Dal ragionevole dubbio all’ossessione antiscientifica

È di poco tempo fa la notizia riguardante la sentenza della Procura per i Minorenni di Milano che impone il divieto di espatrio per una bambina di tre anni affetta da una grave forma di tumore al cervello. La decisione si è resa necessaria di fronte all’intenzione, da parte dei genitori della piccola paziente, di abbandonare il protocollo terapeutico in atto presso l’Istituto Nazionale Tumori (INT), che era riuscito a bloccare la progressione del tumore, per iniziare una nuova terapia non meglio conosciuta in Israele, rischiando di sottrarre la bambina ai benefici delle cure in atto in favore dell’incertezza più totale. Quest’evento rappresenta solo uno dei casi, sempre più numerosi, in cui alla ragionevolezza si oppone la cultura antiscientifica.
Lo scetticismo e la diffidenza nei confronti della scienza medica, rappresentano un fenomeno dalle radici antiche, ma che ha preso sempre più piede negli ultimi anni. L’avvento di internet e l’informazione a tutti i costi hanno abbattuto barriere, ma anche certezze, rendendo pubbliche informazioni, anche scomode, a cui per lungo tempo non abbiamo avuto accesso, se non con grande fatica. Tutto ciò ha contribuito a svelare una terribile verità: la medicina non ha una soluzione a tutto e molti mali, per quanto studiati da decenni, rimangono mortali ed incurabili.
Quanto detto rimane una verità incontrovertibile, per quanto possa suscitare incredulità, ma ad alimentare il pregiudizio antiscientifico sono anche alcune delle prerogative dell’industria farmaceutica. La ricerca scientifica in ambito medico, infatti, nell’immaginario collettivo è associata irrimediabilmente all’altruismo. Tuttavia, lo sviluppo, la produzione e la vendita di farmaci rappresentano, a conti fatti, un’attività commerciale soggetta alle leggi del mercato, buone o cattive che esse siano.

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Esiste, quindi, un interesse economico, come pressoché in tutte le attività che ruotano intorno alla società, ma è un interesse che non può e non deve essere visto esclusivamente come un nemico, in quanto è lo stesso che consente lo sviluppo di tecnologie e farmaci sempre più efficaci. Questo vuol dire che, al di là di qualsiasi convinzione etica, il concetto di “segreto industriale” e di “brevetto” rimangono di grande importanza, cosa che contribuisce a creare un alone di mistero intorno a cure e protocolli clinici che alimenta la sfiducia della gente comune. In un contesto come questo, è facile essere attratti dal fiorire di metodi di cura alternativi che sempre più spesso vengono pubblicizzati e mostrati come qualcosa di chiaro e di comprensibile anche ai non addetti ai lavori, come il prodotto di un sincero desiderio di aiutare il prossimo e di trasparenza, tutte cose che offrono una risposta alle richieste della gente comune che spesso ha difficoltà ad interfacciarsi con medici e scienziati, anche a causa della scarsa predisposizione di questi ultimi alla comunicazione dei risultati del proprio lavoro.

La tutela del paziente come crociata contro l’innovazione. Lo scenario dipinto rappresenta lo sfondo ideale per lo sviluppo di un malcontento generale, cosa che porta alla nascita di tre convinzioni fondamentalmente errate:

  • l’assenza di un qualsivoglia interesse, da parte di industria farmaceutica e sanità, di combattere patologie, quali ad esempio il tumore, in modo risolutivo
  • l’esistenza di un complotto ai danni della salute collettiva
  • l’idea che l’opposizione alla pratica di metodi di cure alternative sia frutto delle due precedenti e, per tanto, sia un tentativo di impedire che cure efficaci possano essere praticate.

In questa luce, la mancata approvazione di questo o quel protocollo scientifico, che promette magari risultati miracolosi senza essere in grado di realizzarli, non è più concepito come un atto dovuto per la tutela della salute pubblica, ma come un tentativo di sabotaggio. Rappresenta, forse, l’esempio più eclatante di questa dinamica il polverone sollevatosi ormai parecchi anni fa intorno al famigerato Metodo Di Bella il quale, ponendosi in contrapposizione alla chemioterapia, si proponeva come un metodo per modulare la risposta dell’organismo in modo che fosse esso stesso ad eliminare il tumore. La metodica fu al centro di un circo mediatico di tutto rispetto, per gli interessati in fondo all’articolo troverete il link ad un dossier a riguardo, ma non venne mai approvata per l’applicazione. La gente comune non tardò a gridare al complotto, la realtà è invece totalmente differente. Il metodo venne sperimentato secondo un rigido protocollo, ma i risultati non furono quelli sperati. Gli esiti della sperimentazione del Metodo Di Bella esistono e sono pubblici, chi fosse interessato può facilmente consultarli a questo indirizzo. I protocolli sperimentati sono quattro differenti su quattro tipologie altrettanto differenti di tumore, ma al di là di quanto si possa pensare, i dati ottenuti sono desolanti e rivelano una inaspettata tossicità, come riportato in questo stralcio del resoconto:

In questo studio il trattamento MDB non ha mostrato attività antitumorale (…) Al momento della valutazione della risposta il 68% dei pazienti era andato incontro a progressione di malattia o a decesso (…) Tenendo in considerazione solo gli eventi avversi con un grado di correlazione elevato con il trattamento, lo studio ha rivelato un’incidenza del 47% di eventi avversi e del 18% di eventi avversi gravi (…) Nel complesso il trattamento ha mostrato un profilo di tossicità non trascurabile, soprattutto in considerazione dell’assenza di attività osservata.

Sebbene quanto riportato sia riferito al protocollo di trattamento per il carcinoma colorettale in fase avanzata, le conclusioni non sono dissimili da quelle raggiunte per le procedure riservate al carcinoma mammario metastatico, carcinoma del distretto cervico-facciale e dell’esofago e, più genericamente, neoplasia solide in condizione critica.
Una delle critiche portate alla sperimentazione del metodo riguarda la selezione dei pazienti da includere nella sperimentazione. Alcuni detrattori sostengono, infatti, che l’inefficacia del trattamento sia da ricondursi alla scelta di casi clinici particolarmente gravi e, pertanto, ormai non in grado di rispondere a qual si voglia protocollo previsto dal Metodo Di Bella. Anche assumendo che questa affermazione possa avere una qualche validità, la stessa non è sufficiente a giustificare l’elevato profilo di tossicità della terapia che sposta il rapporto rischi/benefici irrimediabilmente verso i primi, rendendo il metodo praticamente inutilizzabile. Nonostante la tossicità abbia un peso notevole anche nella chemioterapia, a renderla comunque un’opzione migliore è la comprovata efficacia.
La mancata approvazione per l’applicazione del Metodo di Bella, e di molte altre terapie analoghe, non è quindi inquadrabile come un prodotto della pressione sul governo da parte delle case farmaceutiche, bensì come un atto dovuto della sanità pubblica nei confronti dei cittadini che non possono essere esposti ad un rischio irragionevole, tanto meno a spese dello stato. Eppure, al giorno d’oggi, non sono pochi i sostenitori del Metodo, nonostante le chiare evidenze negative a riguardo.
Del concetto di Libertà di Cura ha già parlato Bezzicante, una rilettura non fa che bene. Tuttavia, accanto ad un sacrosanto desiderio di autodeterminazione, è buona norma applicare senso critico ed una generosa dose di ragionamento logico, entrambe lenti che consentono di valutare nel migliore dei modi gli ultimi progressi in ambito scientifico.

Mortalità.png(Fonte: WHO)

Dove sta andando la ricerca oncologica. I grafici in alto descrivono l’andamento della mortalità associata ai tumori, in uomini e donne, dal 1975 al 2010. Come si può osservare, al di là del numero totale dei casi registrati, la tendenza negli ultimi anni è quella di una riduzione della percentuale di tumori mortali. Considerato l’aumento del numero assoluto di casi registrato negli ultimi anni, il dato riportato è largamente riconducibile all’avanzamento in campo medico e farmacologico che ha consentito di trattare in modo sempre più efficace quella che è ormai definita la malattia del secolo, sia sul piano diagnostico che su quello terapeutico.
Con ciò non si intende assolutamente dire che le terapie attualmente disponibili siano le migliori possibili, o che siano sempre efficaci. Contrariamente a quanto si crede, questa verità è perfettamente conosciuta dall’ambiente scientifico e per nulla occultata, come dimostra questo articolo in cui si discute sull’opportunità dell’applicazione della chemioterapia classica per alcune tipologie di tumore su cui presenta scarsa efficacia, sebbene sia ormai datato e numerosi progressi siano stati compiuti nel successivi 12 anni

Schermata 2017-03-11 alle 22.03.29.png (Fonte: http://cebp.aacrjournals.org/content/25/1/16.full-text.pdf)

