Al momento in cui scrivo non si sa come finirà il confronto virile fra Trump e Kim Jong-un. La Cina è intervenuta per chiedere un approccio diplomatico alla follia nord coreana, e la richiesta, proveniente direttamente da Xi Jinping, è estremamente significativa ed esprime ansia per il possibile precipitare della situazione, visto che da un lato Trump ha spedito una flotta non certamente simbolica e, dall’altro, Xi Jinping non sembra volere abbassare i toni delle sue minacce. La piccola armata americana è in grado di proteggersi, di intercettare missili eventualmente lanciati da Pyongyang e di far male con missili e aerei, mentre Pyongyang ha dalla sua missili di corto e medio raggio, un vasta rete di artiglieria fissa e un esercito enorme (di cui dubiterei dell’efficacia e che comunque sarebbe sostanzialmente inutile contro attacchi aerei. QUI dettagli sulle forze in campo). Ma poi, certo, c’è l’opzione nucleare…
Ci sono molteplici problemi e situazioni che rendono complicata la crisi: i giapponesi temono i missili nord coreani; il sud corea teme l’invasione o addirittura l’attacco nucleare; gli Stati Uniti temono l’effetto domino e l’ampliamento della corsa all’armamento nucleare nell’area; la Cina, formalmente alleata (con crescente fatica) di Kim Jong-un, si trova in imbarazzo ma non può semplicemente voltare le spalle, proprio mentre essa stessa sta provocando non poco i paesi affacciati sul Pacifico con la sua espansione unilaterale nel mar della Cina (ne abbiamo parlato diffusamente QUI).
Insomma, siamo in una tipica situazione in cui un meccanismo in parte ignoto e pericoloso è stato messo in moto, accelera autonomamente la corsa verso un suo oscuro epilogo, e nessuna parte coinvolta è in grado di fare un passo indietro. Prima di tutto Trump; far cambiare rotta verso casa alle navi, adesso, che sorta di figuraccia rappresenterebbe, dopo avere mostrato i muscoli? Forse che teme le conseguenze del suo proprio gesto? E Kim Jong-un potrà mai mostrare di calare le brache dopo avere sparacchiato missili a destra e a manca insensibile al richiamo internazionale e a quello cinese? Non esiste. E quindi? Per capire qualcosa dei possibili scenari dobbiamo immaginare le prospettive americane da un lato e la posizione cinese dall’altro. Sulla prima, malgrado e nonostante Trump, ci sarà pure qualcuno che capisce al Pentagono, e quindi dobbiamo immaginare – salvo, semmai, ricrederci – un comportamento razionale. Un sito indipendente, tendenzialmente allarmista e ferocemente anti-Trump, pubblica un articolo di Ian Mather (giornalista free lance che, comunque, scrive anche per Guardian, Observer e altre testate di un certo peso) in cui si sostiene:
While the White House continues its public war of words with North Korea, a battle plan is already being laid in secret by military strategists at the Pentagon. […]
But behind the scenes, American strategists are now weighing up the option of a pre-emptive military strike against North Korea as the rogue Stalinist state forges ahead with its plans to build a nuclear arsenal – threatening not only a “domino effect” of nuclear proliferation in east Asia but also a strike against the very heart of America.
It is a terrifying scenario, with likely casualties running to one million during the first day of an attack on North Korea – most falling victim to the long-range artillery trained on its southern neighbour. […]
Military analysts predict North Korea’s next move will be a provocative missile test similar to the one carried out in 1998 which demonstrated that it could hit Japan. Only these days, North Korea has an as yet untested missile capable of carrying a nuclear warhead to California and, according to the CIA, “one or two plutonium-based devices”.
As Victor Cha, a Korea expert at Washington’s Georgetown University, points out: “North Korea is not just a peninsula security problem for the US anymore. It is a homeland security issue.”
And one member of the Capitol Hill staff warned: “They [the North Koreans] are the masters of brinkmanship, until they get to the point where they have crossed as yet undeclared lines.”
Japan has already drawn a line in the sand, saying it would have the legal right to strike first if it were to receive intelligence of a planned missile attack by North Korea.
Di attacco preventivo contro il regime di Kim Jong-un si parla comunque da tempo (ne abbiamo parlato QUI), vuoi per prevenire un attacco non più simbolico ma reale, per esempio al vicino Giappone, vuoi per salvare la popolazione coreana da un regime assassino e affamatore (e certo la causa umanitaria sarebbe un bel paravento…). Nello stesso nostro articolo ora citato menzionavamo analisti americani che spiegavano comunque come l’approccio muscolare fosse certamente il peggiore: secondo John Delury e Chung-in Moon (Analytical Failure and the North Korean Quagmire, “38 North”, 7 Aprile 2011) gli obiettivi nordcoreani sono, molto semplicemente, la sopravvivenza del regime, la sicurezza nazionale e lo sviluppo economico, in quest’ordine. Tutte le azioni eclatanti sul piano della deterrenza nucleare, il confronto militare e il negoziato diplomatico hanno – per i nordcoreani – queste finalità. Indubbiamente, fra i falchi del “colpiamo subito prima che sia troppo tardi!” e le colombe del “fermi, quelli fanno finta, vogliono solo un po’ di riso e di riconoscimento!” non c’è molto dialogo, anche perché abbiamo scarsissima possibilità di compiere un’analisi affidabile.
