadium di Gerusalemme. La cellula di Hamas prende ordini dal comandante di Hamas Saleh al-Arouri, che vive apertamente in Turchia sotto l’apparente protezione di Erdogan.
I funzionari israeliani sono furiosi con Ankara. Sono contrariati sia dagli Stati Uniti che dalla NATO in merito all’ospitalità turca di Arouri, che con orgoglio ha rivendicato la responsabilità per il rapimento e l’omicidio dei tre studenti israeliani di questa estate che ha portato alla guerra di 40 giorni con Hamas a Gaza.
Ankara ha formalmente negato le accuse israeliane: “La Turchia mantiene il dialogo con Hamas,” ha detto un funzionario turco forse riferendosi alla presenza palese di Arouri nella capitale della Turchia, “ma non sarebbe in nessun caso consentito a un gruppo terroristico di operare dal suo territorio”. Questa non è la verità, dicono funzionari degli Stati Uniti meno preoccupati di Hamas rispetto a organizzazioni terroristiche straniere che combattono in Siria. La Casa Bianca ha accusato i turchi di lasciar tranquillamente transitare terroristi provenienti sia dallo Stato Islamico [ISIS] che da Jabhat al-Nusra (2). Quindi, perché non anche Hamas?
Come hanno fatto gli Stati Uniti a lasciarsi così coinvolgere con un personaggio tanto instabile e pericoloso? Il presidente Barack Obama una volta indicò Erdogan come il suo amico più stretto tra i leader stranieri, ma nessuno può dichiararsi sorpreso in merito al fatto che il premier turco sia un tipo pericoloso. Erdogan ha un forte pregiudizio anti-israeliano e forse antisemita, e non può trattenersi dall’insultare rivali interni e attori stranieri, amici e nemici. I funzionari degli Stati Uniti hanno conosciuto fin dall’inizio del suo primo mandato come Primo Ministro nel 2003, che tanto Erdogan che il partito per la Giustizia e lo Sviluppo da lui fondato avrebbero probabilmente costituito un grosso problema per gli interessi degli Stati Uniti.
Come scrisse l’allora Ambasciatore USA ad Ankara Eric Edelman in un cablogramma del Gennaio 2004: “Erdogan ha caratteristiche che lo rendono seriamente disponibile a mal valutare la dinamica politica, soprattutto quella estera … [il suo] percorso solitario e autoritario … impedisce la crescita di un circolo di consiglieri forti e abili, un ampio flusso di nuove informazioni verso di sè, lo sviluppo di comunicazioni efficaci tra la sede del partito, del governo e il gruppo parlamentare”.
Ciò nonostante la Casa Bianca ha spesso elogiato il governo di Giustizia e Sviluppo come un faro di democrazia islamista. L’amministrazione Bush ha anche invitato Erdogan a mediare nei colloqui di pace del 2008 tra la Siria e Israele. A quel tempo, l’allora primo ministro israeliano Ehud Olmert si è distinto per aver offerto di restituire le alture del Golan a Damasco, una decisione che, alla luce della guerra civile siriana, si sarebbe dimostrata catastrofica per Israele.
Ma anche Israele non ha scuse. Anche prima dell’episodio della Mavi Marmara nel 2010, quando una nave battente bandiera turca cercò di rompere il blocco navale israeliano di Gaza trasportando terroristi, era chiaro che l’Akp (3) era fonte di problemi. La massiccia campagna contro Ergenekon (4), che ha inviato in carcere con accuse ridicole oppositori interni, in particolare giornalisti e alti ufficiali dell’esercito, prova chiaramente a Stati Uniti e Israele che la Turchia sta andando nella direzione sbagliata.
La grande domanda è perché i politici americani, da Bush fino alle Amministrazioni Obama, non sono stati in grado di contrastare Erdogan e convincerlo a comportarsi secondo le regole minime del buon senso che governano le nazioni civili, quali non sponsorizzare attacchi terroristici contro i propri vicini? Dopo tutto nessuno vale troppo in Medio Oriente e Obama è riuscito a aggirare il supponente primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sull’Iran, che pure Gerusalemme dice essere un interesse vitale, anzi fondamentale per la propria sopravvivenza. I funzionari dell’amministrazione si sono recentemente vantati in merito al dissuadere Bibi [Netanyahu] dal colpire gli impianti nucleari iraniani e ora, come un membro dello staff di Obama ha detto a Jeffrey Goldberg, del The Atlantic, è troppo tardi per il Primo Ministro israeliano per intervenire.
Obama ha anche messo in secondo piano tradizionali alleati degli Stati Uniti nel Golfo Persico, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Allo stesso tempo ha congelato il nuovo presidente dell’Egitto Abdel Fattah al-Sisi trattenendosi parte del pacchetto di aiuti annuali. Chiaramente Erdogan sembra essere un probabile candidato per quell’amore vero che la Casa Bianca ama dispensare ai suoi alleati più vecchi e affidabili.
