La politica dei santi della Chiesa cattolica fra marketing e devozione

Ogni volta che cerco di approfondire concetti religiosi, cercando lumi ovviamente in accreditati siti cattolici, ne esco più confuso di prima; era già successo indagando il significato di ‘preghiera’ e ora sono d’accapo con ‘santità’.

Segno che io sono refrattario a capire questi concetti, oppure che questi concetti sono refrattari all’essere indagati. Comunque, leggendo qua e là, rilevo che la santità è

  • assomigliare a Gesù Cristo in tutto: pensieri, sentimenti, parole e azioni. L’essenza della santità è la carità (amare Dio sopra tutte le cose e il prossimo come se stessi), che modella tutte le virtù: umiltà, giustizia, laboriosità, castità, obbedienza, allegria… E’ una meta cui sono chiamati tutti i battezzati e che si raggiunge solo in Cielo, dopo “aver combattuto la buona battaglia”, per tutta la vita con l’aiuto di Dio (Opus Dei);
  • La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti (Araldi del Vangelo);
  • “Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 40]. Tutti sono chiamati alla santità: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48) (Catechismo della Chiesa Cattolica).

Letto così, e capito come posso, la santità cristiana non sembra opera di eroi straordinari ma di umili servitori di una vita giusta all’insegna della carità, che per i cristiani è un altissimo e nobile sentimento (di più: è una virtù teologale) che riguarda l’amare

Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio (Catechismo della Chiesa cattolica, § 1822).

Poiché come idea astratta mi pare chiara, ma cosa significhi in pratica lo è molto meno, volgo il mio interesse alla logica domanda successiva: “chi sono i santi?” Per non fare un discorso troppo lungo mi affido alle parole di Papa Francesco:

“I santi non sono super uomini”. Papa Francesco lo ha ricordato prima della recita dell’Angelus dalla finestra del Palazzo Apostolico vaticano, proprio nella ricorrenza della festa di Ognissanti. “I santi non sono nati perfetti – ha sottolineato il Papa – sono come noi, come ognuno di noi, persone che prima di raggiungere la gloria del cielo hanno vissuto una vita normale, con gioie e dolori, fatiche e speranze”. La differenza con il resto dell’umanità consiste nel fatto che “quando hanno conosciuto l’amore di Dio, lo hanno seguito con tutto il cuore, senza condizioni o ipocrisie; hanno speso la loro vita al servizio degli altri, hanno sopportato sofferenze e avversità, senza odiare e rispondendo al male con il bene, diffondendo gioia e pace”. Proprio in tal senso, ha osservato Jorge Mario Bergoglio, “i santi sono uomini e donne che hanno la gioia nel cuore e la trasmettono agli altri”. Quindi, il Papa ha esortato che “essere santi non è un privilegio di pochi ma è una vocazione per tutti” (fonte: Avvenire.it).

Sono sicuro che per cattolici di fede sincera tutto questo non ha bisogno di molte altre spiegazioni perché sentono, capiscono col cuore, là dove un laicaccio come me, che utilizza principalmente la ragione, non può arrivare. Mi potrebbe andare anche bene così ma allora non capisco perché la Chiesa si affanni a proporre, anziché modelli di umiltà e carità normali (e credo ce ne siano non pochi per il mondo), figure tendenzialmente soprannaturali, eroiche, inimitabili. E a volte anche discutibili.

Nella realtà i santi sono persone in qualche modo straordinarie; se non altro perché riescono a far guarire miracolosamente qualche caso disperato. Ecco, questa è una delle cose più difficili da mandar giù: i santi sono praticamente tutti i battezzati che praticano una vita caritatevole, ma per considerarli Santi (notate la maiuscola) devono essere artefici di miracoli che, di regola, non riguardano il tramutare l’acqua in vino o il resuscitare i morti ma il guarire “inspiegabilmente” un malato grave (QUI un articolo che spiega come diventar santi, nel caso vogliate provarci). Vi invito a fare due chiacchiere col vostro medico di base: vi racconterà decide di guarigioni (e di morti) incomprensibili, dove l’incomprensibilità riguarda i limiti della pratica medica (che non è una scienza), i limiti della reale conoscenza delle condizioni dei pazienti, il contesto e mille fattori intervenienti in gran parte ignoti. Ogni giorno un sacco di persone muore per cause sconosciute e qualche altro po’ guarisce quando ormai lo si dava per spacciato.