Cosa vuol dire, dunque, questo progressivo aumento dei casi registrati di tumore negli ultimi anni? Non di certo che qualcuno sta tramando alle spalle di ciascuno di noi. È importante, innanzitutto, comprendere che i dati riguardanti l’incidenza del tumore sono riportati come numero di casi diagnosticati per anno di diagnosi. Va da sé che non riflette fedelmente un incremento del numero di casi di cancro nella popolazione, quanto piuttosto il numero di persone che hanno scoperto nel corso di una visita specialistica di essere affetti da una malattia oncologica. Questo risultato è, certamente, causato dalla medicina, ma non in senso negativo: è il frutto di un costante miglioramento delle tecniche diagnostiche e della messa in atto sempre più frequente di vere e proprie campagne di screening della popolazione appartenente alle fasce a rischio. Al contrario di quanto si possa pensare, la medicina non è la causa della morte di queste persone, ma piuttosto fornisce loro l’occasione di porre rimedio alla malattia e di guarire.
Un altro falso mito riguarda l’ipotetica totale chiusura della medicina ufficiale all’applicazione di altri metodi in grado di alleviare le sofferenze del paziente oncologico e di migliorarne la qualità della vita. Al contrario di quanto si crede, la medicina è sempre più aperta al concetto di “terapia complementare” che, pur non sostituendo le terapie convenzionali di comprovata efficacia, integra alcune pratiche alternative volte al miglioramento dello stato psicofisico del paziente. Anche in questo caso, si parla di terapie sperimentali su cui ancora non si hanno dati certi, ragion per cui non possono essere garantite dal Sistema Sanitario Nazionale. Tuttavia, lo studio di questi protocolli dimostra l’esistenza di un atteggiamento di apertura e confronto nell’interesse del paziente, ben lontano dal concetto di ostracismo ormai diffusosi nella società.
Non di meno, l’oncologia sta progressivamente spostando la propria attenzione dalla ormai diffusa chemioterapia di tipo citotossico, in grado ovvero di indurre la morte delle cellule tumorali a causa della propria tossicità, all’immunoterapia, una vera e propria integrazione tra il sistema immunitario del paziente e la farmacologia, volta alla riduzione dei danni collaterali ed a una guarigione più rapida e meno traumatica per il paziente.

Conclusioni. Il sempre più diffuso pensiero antiscientifico è, da una parte, un prodotto dell’era dell’informazione, dall’altra, della scarsa comunicazione tra il mondo della scienza e quello dei pazienti. L’incomunicabilità genera pregiudizio, il pregiudizio genere a volte, se non spesso, scelte sbagliate. La percezione che la società ha del progresso in ambito medico e sanitario è falsata dalla ridotta conoscenza che si ha del processo. Dinanzi ad un gran numero di risorse e di anni investiti nella ricerca di terapie risolutive, è comprensibile rimanere spiazzati nel momento in cui essi non si sono rivelati sufficienti.
Tuttavia, diversamente da quanto è opinione diffusa, la scienza ufficiale in oncologia non ha collezionato solo insuccessi né lavora a danno dei cittadini. Lo dimostrano i dati che, a fronte di un incremento del numero di casi di cancro registrati ogni anno, riportano una progressiva diminuzione della mortalità.
La discrepanza tra la verità dei dati e l’opinione pubblica in materia sanitaria, concretizza la necessità di ricucire il rapporto di fiducia tra i professionisti della salute ed i cittadini, processo non di semplice attuazione, ma che non può prescindere dalla trasparenza. La pubblicazione dei risultati delle sperimentazioni chimiche ed il sempre maggiore impegno nella divulgazione di medici e ricercatori va in questa direzione, non resta che sperare in uno sforzo di riavvicinamento anche da parte della gente comune.

Per approfondire:

Dossier Di Bella, a cura di Salvo Di Grazia che esamina alla luce della sua esperienza di medico le contraddizioni del metodo e le vicende mediatiche che lo hanno circondato.

Il sito della International Agency for Research Cancer, che riporta i dati raccolti dall’OMS sui progressi della ricerca e delle terapie sul cancro.

Una interessante sintesi a cura dell’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) che spiega come funziona la sperimentazione di nuovi farmaci ed il perché di regole così rigide.

Il registro dei trial clinici che permette a chiunque di consultare lo stato di avanzamento delle sperimentazioni cliniche pubbliche in atto in tutto il mondo.

Contributo scritto per Hic Rhodus da Silvia D’Amico. 
PhD Student in Biologia Molecolare, appassionata di 
scienza in genere, fotografia, musica e tutto quanto è realmente 
interessante.