Invece di cercare di frenare Erdogan e trasformarlo in un utile cittadino, Obama gli ha dato troppa corda tentando poi di farlo uscire dal nido. Ad esempio, nel 2010 l’amministrazione ha incaricato la Turchia, insieme con il Brasile, di fare un accordo con l’Iran sul suo programma di armi nucleari. La Casa Bianca ha poi criticato l’accordo raggiunto da Ankara, in gran parte perché ha permesso all’Iran di continuare l’arricchimento dell’uranio. Vale la pena notare che quattro anni più tardi l’amministrazione Obama ha non solo permesso all’Iran di continuare tale arricchimento, ma ha riconosciuto il suo diritto di farlo.
Forse la cosa più significativa è che la Casa Bianca ha consegnato la sua politica per la Siria a Erdogan quando scoppiò la rivolta contro Bashar al-Assad nel 2011. Il problema non fu solo che la Turchia si è rivelata incapace di agire la sua influenza come l’amministrazione Obama aveva sperato, ma anche che Erdogan aveva castrato il proprio esercito con la campagna Ergenekon. Come Erdogan si è mostrato incapace di fermare la macchina di morte di Assad, sia attraverso le parole o la forza, una crisi dei rifugiati montava all’interno dei confini della Turchia, dove i terroristi dello Stato islamico e Jabhat al-Nusra incrociavano le forze di Assad impegnate in operazioni terroristiche che uccidevano cittadini turchi.
Allora, perché Ankara non dovrebbe sostenere Hamas? Per nient’altro che mantenere buone relazioni pubbliche in una regione dove è sempre un apprezzato gesto populista colpire gli ebrei. Inoltre, la Casa Bianca ha implicitamente approvato Hamas come un interlocutore legittimo e fra l’altro ha firmato l’accordo che ha portato Hamas ad accordarsi con l’Autorità palestinese. Ma anche dopo questo la cellula turca di Hamas (diretta da Arouri) in Cisgiordania ha distrutto il governo di unità nazionale con i rapimenti e omicidi, senza che l’amministrazione americana abbia mai battuto ciglio.
E quindi perché gli Stati Uniti dovrebbero essere sconvolti? Dopo tutto, il suo uomo di punta nel processo di pace, Martin Indyk aveva appena incassato un assegno di 15 milioni dal Qatar, principale finanziatore di Hamas. Certo, l’assegno è stato compilato per la Brookings Institution (5), ma se alla Casa Bianca non importava che i suoi diplomatici prendessero soldi dai principali sponsor da Hamas – mortale nemico sia di Israele che dell’Autorità Palestinese – perché Erdogan dovrebbe essere preoccupato di fornire rifugio ai comandanti di Hamas? Il trattamento dell’amministrazione Obama nei riguardi di Israele, specialmente la sua fustigazione pubblica di Netanyahu, è tutto ciò di cui Erdogan ha bisogno per capire che Obama non chiederà mai il conto per avere ospitato emissari di Hamas che pianificano attacchi terroristici.
Consentendo a Erdogan di sostenere complotti terroristici contro un alleato degli Stati Uniti e di stipulare una serie apparentemente infinita di cattivi affari regionali per conto dell’America, l’amministrazione non ha semplicemente deciso di ignorare il cattivo comportamento di Erdogan ma l’hanno approvato esplicitamente. Il pasticcio della Turchia è semplicemente un riflesso di quella confusione che da 20 anni è la politica americana in Medio Oriente.
Note:
1) Gioco di parole fra l’inglese “tacchino” (turkey), il piatto tradizionale del Thanksgiving day (4° giovedì di novembre – questo articolo è stato pubblicato il 4 Dicembre scorso) e Turchia (Turkey).
2) “Fronte di soccorso al popolo di Siria”, affiliato ad al Qaida.
3) AKP: Partito per la Giustizia e lo Sviluppo.
4) Presunta organizzazione ultra nazionalista terrorista kemalista (nazionalismo ispirato da Ataturk).
5) Think tank moderato americano, influente il campo politico.
Ulteriori letture sull’argomento:
- Alessandro Albanese Ginammi, Chi è Erdogan, senza giri di parole, “The Post Internazionale”, 12 Novembre 2014;
- Francesco De Palo, Tutti i limiti e le colpe di Ankara nella guerra contro Isis, “Formiche”, 24 Settembre 2014;
- Turchia, in manette le voci critiche con Erdogan, “Agenzia radicale”, 14 Dicembre 2014;
- Marco Cesario, Processo Ergenekon: “Ennesimo colpo di mano di Erdogan”, “Linkiesta”, 15 Agosto 2013.