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Ma al di là di questo aspetto che fa parte del folklore cattolico, quello che dovrebbe far riflettere di più ancora è l’eventuale eccezionalità della vita del santo. Prendiamo Giovanni Paolo II, proclamato santo a furor di popolo (anzi: di papa boy) quando era ancora nel letto d’agonia: ah, indubbiamente è stato un gigante a livello storico! Papa in un momento molto particolare è stato interlocutore di rilievo dei Grandi della Terra, abile comunicatore, elemento di rottura dopo secoli di grigia curia romana. Ma basta questo per dire che è un Santo? O è diventato tale per accontentare un chiassoso popolo di fedeli? Le critiche all’operato terreno di Wojtyla non mancano (QUI quelle di Odifreddi, noto ateo blasfemo e quindi probabilmente poco attendibile per diversi lettori) e per esempio, a confronto con l’attuale azione di Papa Francesco, quella di Giovanni Paolo II è stata certamente una vita pirotecnica ma forse non proprio santissima. Critiche assai maggiori e ben circostanziate a Madre Teresa di Calcutta, proclamata santa il 4 Settembre. La sua vita è, per alcuni critici, molto più densa di zone buie di quanto una Santa potrebbe permettersi, e vi invito a leggere quanto scrive l’indiana Krithika Varaur oppure Adam Taylor sul Washington Post, che non sono Odifreddi ma, semplicemente, testimonianze terze.

Queste proclamazioni di santi, insomma, sono a mio avviso una grande operazione di marketing: seguono l’umore della folla devota (e spesso devozionista) per blandirla; scovano santi in paesi dove occorre far presa e radunare le fila dei credenti. Creano identità ispirando un certo modello di cristianità. Molte ragioni inducono a più di una perplessità ed è utile, a questo punto, capire le ragioni per le quali i protestanti rifiutano questa idea di santità. Poiché il testo è breve vi riproduco le quattro ragioni spiegate dal teologo valdese Paolo Ricca (fonte):

La chiesa non sa

“Ogni volta che le Chiesa canonizza una persona – qualunque essa sia – si arroga un diritto che non ha, svolge un compito che non le compete perché appartiene a Dio soltanto”, ha affermato Ricca. “La Chiesa non è padrona del cielo: può legiferare sulla terra, ma non in cielo”. Anche perché, ha precisato il teologo: “Il Regno è di Dio, non della Chiesa. Per di più Gesù ci ha avvertito che nel Regno ci saranno delle sorprese: “Molti primi saranno ultimi, e molti ultimi primi” (Matteo 19,30), cioè molti nostri giudizi saranno capovolti da Dio”.

Solo Dio conosce

La seconda ragione dell’avversione protestante per ogni tipo e rito di beatificazione, ha proseguito Ricca “è che nessuno conosce il cuore dell’uomo, tranne Dio, e per questo Dio solo può giudicare le persone, sia i buoni che i malvagi. Noi giudichiamo in base a ciò che vediamo, Dio giudica in base a ciò che non si vede: il cuore non si vede”. Questo vuol dire che i santi non ci sono? No, sostiene Ricca, ci sono, “ma sono nascosti agli occhi degli uomini che, a differenza di Dio, non possono vedere il cuore”. E dunque, in una prospettiva evangelica, la verità è che “non sappiamo chi siamo e tanto meno lo sanno altri, compresi i tribunali incaricati di vagliare le cause di beatificazione. Solo Dio ci conosce – lui che in Cristo si è fatto nostro affinché potessimo diventare suoi”.

Cristo e i santi

Ma per il teologo valdese esiste anche un terzo motivo di avversione: “tutti questi santi e beati popolano non solo il cielo, ma anche l’anima dei fedeli togliendo spazio a Cristo e alla centralità che gli è dovuta”. Ricca ricorda che il Concilio di Trento ha stabilito “che i santi possono e devono essere “invocati”, ricorrendo “alle loro preghiere, al loro potere e aiuto per ottenere benefici da Dio”, mentre sono “dichiarati empi coloro che negano il dovere di invocare i santi”, cioè i protestanti”. Che dire di tutto ciò? “Qualunque sia il tipo di culto reso ai santi”, osserva il teologo, “la centralità di Cristo ne risulta menomata. È vero che egli non è dimenticato né ignorato e che in qualche modo è tenuto presente, ma non è in primo piano, e questo contraddice la natura stessa della fede cristiana”.

Comunione dei santi

Un ulteriore motivo dell’avversione protestante alle beatificazioni, citato da Paolo Ricca, è che il “culto dei santi” diffonde un’idea di “santità” fuorviante rispetto a quella del Nuovo Testamento dove sono “santi” tutti i credenti e “santo” è sinonimo di cristiano. I santi, cioè, non sono una categoria speciale, diversa dai semplici credenti. La Chiesa è tutta quanta “un sacerdozio santo”, “una gente santa” (I Pietro 2,5.9). E quando il Credo apostolico parla di “comunione dei santi”, intende appunto la Chiesa come comunione dei credenti, vivi e defunti. Ma una cosa è la “comunione dei santi”, un’altra completamente diversa è il “culto dei santi”. “Quello che la Scrittura autorizza e raccomanda è di seguire l’esempio dei testimoni di Cristo che ci hanno preceduto: “Imitate la loro fede” (Ebrei 13,7)”, conclude Ricca. “Quello che invece la Scrittura non autorizza in alcun modo, né esplicito né implicito, è il loro culto”.

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