Per comprendere qualcosa di più degli scenari coreani dobbiamo guardare alla Cina, il convitato di pietra di questo confronto minaccioso. Perché la Cina è preoccupata? Perché chiede di non colpire la Corea del Nord? Una prima ragione, non necessariamente la principale, riguarda i confini cinesi che sono, attualmente, i più sicuri da secoli. La Cina, concentrata nel suo sviluppo economico, non desidera aprire improvvisamente una falla a Nord-Est, dove al momento ha un alleato, certamente scomodo ma geopoliticamente sicuro. La seconda ragione, a mio avviso assai più concreta, riguarda le conseguenze di un crollo del regime nord coreano, sia che avvenga per iniziativa militare americana, per una rivolta interna o altro. La Corea del Nord ha un PIL pari a un quarto dell’Etiopia, con 28 miliardi di dollari nel 2014 e una crescita attorno all’1% annuo (stime; fonte); è noto che la sua popolazione muore letteralmente, e non figurativamente, di fame, mentre guarda i suoi vicini, Corea del Sud e China, crescere nella prosperità. Come scrive Kyle Mizokami
If and when the North Korean government does collapse, some form of military intervention is inevitable. None of the regional powers will rest until all of Pyongyang’s nuclear weapons are accounted for, and nobody really knows what that number is. Armed remnants of the old government may try to seize control of nuclear weapons to gain concessions from the international community. Instability could cause millions of the country’s 25.1 million people to hit the road, fleeing north into China and south into South Korea. None of North Korea’s neighbours want that. The absence of a central government, an overabundance of weapons and a lack of food would make for an explosive combination. Military intervention into the border areas, to control refugees and disseminate aid, is one possibility, as is a deeper intervention to seize nuclear weapons and conduct countrywide security and support operations.
Mizokami poi prosegue:
Chinese military intervention in a North Korean collapse scenario is practically a certainty. At the same time, China has repeatedly stated that U.S. military forces entering North Korea would be intolerable, and yet U.S. forces regularly train to do just that. The reality is that South Korea, as capable as it is, may not have a military large enough to handle all contingencies. In such cases the power-projection capability of the U.S. military would be essential. China famously intervened in the fall of 1950 as U.S. and South Korean forces crossed the Yalu River. In the event of a North Korean collapse, barring any agreement between the two countries ahead of time, a military confrontation between the United States and China appears likely.
Riassumo per chi ha letto di fretta e non si è sufficientemente spaventato: se l’America interviene per rovesciare il regime (o, in qualunque altra circostanza, il regime crollasse) l’intervento militare cinese sarà una certezza, e avremo una guerra USA-Cina che si giocherà inizialmente nella penisola coreana (spazzando via la nazione sud coreana) per coinvolgere inevitabilmente tutta l’area e dilagare dove nessuno sarà in grado di fermare il fuoco. La Cina lo sa; gli Stati Uniti lo sanno, tutti lo sanno. Oltre a dichiarazioni esplicite, oltre alla logica, lo testimonia la possente spesa militare cinese, rincorsa a fatica da quella giapponese (altro attore strategico ma diplomaticamente di scarso rilievo). Mizokami, se vorrete leggerlo in originale, mostra la devastante routine di una possibile guerra sino-americana, e vi assicuro che la lettura è inquietante.
Ora voglio fare quello sforzo razionale dichiarato all’inizio. Se anche al Pentagono lo sanno, la flotta inviata a minacciare Pyongyang a cosa serve? Forse a dare un avvertimento proprio alla Cina. Comunque vadano le cose, dal momento di un collasso del regime tutto accadrà estremamente in fretta e gli attori interessati devono già sapere quale sarà il loro ruolo per minimizzare i danni. Alla Cina può convenire assai di più accordarsi con gli americani che, con questa mossa, fanno intendere ai cinesi che l’epoca accomodante di Obama e il suo laissez-faire è finita; che non si accetteranno stati di fatto nel Mar della Cina; che il Giappone verrà protetto; e che sulla Corea del Nord serve un accordo. E alcuni commentatori ritengono che dietro i colloqui fra Xi e Trump, e nelle dichiarazioni successive, si possa leggere un cambio di rotta cinese che potrebbe addirittura includere la sua stessa opzione militare contro l’alleato, in particolare se il governo cinese percepisse come minaccia quel confine, menzionato all’inizio, che desidera mantenere sicuro. In un articolo del giornale cinese Global Times (giornale cinese di regime in lingua inglese) si legge infatti:
China has a bottom line that it will protect at all costs, that is, the security and stability of northeast China. If the bottom line is touched, China will employ all means available including the military means to strike back (fonte).
E che le relazioni sino-nordcoreane stiano velocemente peggiorando è noto da tempo (fonte), tanto che Pechino ha spedito 150.000 uomini al confine proprio per contenere l’afflusso di eventuali rifugiati a causa di un attacco americano (fonte).
Qualunque sia il reale esito di questa pericolosissima prova di forza, e al netto di possibili scenari peggiori (questi giochi si sa come iniziano, ma possono facilmente sfuggire di mano) il risultato sarà una diversa forma di collaborazione ostile fra USA e Cina e, quasi certamente anche se forse non immediatamente, la caduta del regime nord coreano. Ne sarò felice in una prospettiva geopolitica, ma il dramma della popolazione sarà immane, non minore da quello che ha colpito la popolazione siriana. Perché i Grandi giocano, e i piccoli soffrono.